Arianesimo tra i popoli Barbarici

Arianesimo: stavolta ne parleremo ma per prima cosa parleremo di un vescovo ariano: Wulfila o anche Ulfila (311-383) che fu con Eusebio di Nicomedia al vertice della controversia ariana. Era figlio di un goto e di una prigioniera greca, nato in una regione dell’Asia Minore, la Cappadocia che in quel periodo era ridotta in cattività sotto il dominio barbarico.  A Costantinopoli Ulfila (che vuol dire Lupachiotto) venne in contatto con gli Ariani e fu nominato vescovo per il popolo dei Goti. Lo storico Giordane dice che molti tra quel popolo furono istruiti nella conoscenza delle lettere dal loro vescovo. La fede ariana si diffuse tra la maggior parte delle popolazioni barbariche dei primi secoli, come i Burgundi, gli Svevi, i Vandali e i Longobardi.

Ulfila tradusse la Bibbia dal greco al gotico antico in anticipo di alcuni decenni rispetto alla Vulgata di Girolamo. Grazie a lui i Goti furono il primo popolo d’Europa a disporre di una Bibbia in lingua volgare. La stampa non era ancora stata inventata, perciò ognuno dei codici veniva trascritto a mano su pergamena. Per avere sufficiente pergamena per un’edizione completa potevano volerci le pelli lavorate di 1500 animali. Perciò si comprende quanto fosse prezioso ogni singolo volume.

L’arianesimo fu un importante movimento interno al cristianesimo sviluppatosi in oriente nel IV secolo ma che finì per coinvolgere tutto il mondo barbarico fino alla fine del VI secolo. Ario predicava che Gesù Cristo era stata la prima creatura generata dal Padre e che attraverso di lui erano state create tutte le cose. Egli sosteneva che il Padre e il Figlio non erano della stessa sostanza, siccome il Padre era sempre esistito mentre il Figlio aveva avuto un inizio. La tesi secondo cui ci fosse stato un tempo in cui il Figlio non era accanto al Padre per i vescovi cattolici era del tutto inaccettabile. Per loro il concetto trinitario era assoluto e fondamentale. Tuttavia, sulla base delle Scritture, per esempio di Colossesi 1:13-20, Ulfila, riguardo al Cristo, dichiarava correttamente:

«Io, Ulfila, vescovo e confessore, ho sempre creduto in questo modo, e in questa fede unica e veritiera passo al mio Signore: credo che Dio Padre sia unico, ingenerato ed invisibile, e credo nel suo Figlio unigenito, Signore e Dio nostro creatore, ed artefice di ogni creatura, che non ha nessuno simile a sé: quindi uno è il Dio padre di tutti, che è anche Dio del Dio nostro; e credo che uno sia lo Spirito Santo, virtù illuminante e santificante […] né Dio, né Signore, ma ministro fedele di Cristo, non uguale, ma suddito ed obbediente in tutto al Dio padre»

Questo era esattamente il credo ariano in merito al Cristo, di osservanza biblica e aderente all’insegnamento delle Scritture. Ario che era nato in Libia ma educato ad Antiochia, era un berbero di Alessandria d’Egitto e venne condannato come eretico nel primo concilio di Nicea. La diffusione dell’arianesimo generò una grande spaccatura, soprattutto nella parte orientale e africana dell’impero, sfociando in disordini e a volte in scontri cruenti tra le diverse fazioni.

A Costantino questa controversia trinitaria doveva apparire poco comprensibile e la definì “una questione fin troppo sciocca”. Perciò sperò di ridimensionare il problema con una lettera speciale inviata ad Alessandria d’Egitto nel 324. Tuttavia, fallito il tentativo e preoccupato per la situazione, indisse a Nicea un apposito concilio (325). Seguì personalmente tuttii i lavori di preparazione. Non propendeva nè per l’una nè per l’altra tesi ma aveva uno scopo politico. Voleva riappacificare l’impero e decidere in via definitiva se il Figlio fosse inferiore al Padre o suo coeguale. Al concilio il papa Silvestro I non prese parte ma vi presenziava l’imperatore. Ciò la dice lunga sul significato squisitamente politico dell’iniziativa.  E alla fine gli ariani vennero condannati.

Nonostante la scomunica l’idea ariana continuò ad avere larga diffusione tra i Goti sia in oriente che in occidente, al punto che nel 328 i vescovi esiliati dopo il concilio sono ristabiliti nelle loro sedi. Ario è anche accolto a corte riuscendo a convincere l’imperatore della bontà della sua fede. Atanasio, personaggio di spicco della parte avversa, finisce a sua volta condannato all’esilio.

La simpatia di Costantino per l’arianesimo è confermata dal fatto che in punto di morte si fece battezzare da un vescovo ariano, Eusebio di Nicomedia, amico di Ario. Dopo la sua morte Costanzo II accettò l’arianesimo come religione ufficiale dell’impero, fede che superò indenne la parentesi dell’imperatore Giuliano (che tentava di ripristinare il paganesimo) e rimase in piedi anche sotto Valente.

Prima di morire Eusebio nominò vescovo e suo successore Ulfila, colui che avrebbe inventato una nuova  scrittura ed i famosi caratteri dell’alfabeto gotico, necessari per tradurre la Bibbia in una lingua che fino ad allora era solo parlata.  L’arianesimo continuava dunque a diffondersi in tutto l’impero ma venne a crearsi gradualmente una netta distinzione di credo tra i romani cattolici e i barbari ariani.

Alcuni popoli barbarici, tra cui i Franchi, preferirono avvicinarsi ai romani. I Franchi si convertirono forzatamente al cattolicesimo di Roma dopo il battesimo del loro re Clodoveo nel 496. A partire da quel momento l’arianesimo cominciò a vacillare e l’imperatore Giustiniano impose il credo trinitario di  Nicea all’Africa e all’Italia. I Visigoti ariani si ritirarono in Spagna terra che rimase uno degli ultimi baluardi di questa fede. Nel 589 è indetto il concilio di Toledo da cui emerge anche in Spagna la preferenza per il cattolicesimo, il che segna la fine definitiva dell’arianesimo.

Solo i Longobardi restarono ancora per qualche decennio fedeli all’arianesimo, ma ormai questo modo di credere stava volgendo al tramonto. Quando Gregorio Magno fu Papa nel 590 il cattolicesimo primeggiava quasi ovunque.

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