Ambiguità storica degli ebrei nella riforma protestante

L’ambiguità degli ebrei nel corso della riforma protestante è qualcosa che salta agli occhi. Questo che sto per raccontare avvenne verso la fine del Quattrocento e agli inizi del Cinquecento, specialmente nei  territori di lingua tedesca. Scrittori ebraici introdussero una massa di pubblicazioni nelle lingue vernacolari in profonda opposizione alle vigenti norme sociali, politiche e intellettuali e mobilitarono un’ampia richiesta di riforme nella Chiesa Cattolica Romana, nel Sacro Romano Impero e nei centri del sapere, le università. Questo portò ovviamente ai movimenti di riforma che esplosero con Lutero e l’affissione delle sue molte tesi al portone della chiesa di Wittemberga.

Quest’area era il centro dell’Impero dove erano stanziati i più importanti elettori e i potenti principi che ne costituivano il collegio elettorale. Essi formavano il solo corpo legittimato a nominare l’imperatore. Questo titolo d’imperatore non era ancora ereditario, perciò i principi, sia secolari che ecclesistici, costituivano una grande forza politica e senza di loro nessuna riforma sarebbe stata possibile. Molti di loro avevano grandi risorse militari e finanziarie, spesso assai più consistenti di quelle dell’ imperatore.

Anzi, a parlarci chiaro, questi principi avevano tutto l’ interesse a non scegliere mai come capo uno che fosse in tutto loro superiore. Qui stava il nodo principale della questione, nella ricchezza del re. Il sovrano avrebbe dovuto essere il più ricco di tutti, mentre invece non aveva le risorse necessarie. Così si rivolgeva ai finanzieri e ai banchieri, ovvero ad appaltatori o “affittatori” d’imposta. Infatti a garanzia delle somme prestate il re concedeva la riscossione dei tributi. (Cfr. La funzione della riscossione dei tributi nella formazione dello Stato nell’Età Moderna – prima parte – pagina 12 SalernoPlus.it )

Naturalmente i principi mantenevano la loro posizione di ambiguità e facevano di tutto per mantenere la loro libertà e i loro privilegi, anche quello di essere prestatori di soldi all’imperatore, sui loro territori. Le loro ricchezze erano di solito derivate dalla loro antica funzione di langravi o margravi, che era l’incarico di amministrare e riscuotere le tasse nei territori di cui erano stati anticamente infeudati. Ricevendo di conseguenza un notevole gettito di danaro, potevano organizzare i banchi di prestito ed esercitare l’ usura arricchendosi ulteriormente. Avevano anche acquistato grandi proprietà fondiarie e perseguivano politiche utili ad elevare il loro proprio status dinastico. Erano cioè più interessati al consolidamento del proprio potere che a supportare i progetti imperiali.

Perciò dire, come spesso si sente, che gli ebrei non potessero avere proprietà immobiliari è un’affermazione di un’ambiguità del tutto scorretta. E’ semplicemente un modo per mascherare la provenienza, a volte illecita, delle grandi ricchezze accumulatesi nelle loro mani e derivate per lo più da appalti ottenuti per la riscossione delle tasse fin dai tempi dell’antica Roma (i pubblicani erano stati gli esattori d’imposta in tutto l’impero, Israele compreso), dall’usura o da meccanismi bancari del tutto perversi, dalla tratta degli schiavi che praticarono fin dall’antichità, dalla grande proprietà fondiaria ottenuta con mezzi a dir poco fraudolenti o dalle piantagioni americane coltivate con mano d’opera schiavizzata, dai proventi della pirateria, dal commercio di tè, spezie, oppio e sostanze stupefacenti, spacciate in tutto il mondo, dalle guerre che spesso fomentavano a loro vantaggio, etc. etc. (A proposito di questo genere di ambiguità si veda di Dagoberto Huseyn Bellucci: Il governo mondiale ebraico)

Comunque, chiudiamo questa triste parentesi. Nel nono secolo, con la fondazione del Sacro Romano Impero, gli imperatori si erano impegnati nella translatio imperii, che si fondava sull’assunto che l’impero fosse l’unico corpo politico deputato alla difesa della Cristianità. L’impero si era impegnato fin dal principio a intervenire contro tutte quelle forze che costituissero una minaccia contro la Chiesa. Questo è chiaramente il nocciolo della questione Ebraica durata nei secoli. L’imperatore dipendeva dai principi giudaizzanti per le basilari necessità economiche, fiscali e militari ma doveva, d’altro canto, favorire e proteggere la Chiesa di Roma. Si trovava cioè in posizione scomoda, come preso tra l’incudine e il martello.

Tentativi di riaffermare la sovranità imperiale  erano continuamente impediti dalla mancanza di uno stabile esercito imperiale e dalla difficile, spesso insostenibile, situazione finanziaria. Di qui la costante necessità di ricorrere all’appoggio e al sostegno dei principi di antica discendenza giudaica. Dall’altra c’era sempre la costante, pressante richiesta di fedeltà e difesa da parte della Chiesa di Roma. L’impero era quindi vulnerabile e dipendeva dalla buona volontà dei vassalli e dei papi per qualsiasi riforma l’imperatore intendesse promuovere. E le richieste della Chiesa erano per lo più perentorie.

Questo gettò le basi a tutta una serie di atteggiamenti di estrema ambiguità che l’establishment politico dovette via via assumere nel corso dei secoli nei confronti del popolo ebraico, nell’ammettere o interdire la loro presenza sul suolo dei vari regni, ma anche nel dare o non dare riscontro alle loro richieste di cambiamento. Così, perfino la riforma voluta da Lutero finì per essere una riforma mancata. Nel senso che le legittime richieste di libertà di culto e di libera lettura delle Scritture furono fortemente limitate.

Cuius regio, eius religio ( “Di chi è la regione, di lui sia la religione”) fu la salomonica sentenza, densissima di ambiguità pure questa. A significare che ti toccava seguire la forma di religione che il principe della tua zona di appartenenza aveva determinato di farti seguire. Dunque ai sudditi fu imposto di seguire la religione del proprio governante. In questo modo i principi territoriali ottennero grande influenza politica nelle faccende ecclesiastiche.

Le relazioni tra cristiani e gli ebrei che non appartenevano allo status più elevato dei principi e dei banchieri  erano fragili e soggette al capriccio delle forze politiche dominanti. La presenza ebraica era spesso considerata una minaccia per la società. Soprattutto perchè erano accusati di nutrire un odio viscerale nei confronti dei cristiani e di fomentare la rivolta sociale, religiosa e politica. Di loro si parlava a proposito di delitti rituali ai danni di cristiani perpetrati specialmente in particolari periodi come la settimana di Pasqua. Spesso i documenti ufficiali emessi dall’ autorità imperiale confermavano tali imputazioni. E’ sulla base di accuse come queste che le comunità ebraiche venivano periodicamente espulse dalle zone di appartenenza. Ciò portava a forme persecutorie più o meno pesanti a seconda dello status sociale degli agitatori.

Gli ebrei erano una comunità religiosa istruita, facevano largo uso di testi scritti nelle loro sinagoghe e memorizzavano lunghi brani delle Scritture. Anche per questo erano considerati una temibile minaccia. Gli Ebrei richiesero sempre particolare attenzione da parte delle autorità religiose a motivo del loro libro , la Bibbia che essi conoscevano molto di più della grande maggioranza dei cosiddetti cristiani.

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