I Boanèrghes erano cugini di Gesù. “Quando si avvicinava il tempo della sua ascensione, Gesù decise fermamente di andare a Gerusalemme. Così mandò davanti a sé dei messaggeri. Questi partirono ed entrarono in un villaggio samaritano per fare i preparativi per il suo arrivo. Gli abitanti, però, non lo accolsero amichevolmente, visto che intendeva andare a Gerusalemme. Vedendo ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni chiesero: “Signore,vuoi che invochiamo un fuoco dal cielo che li annienti?” Ma lui si voltò e li rimproverò. E andarono in un altro villaggio. (Lu 9:51-54)
Gesù aveva soprannominato questi due, che erano figli di suo zio Zebedeo, e quindi suoi cugini, Boanèrghes, che significa “figli del tuono” (Marco 3:17) Se ne dedurrebbe che i due fossero pieni di impetuosa energia.
Dalla loro bocca esce fuoco.
Che cosa rappresentano questi due discepoli? Essi sono gli stessi che Gesù portò con sé in importanti occasioni. Assisterono a delle risurrezioni e furono con lui anche al momento della trasfigurazione.

Pietro, in merito a quest’ultima situazione, scrisse: “Vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la presenza del nostro Signore Gesù Cristo non perché abbiamo seguito false storie inventate ad arte, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua magnificenza. Lui infatti ricevette da Dio Padre onore e gloria, quando dalla maestosa gloria gli furono rivolte queste parole: “Questo è mio Figlio, il mio amato Figlio, che io ho approvato”. Queste furono le parole che sentimmo dal cielo mentre eravamo con lui sul monte santo”. 2Pietro 1:16-18
Sulla base di queste indicazioni della lettera di Pietro, la trasfigurazione è un simbolo, un modello della presenza o parousia del Cristo, la quale ebbe inizio verso l’Aprile del 2019. Ai tre discepoli sul monte viene data una visione di Gesù che conversa con Mosè ed Elia. Questi sono i due profeti che fanno da controfigura ai due testimoni di Rivelazione 11:3-6.
Essi, come Mosè, hanno per così dire il potere di trasformare l’acqua in sangue e di colpire la terra con terribili piaghe come accadde durante la leadership di Mosè in Egitto. Inoltre hanno anche, sempre in senso simbolico, il potere di non far scendere la pioggia durante i giorni in cui profetizzano. Questo stesso fatto era accaduto nel caso di Elia che con una sentita preghiera aveva ottenuto che il cielo si chiudesse per tre anni e mezzo. (Giacomo 5:17)
Per giunta dalla bocca dei due testimoni esce fuoco. Questo non vuol dire che i due abbiano facoltà tali da poter uccidere fisicamente chi vuol fare loro del male. In realtà si tratta di sottolineare il potere giudiziario di Dio. I due testimoni annunciano e proclamano non già il loro potere personale ma l’adempimento delle piaghe di Rivelazione: le sette coppe, i sette tuoni, i sette sigilli e tutto il resto. Essi, i due testimoni, sono assai ben rappresentati da Giacomo e Giovanni, i boanèrghes, i quali si proponevano di far scendere fuoco dal cielo.
Drammi simbolici
Nelle Scritture ci sono drammi simbolici scritti in anticipo per illuminare situazioni che si ripresenteranno poi nel futuro. Per esempio in 1Cor 10:1-10 si ricordano le tristi vicende che capitavano in mezzo al popolo d’Israele dopo l’uscita dall’Egitto e il versetto 11, tirando le somme, conclude: “Queste cose accaddero loro come esempio, e sono state scritte per nostra istruzione, per noi sui quali è arrivato il termine dei sistemi di cose.” Nella Bibbia ci sono continui corsi e ricorsi che si ripetono al termine dei diversi sistemi di cose: 1) la caduta di Gerusalemme nel vi secolo a.C., 2) quella nel primo secolo d.C. e 3) il termine del sistema presente.
Galati 4:24 parla di un dramma simbolico in cui le attrici sono Agar e Sara che rappresentano i due patti. Allo stesso modo anche Debora e Barac costituiscono un dramma simbolico in rappresentazione dell’attività dei due testimoni di Apocalisse. I due testimoni odierni sono un uomo e una donna, madre e figlio.
Ciò che potrebbe facilmente stupire è che un tale incarico sia stato conferito anche a una donna. Quando l’ho raccontato a una persona a me cara, si è messa a ridere dicendo: “Sì, si tratterebbe proprio di te! Che presuntuosa!” Le ho risposto che sì, sono consapevole delle mie limitazioni ma che se un incarico deve essere dato a qualcuno, sicuramente quel qualcuno deve venire fuori al momento giusto.
Una donna giudice in Israele
In ogni caso veniamo a Debora. Ciò che stupisce come un fatto eccezionale è che l’incarico di giudice in Israele fosse in quel tempo svolto da una donna. All’epoca tutti gli altri giudici erano di sesso maschile. Debora costituì quindi un’eccezione, e a lei furono riservati diversi privilegi di solito ad esclusivo appannaggio maschile. La profetessa Debora con Barac e Sisera incarna un dramma simbolico che prefigurava i tempi e di Har-Maghedon.
Proviamo ad abbozzare il quadro della situazione facendo un ritratto dei personaggi. Il quarto capitolo di Giudici ad un certo punto racconta: A giudicare Israele c’era in quel tempo Debora, una profetessa, moglie di Lappidòt. Era solita sedere sotto la palma di Debora, fra Rama e Bètel, nella regione montuosa di Èfraim; e gli israeliti salivano da lei per il giudizio. (Gdc 4:4,5)

Il miele
Il nome “Debora” in ebraico significa “ape”, l’insetto che produce miele per nutrire un popolo militarmente organizzato. Anche a Giovanni l’angelo porgendogli un rotolino disse: “Va, prendi il rotolo aperto che è nella mano dell’angelo che sta in piedi sul mare e sulla terra”. E andai dall’angelo e gli dissi di darmi il rotolino. Ed egli mi disse: “Prendilo e mangialo, ed esso renderà amaro il tuo ventre, ma nella tua bocca sarà dolce come il miele”. Ri 10:8-9 Questa visione fu data anche a me. Lo studio della profezia biblica mi divenne dolce come miele ma la persecuzione nella congregazione dei Testimoni di Geova mi fu amara.
La profetessa
Debora aveva il dono della profezia. Un giorno fece chiamare Barac e gli trasmise l’ordine divino: “Va’, marcia sul monte Tabor e prendi con te diecimila figli di Nèftali e di Zàbulon. Io attirerò verso di te al torrente Chison Sisera, capo dell’esercito di Iabin, con i suoi carri e la sua numerosa gente, e lo metterò nelle tue mani”.
Barac rispose all’ordine e riunì un gran numero di uomini dalle varie tribù, ma non tutte, cosa che poi fu rimproverata alle tribù assenti. Barac chiese a Debora di marciare al suo fianco, al che lei rispose di sì. Accettando però soggiunse: non sarà tua la gloria ma Geova metterà Sisera nelle mani di una donna.
La battaglia
Sotto la guida di Debora e al comando di Barac ebbe luogo una grande battaglia delle forze riunite di Israele contro i nemici cananei guidati da Sisera, con i loro 900 carri di ferro con falci affilate alle ruote. La lotta fu accanita. L’esercito di Sisera era numericamente superiore, e la vittoria alla fine avrebbe potuto essere sua.
Un diluvio torrenziale però infradiciò il terreno sotto le ruote dei carri, che affondarono nel fango, e l’esercito di Sisera iniziò la fuga. Nessuno dei soldati cananei riuscì a salvarsi, e vennero passati tutti a fil di spada.
Sisera riuscì a fuggire e trovò rifugio nella tenda di Iael, moglie di Heber, un alleato di Iabin. Mentre morto dalla fatica dormiva nella tenda, Iael prese un piolo e glielo conficcò nella tempia. Come aveva predetto Debora, la gloria arrivava per mano di una donna.
Finita la battaglia, i due intonarono uno dei più bei cantici di vittoria di tutti i tempi il cui testo, tra l’altro dice: “Vennero i re, combatterono; quindi i re di Canaan combatterono a Taanac presso le acque di Meghiddo. Non presero alcun guadagno d’argento. Dal cielo combatterono le stelle, dalle loro orbite combatterono contro Sisera. Il torrente Chison li spazzò via, il torrente dei giorni antichi, il torrente Chison. (Gdc 5:20,21) Questa vittoria segnò la pace del popolo di Israele per 40 anni.
Un dramma simbolico per i tempi di Armaghedon
Taanac si trovava a circa 8 km da Meghiddo, città che a sua volta era posta nei pressi del monte Carmelo. Debora, Barac, Sisera compongono un dramma simbolico per i tempi di Har-Maghedon.
Proviamo a tratteggiare un ritratto dei tre personaggi. Il quarto capitolo di Giudici racconta:
Dopo la morte di Èud, gli israeliti ricominciarono a fare ciò che era male agli occhi di Geova. Geova li diede dunque in mano a Iàbin, re di Cànaan, che regnava ad Hàzor. A capo del suo esercito c’era Sìsera, il quale dimorava ad Aròset-Goìm. Poi gli israeliti implorarono Geova, perché Iàbin aveva 900 carri da guerra muniti di falci di ferro e da 20 anni li opprimeva duramente. A giudicare Israele c’era in quel tempo Debora, una profetessa, moglie di Lappidòt.
Era solita sedere sotto la palma di Debora, fra Rama e Bètel, nella regione montuosa di Èfraim; e gli israeliti salivano da lei per il giudizio. Debora mandò a chiamare Bàrac, figlio di Abinòam, che si trovava a Chèdes-Nèftali, e gli disse: “Geova, l’Iddio d’Israele, ti ha dato il seguente comando: ‘Va’, marcia verso il monte Tàbor, e prendi con te 10.000 uomini da Nèftali e da Zàbulon. Porterò Sìsera, capo dell’esercito di Iàbin, con i suoi carri da guerra e le sue truppe lì da te, presso il torrente Chìson, e te lo darò in mano’”. Giudici 4:2-6
Debora era la moglie di Lappidot. Questo nome significa torce di fuoco o lampi. Lo stesso vale per il nome di Barac che significa lampo. I nomi nella Bibbia sono scelti con cura. In questo contesto il tema del fuoco emerge con particolare evidenza. Così pure il collegamento con gli altri personaggi, tutti legati da un filo rosso, il fuoco: Debora e Barac, i boanerghes e i due testimoni dell’Apocalisse.
Debora e Barac erano magari marito e moglie, ma non sarebbe impossibile pensare che fossero madre e figlio. Barac era figlio di Abinoam, che significa padre di piacevolezza. Non si potrebbe però escludere che Lappidot e Abinoam fossero la stessa persona o che Abinoam fosse stato un primo marito di Debora. I boanerghes erano fratelli, cugini del Cristo. I due testimoni dei tempi moderni sono madre e figlio.
Le acque di Meghiddo
Ricordiamo che la battaglia sotto la guida di Debora e Barac avvenne presso le acque di Meghiddo, un’antica città il cui nome è strettamente collegato ad Armaghedon. Il luogo har-maghedon o monte di Meghiddo non è un luogo reale. Esisteva però una città. Di conseguenza in Apocalisse significherebbe il luogo dove la bestia politica e i re che si oppongono al Cristo saranno distrutti come accadde ai soldati Cananei sotto il comando di Sisera.
Etimologicamente questo nome, Sisera, potrebbe significare in lingua Egizia: ses-rah, schiavo del dio sole. Armaghedon è il luogo/situazione della distruzione dei nemici di Dio. La parola ebraica topos indica non semplicemente un luogo ma anche una condizione, una situazione od una opportunità.
Su Armaghedon ci sono ancora diverse cose da dire
Poi vidi un angelo in piedi nel sole, che gridò a gran voce a tutti gli uccelli che volano in mezzo al cielo: “Venite, radunatevi per il grande banchetto di Dio, per mangiare la carne dei re, la carne dei comandanti, la carne dei potenti, la carne dei cavalli e dei cavalieri e la carne di tutti, liberi e schiavi, piccoli e grandi!”
E vidi la bestia feroce e i re della terra con i loro eserciti, radunati per far guerra a colui che stava sul cavallo e al suo esercito. Ma la bestia feroce fu presa, e con essa il falso profeta che alla sua presenza aveva compiuto i segni con cui aveva sviato quelli che avevano ricevuto il marchio della bestia feroce e quelli che adoravano la sua immagine. Entrambi furono gettati vivi nel lago di fuoco in cui brucia zolfo. Gli altri furono uccisi dalla lunga spada che usciva dalla bocca di colui che stava sul cavallo, e tutti gli uccelli si saziarono della loro carne. Apocalisse19:17-21
La bestia e i re della terra radunati per far guerra al Messia
La bestia selvaggia o feroce che dir si voglia è una rappresentazione del potere politico che ormai, durante la parousia o presenza del Signore, si manifesta come una tirannide del NWO.
La domanda che mi faccio è la seguente: In che senso la bestia coi re della terra e i loro eserciti potranno far guerra al Cristo montato sul suo cavallo? Evidentemente se la prenderanno con quanti sulla terra saranno schierati dalla parte avversa. Combattere contro i poteri dell’invisibile non sembrerebbe umanamente possibile. Come saranno gli schieramenti? Ci saranno innanzitutto quelli che avranno rifiutato il marchio del 666 e quelli che l’avranno accettato.
Il cantico di Debora dice:
Fra le divisioni di Ruben grandi furono le investigazioni del cuore. Comprendiamo che nel caso della battaglia di Meghiddo non tutte le tribù d’Israele furono tra i partecipanti. Ci fu nel popolo molta investigazione del cuore. Il cantico aggiunge che ci fu un popolo che disprezzò la propria anima fino al punto della morte. Non sappiamo come evolveranno i fatti nei prossimi mesi ma certamente rifiutare il vaccino sarà un atto coraggioso. Si discute sempre più di un passaporto vaccinale e del fatto che chi non potesse esibirlo si troverebbe escluso da diverse attività.
Anche oggi sempre più persone si chiedono che cosa rappresenti l’imposizione mondiale di un vaccino per tutti. Alcuni che lo hanno già fatto si stanno ponendo gravi, dolorose domande. Ormai iniziano a manifestarsi dovunque i tragici effetti collaterali che possono arrivare fino alla morte. Il fatto è che, adesso che nel mondo si sono vaccinate decine e decine di milioni di persone, si sollevano dubbi sulla sicurezza di Astrazeneca, Moderna o di Pfizer.
Non corrisponderebbe questo alla situazione di apertura dopo la fuga di Cestio Gallo da Gerusalemme? Sarebbe una pausa di riflessione in cui a molti sarebbe offerta una ulteriore possibilità di ripensamento. Adesso, a questo punto siamo in una fase di preparazione verso Armaghedon ormai molto avanzata. Sta a noi prendere una decisione, sapendo che comunque dovremo affrontare circostanze difficili che ci potrebbero sembrare molto rischiose.
Tuttavia proprio come nel caso della battaglia presso le acque di Meghiddo Geova sarà al nostro fianco e “dal cielo combatteranno le stelle”.
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