La contemplazione della volta celeste

La contemplazione della volta celeste, da sola, suscita il senso del divino. Gli uomini con la contemplazione della volta celeste cercavano di comprendere cosa fosse quella spettacolare manifestazione di potenza, immaginando quali ne fossero le cause e le origini. Le difficoltà di comprensione stimolarono il pensiero dando il via alla formazione di cosmogonie, categorie filosofiche, indagini scientifiche ed elaborazioni nel mito. La contemplazione del cielo stimolava il cammino della coscienza e della riflessione su Dio.

Anche per me fu tra le prime scoperte. Una notte stavo in braccio a mia madre, non avevo due anni, e alzai gli occhi al cielo. Dall’aia di fronte a casa si vedeva il luccichio delle stelle, della via lattea, spettacolo indimenticabile. Mia mamma m’indicò un punto nel cielo. Non lo potrò mai dimenticare. Fu come quando Abramo fu invitato a contare le stelle. Aprì gli occhi su una realtà ben più grande di me. (Genesi 15:5)

 La Bibbia inizia con la narrazione della creazione del cielo e della terra. Gesù insegnò a pregare il Padre nostro che sta nei cieli. Tuttavia fin dalle origini fu il cielo anzicchè il Padre ad essere adorato. Gli antichi con la contemplazione del cielo attribuirono natura divina al sole, alla luna, alle stelle e a tutti i corpi celesti. Essi annoveravano fra gli dei il cielo stesso e la terra. Ecco perchè Geova ripetutamente  dichiara la propria superiorità rispetto ad ogni corpo celeste, ad ogni entità materiale. 1Re 19:9-13 ci trasmette il preciso senso di questo ineffabile, rischioso sentimento religioso. La vicenda è legata ad Elia. La pagina è tra le più toccanti e va letta.

“Lì entrò in una caverna e vi passò la notte; ed ecco che la parola di Geova gli fu rivolta, dicendo: “Che fai qui, Elìa?”[…] “Esci e sta’ sul monte alla presenza di Geova”. Ed ecco che Geova passava,  e un grande e forte vento spaccava i monti e frantumava le rocce davanti a Geova, ma Geova non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma Geova non era nel terremoto.  

Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma Geova non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu una voce calma, sommessa.  Non appena la sentì, Elìa si coprì la faccia con la veste ufficiale, uscì e stette all’ingresso della caverna. Quindi una voce gli chiese: “Che fai qui, Elìa?”  Lui rispose: “Ho avuto grande zelo per Geova, l’Iddio degli eserciti, perché il popolo d’Israele ha abbandonato il tuo patto, ha demolito i tuoi altari e ha ucciso con la spada i tuoi profeti. Io sono l’unico rimasto, e ora cercano di togliermi la vita”.

Numinoso (dal latino numen = nume) in filosofia e nella storia delle religioni sta ad indicare l’esperienza della presenza del divino, presenza invisibile, maestosa, potente, che ispira terrore ed attira. La contemplazione del cielo ne costituisce la base. Detto in questi termini, il riferimento non è a un dio specifico ma a un’entità superiore indefinita e potente tipica della religiosità agricola arcaica, legata ai fenomeni naturali nei quali era intravista la potenza divina, diffusa negli elementi naturali come il tuono e il fulmine, nei bacini lacustri e nelle foreste, resi sacri dalla presenza divina. Per secoli la religione tradizionale  dei cananei, dei romani o dei greci  rimase pervasa dalla presenza di queste forze indefinite. Potevano essere i geni del luogo o gli spiriti tutelari.

Caino chi adorava? Fin dall’inizio nelle società umane più primitive venne all’esistenza una forma di monoteismo primordiale basato sull’adorazione del sole. Bisognerebbe immedesimarsi con l’uomo arcaico mentre osservava il cielo. La contemplazione della volta celeste aveva un significato del tutto diverso che per noi, che non siamo più neppure lontanamente abituati a vivere in quella dimensione. Il cielo allora si presentava in tutta la sua realtà trascendente e rivelava la pochezza dell’uomo. L’uomo moderno non lo può più capire. Credere che gli uomini del passato potessero divinizzare i pianeti e rendere loro adorazione può sembrare perfino inconcepibile. Io stessa faccio fatica a capire. Ma allora la tentazione era grande.

L’alto in quanto tale è una categoria che appartiene al divino. Il cielo è infinito, alto, immutabile, potente ed è subito la sede di Dio. Tutto ciò che avviene negli spazi celesti costituisce un momento di rivelazione divina. E’ la percezione originaria del sacro. E’ un’esperienza complessa che tocca gli strati più profondi dell’essere e che l’uomo d’oggi ha difficoltà a intendere e provare. Viene spesso a mancare il rapporto diretto con le potenze della natura che possono trasmettere il brivido dentro. E’ timore reverenziale nel momento del mistero, il rispettoso farsi indietro, il pudore di fronte alla tremendissima maestà del divino. Il cielo e la terra sono immagini primordiali che creano un senso di riverenza di fronte all’ordine sovrumano del tutto. Il concetto di una divinità diffusa,  di un’energia soprannaturale che permea tutte le cose viventi è tipico di molte religioni.

L’agricoltura rese possibile una nuova intuizione del cosmo fondata su speranze di fertilità e di rinascita che conducevano alla venerazione di nuove divinità. Il lavoro dei campi è denso di pericoli. L’incertezza del raccolto è legato al ciclo delle stagioni, al sole, alla pioggia e diventa l’orizzonte totale dell’esperienza di vita. Il primitivo percepisce la fecondità della terra come un miracolo. Non ci sono ancora vere e proprie tecniche, non ci sono molti strumenti, non c’è niente di scontato. In un momento tutto può essere perduto. La vita dipende da due gruppi contrapposti di forze, uno solare e luminoso, l’altro lunare ed oscuro. C’è una continua angoscia di vedere rotto quell’equilibrio originale…Ci sono tante cose che non si possono vedere, che non si possono sapere.

Senza quell’angoscia del pensiero del domani sarebbe mai l’uomo arrivato al pensiero di un Dio? Eppure in quei momenti d’incertezza l’uomo ci pensava… E Geova dall’alto dei cieli osservava. Fu Lui, un Dio che si tiene nascosto (Isaia 45:15) a farsi presente, fin dagli albori. Non era lontano. Era lì. Ma bisognava cercare.  Perchè Lui “non è lontano da ciascuno di noi.” Atti 17:27

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