Una concubina trattata malissimo

Essere una concubina non dava gli stessi diritti di una moglie. Ci sono, nella Bibbia, narrazioni diverse che appartengono a contesti tra di loro remoti e che, tuttavia, sono molto simili. Mi riferisco ai capitoli 19 dei due libri di Giudici e Genesi che presentano elementi comuni.

Nel racconto di Giudici compare una concubina che sembra far da contrappunto alla meretrice di Rivelazione 17:16, la quale, devastata e nuda, viene bruciata nel fuoco. Viceversa la donna di Giudici viene smembrata in 12 parti e mandata alle 12 tribù d’Israele. È una storia sconvolgente di violenza di gruppo da parte di un’intera comunità e della fredda indifferenza di un marito. È anche la storia di una donna senza nome che subisce la più terribile delle sorti per mano di un gruppo di uomini. La crudeltà dello stupro e dell’omicidio perpetrati contro questa concubina costituiscono certamente una delle scene di maggior violenza di tutta la Scrittura.

In questo articolo mi propongo di mostrare le analogie tra le vicissitudini subite dalla povera sventurata e varie situazioni che emergono nel mondo odierno. 

Concubina o moglie secondaria

Il personaggio più in vista del racconto è un levita, un uomo di rango, nipote nientepopodimeno che di Mosè. Quest’uomo, pur abitando nelle parti remote di Efraim, aveva per concubina una donna di Betleem. In tutta la storia, la ragazza si presenta come un soggetto silenzioso e passivo. Si misero assieme, ma lei, forse, non dovette passare molto tempo con lui. Dopo un po’ di tempo la donna scappò di casa e tornò da suo padre. Successivamente, passati quattro mesi, il levita si mise alla sua ricerca.

Forse vi chiederete qual era la posizione di una concubina a quei tempi. In origine le concubine potevano essere donne straniere, prigioniere di guerra, mogli secondarie con meno diritti per sé e per i figli. Consideriamo il valore simbolico. Nel cantico dei cantici Salomone aveva mogli e concubine. Il senso? Con riferimento al più grande Salomone, il Cristo, le mogli sono quelle che hanno ottenuto il suggello finale mentre le concubine sono gli eletti ancora in vita e che devono ancora ricevere la conferma di approvazione. (Ca 6:8-9)

Il levita

Cerchiamo adesso di inquadrare la figura del levita. Il suo nome era Gionatan. (Gdc 18:30) Questo “fenomeno” di marito entra in scena in Giudici da 17 a 21. Gli avvenimenti raccontati in questi capitoli avvennero probabilmente non molti anni dopo la morte di Giosuè, quando un nipote di Mosè stava ancor in giro sul suolo d’Israele. Sì, perché Gionatan non era uno qualsiasi ma era un uomo di potere. Proviamo a ricostruire la sua storia. Per comprendere il tutto dobbiamo raccontare prima la storia di un altro personaggio un po’ fuori dalle righe, Mica. Costui era un efraimita che, violando l’ottavo dei Dieci Comandamenti, sottrasse 1.100 pezzi d’argento a sua madre.

Quando confessò e li restituì, questa portò 200 pezzi d’argento a un argentiere il quale fece “un’immagine scolpita e una statua di metallo fuso” che in seguito fu collocata nella casa di Mica. Questi, che ormai aveva una “casa di dèi” tutta ben accessoriata, fece un efod e dei terafim e incaricò uno dei suoi figli di fungere da sacerdote per lui. Anche se ciò in apparenza, e a suo modo di vedere, doveva onorare Geova, era un atto idolatrico, in violazione del comandamento che vieta l’uso di immagini e simboli idolatrici nell’adorazione, e non teneva conto dell’esistenza del tabernacolo e del sacerdozio di Geova. In seguito Mica accolse in casa sua un giovane levita, Gionatan figlio di Ghersom figlio di Mosè, un uomo di tutto rispetto, stipendiandolo perché gli facesse da sacerdote.

Una “casa di dei” che viene depredata

In quei giorni i daniti, in cerca di un territorio in cui stabilirsi, inviarono cinque esploratori (notare: cinque, come le vergini stolte) che giunsero infine in Efraim “alla casa di Mica, e vi passavano la notte”. Mentre erano vicini alla casa di Mica, costoro riconobbero la voce di Gionatan, scoprirono cosa stava facendo lì e lo pregarono di interrogare Dio per sapere se la loro impresa sarebbe riuscita. Il sacerdote disse loro: “Andate in pace. La via per la quale andate è davanti a Geova”. Quindi esplorarono Lais e tornarono a riferire ai loro fratelli, dopo di che i cinque esploratori e 600 daniti pronti a combattere si diressero verso quella città, “contro un popolo quieto e non sospettoso”.

Mentre passavano dalla casa di Mica, gli esploratori parlarono ai loro fratelli degli oggetti di culto che questi possedeva e proposero di impadronirsene. I daniti li presero e convinsero il levita che per lui sarebbe stato meglio essere sacerdote di una tribù e famiglia di Israele che di un solo uomo. Quindi presero l’efod, i terafim e l’immagine scolpita e proseguirono portando con sé anche il levita.

Gionatan, un levita prezzolato

Mica, con un gruppo di uomini, inseguì i daniti ma visto che i daniti erano molto più forti, Mica e i suoi uomini se ne tornarono a casa. In seguito i daniti abbatterono e incendiarono Lais, i cui abitanti essi “colpivano col taglio della spada, e bruciavano la città col fuoco. E non c’era liberatore, perché era lontana da Sidone, e non avevano proprio nulla a che fare col genere umano”, e al suo posto costruirono la città di Dan. Gionatan e i suoi figli diventarono sacerdoti dei daniti, i quali “tennero eretta per sé l’immagine scolpita di Mica, che egli aveva fatto, per tutti i giorni che la casa del vero Dio [il tabernacolo] restò a Silo”. Questa città, Dan, con il suo santuario, costituì una delle sedi principali per l’adorazione dei vitelli introdotta più tardi da Geroboamo.

Ora questo levita di nome Gionatan, originario di Betleem, è evidentemente lo stesso levita che ritorna a Betleem per riprendersi la concubina che lo aveva lasciato. Si trattava dunque di un prete prezzolato che, sfruttando il proprio carisma di famiglia, si prostituiva spiritualmente per poter sbarcare il lunario.

“E l’uomo andava dalla città di Betleem di Giuda a risiedere temporaneamente dovunque trovasse un posto. Alla fine, mentre andava per la sua via, giunse nella regione montagnosa di Efraim alla casa di Mica. Quindi Mica gli disse: “Da dove vieni?” Allora gli disse: “Sono un levita di Betleem di Giuda, e sono in cammino per risiedere temporaneamente dovunque io trovi un posto”. Mica dunque gli disse: “Dimora con me e servimi come padre e sacerdote, e io, da parte mia, ti darò dieci pezzi d’argento l’anno e la solita muta di vesti e i tuoi viveri”. Pertanto il levita entrò.” (Gdc 17:8-10)

Un periodo di quattro millenni

La ragazza rimase a casa di suo padre per quattro mesi dopo di che il levita si mise alla sua ricerca. Questa semplice situazione solleva diverse domande. Perché aspettò quattro mesi? Se era alla ricerca di una effettiva riconciliazione perché nel suo successivo comportamento la ignora sempre del tutto? Quali che siano le sue motivazioni, il levita è bene accolto dal padre della concubina e si gode l’ospitalità a casa di lei. Il vino ed il cibo non mancano e la compagnia è piacevole. Come ai giorni di Noè o ai tempi nostri della fine gli uomini “mangiavano e bevevano e non s’accorsero di nulla”. (Cfr. Mt 24:37-39)

Della concubina non si dice mai niente. Gli uomini sono gli attori principali. Lei è una semplice comparsa. Poi alla fine, verso la sera del quinto giorno, il levita proprio se ne vuole tornare. “Con lui c’erano i due asini sellati, la concubina e il servitore” …come se la concubina avesse meno valore di tutti gli altri personaggi, asini compresi.

Se calcoliamo i quattro mesi che il levita aspetta prima di mettersi in viaggio come un periodo di quattromila anni, ecco che facciamo un salto nel tempo e ci catapultiamo da un lato ai tempi di Sodoma e dall’altro esattamente ai nostri giorni. Se si calcola che Isacco nacque nel 1918 a. E.V. e che Sodoma era appena stata distrutta si tratta di un periodo di circa quattro millenni per arrivare da allora a noi.

Ecco dunque che la donna prefigura le masse amorfe che, spiritualmente maltrattate dal clero religioso, nel corso dei vari millenni, prendono via via le distanze dai loro capi.

Andremo fino a Ghibea

La decisione del levita di partire da Betleem di sera appare da subito discutibile. Ma la decisione di passare oltre Gerusalemme fino a Ghibea appare disastrosa. La città fu raggiunta quando il sole tramontava. Lì giunti, si fermarono nella piazza della città in attesa di essere ospitati a casa di qualcuno. Alla fine un uomo che non era del posto, un vecchio della regione montagnosa di Efraim e dunque originario dello stesso territorio dove abitava il levita, arrivando stanco dal lavoro, si offrì di ospitarli. Aveva quindi inizio quella che tutti speravano essere una tranquilla serata di ristoro.

Fa uscire quell’uomo

Quello che seguì invece fu terribile per tutti, ma a farne davvero le spese fu proprio la concubina. La loro piacevole nottata di riposo fu bruscamente interrotta quando una folla di uomini del posto bussarono alla porta insistendo che il visitatore maschio fosse fatto uscire in modo che ci si potesse intrattenere sessualmente con lui. Si trattava di una sconsiderata violazione delle regole dell’ospitalità. La stessa situazione che si era presentata a Sodoma quando Lot aveva ospitato in casa due angeli venuti per esortarlo ad uscire dalla città.

“Prima che potessero coricarsi, gli uomini della città, gli uomini di Sodoma, accerchiarono la casa, dal ragazzo al vecchio, tutto il popolo in una turba.  E chiamavano Lot e gli dicevano: “Dove sono gli uomini che sono entrati da te questa notte? Portaceli fuori affinché abbiamo rapporti con loro”.

Lot e le figlie

Infine Lot uscì verso di loro all’ingresso, ma chiuse la porta dietro di sé.  Quindi disse: “Vi prego, fratelli miei, non agite male.  Vi prego, ecco, ho due figlie che non hanno mai avuto rapporti con un uomo. Vi prego, lasciate che ve le porti fuori. Quindi fate loro ciò che è bene ai vostri occhi. Solo non fate nulla a questi uomini, perché per questo sono venuti all’ombra del mio tetto”.  A ciò dissero: “Fatti indietro!” E aggiunsero: “Quest’uomo solitario venne qui per risiedere come forestiero eppure vuole realmente fare da giudice. Ora faremo a te peggio che a loro”. E premevano gravemente sull’uomo, su Lot, e si accostavano per forzare la porta.  Gli uomini stesero dunque le mani e trassero a sé Lot, nella casa, e chiusero la porta.  Ma colpirono di cecità gli uomini che erano all’ingresso della casa, dal più piccolo al più grande, così che si stancavano cercando di trovare l’ingresso.” (Ge 19:1-11)

Come Lot, l’efraimita esce a trattare con la folla e rifiuta di cedere l’ospite maschio. Egli propone le stesse soluzioni proposte da Lot in quanto si affretta ad usare la sua stessa figlia ancora vergine e la concubina del suo ospite come merce di scambio. Lo stupro omosessuale sarebbe stata una palese violazione delle regole dell’ospitalità, che erano pesantemente sbilanciate in favore degli uomini. Violentare una donna non sembrava avesse le stesse implicazioni. La donna diventa una vittima del vecchio efraimita suo ospite, del Levita di Efraim, suo marito e dei depravati mascalzoni di Ghibea.

Merce di scambio

Esaminiamo la descrizione del libro dei Giudici: “Allora lo condusse nella sua casa e gettò foraggio agli asini. Quindi si lavarono i piedi e mangiavano e bevevano. Mentre facevano sentir bene il loro cuore, ecco, gli uomini della città, semplici uomini buoni a nulla, accerchiarono la casa, spingendosi gli uni gli altri contro la porta; e dicevano all’uomo vecchio, al proprietario della casa: “Fa uscire l’uomo che è entrato nella tua casa, affinché abbiamo rapporti con lui”. Allora il proprietario della casa uscì da loro e disse loro: “No, fratelli miei, non fate nulla di male, vi prego, giacché quest’uomo è entrato nella mia casa. Non commettete questa vergognosa follia.  Ecco la mia figlia vergine e la sua concubina. Lasciate che ve le conduca fuori, vi prego, e violentatele e fate loro ciò che è bene ai vostri occhi. Ma a quest’uomo non dovete fare questa cosa vergognosa, folle”. (Gdc 19:22-24)

La caricò sull’asino

Ecco che alla richiesta di quei prepotenti, gli uomini della casa discutevano sul da farsi. Mentre la vergine figlia dell’ospite usciva di scena, il levita ospitato a casa d’altri non aveva esitazioni nell’offrire la sua concubina. Il lettore attento potrebbe notare il contrappunto legato alla parabola di Matteo 25 sulle vergini sagge e le stolte simbolicamente rappresentate nel capitolo di Giudici qui considerato dalla figlia vergine e dalla concubina. Dopo ore di supplizio, una volta che gli uomini ebbero finito con quest’ultima, lasciarono il suo corpo sulla soglia. A quanto pare il suo padrone aveva dormito placido all’interno senza preoccuparsi in alcun modo. Quando si alzò per partire la trovò muta sulla soglia. Così il levita raccolse quel corpo strapazzato, lo caricò sull’asino e tornò a casa.

Guerra civile

Giunto a casa, il levita divise il cadavere in dodici pezzi mandandoli per tutto il territorio d’Israele. Era qualcosa di simile a quello che più tardi avrebbe fatto Saul quando fece a pezzi una coppia di buoi e li distribuì alle tribù d’Israele per incitarli alla battaglia. Anche l’azione del levita sembrò sortire l’effetto desiderato. Quello che ne conseguì fu guerra civile! L’azione del levita servì solo a dar libero corso alla violenza dato che tutto Israele si radunava a Mizpa. Il risultato fu che oltre 25.000 soldati di Beniamino e circa 50.000 d’Israele morirono in battaglia e le città di Beniamino furono date alle fiamme.

Una sola città non partecipa alla guerra

“E proseguirono, dicendo: “Chi dalle tribù d’Israele non è salito a Geova a Mizpa?” Ed ecco, da Iabes-Galaad nessuno era entrato nel campo alla congregazione.  Quando il popolo fu contato, ebbene, ecco, non c’era nessun uomo dagli abitanti di Iabes-Galaad.  Perciò l’assemblea vi mandava dodicimila degli uomini più valorosi e comandava loro, dicendo: “Andate, e dovete colpire gli abitanti di Iabes-Galaad col taglio della spada, anche le donne e i piccoli. E questa è la cosa che dovete fare: Dovete votare alla distruzione ogni maschio e ogni donna che ha avuto l’esperienza di giacere con un maschio”.  Comunque, trovarono fra gli abitanti di Iabes-Galaad quattrocento ragazze, vergini, che non avevano avuto rapporti con uomo, giacendo con un maschio. Le condussero dunque all’accampamento di Silo, che è nel paese di Canaan.” (Gdc 21:8-12)

Scampato un rimanente

In quell’occasione gli israeliti quasi sterminarono l’intera tribù di Beniamino. Scamparono solo 600 maschi, numero che corrisponde a quello dei 600 che conquistarono Lais. Queste due città dunque, Lais e Iabes-Galaad, sono da considerare antitetiche, l’una prefigura il popolo descritto in Ezechiele 38:11, 12 e l’altra i morti ostracizzati di Rivelazione. Pertanto, dopo un’accurata indagine, si scoprì che neanche un uomo di Iabes-Galaad era intervenuto nella guerra fratricida. Evidentemente si erano mantenuti neutrali.

Fu perciò deciso che ogni uomo, donna e bambino di quella città, ad eccezione delle vergini, dovessero essere messi a morte. Per evitare l’estinzione della tribù di Beniamino, le 400 vergini così risparmiate furono date in moglie ai beniaminiti sfuggiti alla carneficina. Questo per assicurare la continuazione della tribù. Più tardi altre 200 giovani donne furono rapite durante una festa a Silo e indotte a sposare i restanti beniaminiti per lo stesso motivo.

Un dramma simbolico

Cerchiamo adesso di dare un senso ai capitoli che abbiamo esaminato dal libro dei Giudici. Consideriamo che, a partire da Mica, si entra in un mondo di idolatri. Possiamo quindi pensare di dar forma a un intenso dramma simbolico. Pensiamo al levita e alla sua concubina come a una coppia rappresentativa dell’apostata Gerusalemme, alias Babilonia, l’uomo, e alle inerti masse religiose, abuliche e formalmente sottomesse, lei. Il padre della ragazza? Supponiamo il mondo.

La ragazza riceve un invito formale per tornare ad essere una moglie…Dunque, come nel cantico di Salomone, quel matrimonio avrebbe potuto confermarsi migliore. Tuttavia, la ragazza fa una bruttissima fine. È la situazione della moglie di Lot che si ripete. Costei, giunta ormai a Zoar, cioè alla salvezza, si volge indietro e diventa una statua di sale. Anche oggi, con la questione del vaccino – marchio, molti stanno cadendo nella trappola. Accettando la puntura annullano anni e anni di onorata carriera spirituale. Ma notiamo dovutamente le analogie tra i due racconti di Genesi e di Giudici:

Zoar

Il sole si era levato sul paese quando Lot arrivò a Zoar. Quindi Geova fece piovere zolfo e fuoco da Geova, dai cieli, su Sodoma e Gomorra.  Egli rovesciò dunque queste città, sì, l’intero Distretto e tutti gli abitanti delle città e le piante del suolo. E sua moglie guardava intorno da dietro a lui, e divenne una colonna di sale.” Gen 19:23-26

E abusavano di lei tutta la notte fino al mattino, dopo di che la mandarono via all’ascendere dell’aurora. Quindi la donna venne sul far del mattino e cadde all’ingresso della casa dell’uomo dov’era il suo padrone, fino alla luce del giorno. Più tardi il padrone di lei si levò la mattina e aprì le porte della casa e uscì per avviarsi, ed ecco, la donna, la sua concubina, caduta all’ingresso della casa con le mani sulla soglia! Le disse dunque: “Levati, e andiamo”. Ma non ci fu chi rispondesse. Allora l’uomo la caricò sull’asino e si levò e andò al suo luogo. (Gdc19: 26-28)

Se si esaminano con attenzione i due testi si nota un aspetto comune: l’accenno alla luce del giorno. La notte finita, la salvezza era ormai a portata di mano e tuttavia definitivamente perduta. Ciò che oggi, purtroppo, sta accadendo a molti!

I giorni a casa del suocero

I giorni che il levita trascorre a casa di suo suocero sono scanditi con cura: “continuò a dimorare con lui tre giorni…E avvenne il quarto giorno…Quando il quinto giorno…Quindi la donna venne sul far del mattino… Entrò quindi nella sua casa… (Giudici 19:4, 5, 8, 26, 29)

Questi giorni sono rappresentativi dei tempi d’Apocalisse e corrispondono alle fasi narrate con i 7 sigilli, le 7 coppe, le 7 trombe e quant’altro.

Prendiamo in considerazione il quinto giorno. Il levita e la piccola comitiva accondiscendono alle lusinghe del suocero, si attardano e decidono di partire solo dopo aver approfittato ancora un po’ dell’ospitalità in casa dell’uomo. Ma il quinto giorno si va incontro al disastro come in Apocalisse quando si arriva all’invasione delle locuste, ovvero pandemia e Coronavirus, e con il sesto giorno è tempo di vaccino universale per tutti. Cosa ci possiamo ancora aspettare? Forse una guerra civile tra i pro-vax e i loro antagonisti? Chi saranno quelli capaci di stare neutrali? Una guerra fratricida è comunque implicita in vari versetti concernenti la fine e l’attacco di Gog di Magog. (Eze 38:21)

Geova non fu adeguatamente consultato

Venuti a conoscenza del vergognoso atto commesso in Ghibea di Beniamino le tribù d’Israele vennero a consultare Geova a Betel.

E gli uomini d’Israele… ‘si levavano e salivano a Betel e interrogavano Dio. Quindi i figli d’Israele dissero: “Chi di noi deve salire per primo in battaglia contro i figli di Beniamino?” A ciò Geova disse: “Giuda per primo”.’ (Gdc 20:18) Ciò nonostante subirono due clamorose sconfitte prima di ottenere la meglio. Perché?

 Non chiesero se dovevano fare guerra o meno contro i loro fratelli. Su questo non avevano dubbi, si sentivano dalla parte della ragione ed erano convinti che tale fosse anche la volontà di Dio. Non chiesero se sarebbero stati vittoriosi. Ne erano certi a causa della loro superiorità numerica. Avrebbero dovuto consultare Geova con preghiera e digiuno fin dall’inizio della contesa e non dopo aver già congregato il popolo in formazione di battaglia.

Se avessero chiesto consiglio a Geova per tempo la spedizione avrebbe potuto essere condotta in modo diverso, forse riducendo il numero dei combattenti, come nel caso dei 300 uomini di Gedeone. Dunque ci furono gravi perdite prima di poter avere successo. Allora si umiliarono di fronte a Geova e furono resi certi della finale vittoria. Ma, ahimè, a quel punto le conseguenze furono pesanti per Beniamino. La presenza e i servizi di Fineas a favore di Israele in questa occasione ci aiutano inoltre a stabilire ulteriormente la cronologia della battaglia, che deve essere fissata subito dopo la morte di Giosuè. (Gdc 20:27-28)

Similmente oggi molti si sono vaccinati assumendo su di sé il marchio della bestia senza neppure chiedersi cosa ne dicesse Geova nella sua parola, la Bibbia. Questo significa andare allo sbaraglio.

Gli abitanti di Iabes-Galaad e i sopravvissuti di Beniamino: un rimanente

Gli abitanti di Iabes-Galaad furono gli unici a mantenersi neutrali in tutta la faccenda e la loro città fu di conseguenza passata al taglio della spada.

E proseguirono, dicendo: “Chi dalle tribù d’Israele non è salito a Geova a Mizpa?” Ed ecco, da Iabes-Galaad nessuno era entrato nel campo alla congregazione.  Quando il popolo fu contato, ebbene, ecco, non c’era nessun uomo dagli abitanti di Iabes-Galaad. Perciò l’assemblea vi mandava dodicimila degli uomini più valorosi e comandava loro, dicendo: “Andate, e dovete colpire gli abitanti di Iabes-Galaad col taglio della spada, anche le donne e i piccoli. E questa è la cosa che dovete fare: Dovete votare alla distruzione ogni maschio e ogni donna che ha avuto l’esperienza di giacere con un maschio”. Comunque, trovarono fra gli abitanti di Iabes-Galaad quattrocento ragazze, vergini, che non avevano avuto rapporti con uomo, giacendo con un maschio. Le condussero dunque all’accampamento di Silo, che è nel paese di Canaan.” (Gdc 21:8-12)

Incidentalmente, Iabes-Galaad era una città che si trovava a sei miglia romane da Pella. Anche oggi chi si rifugia a Pella viene simbolicamente ucciso, cioè socialmente ostracizzato e reso invisibile. Da questa città furono risparmiate 400 giovani vergini che insieme ad altre 200 rapite durante una festa a Silo vennero date in matrimonio ai 600 beniaminiti scampati alla strage. Ecco che simbolicamente anche dalla moderna Pella sarà salvato un rimanente in vista della vita eterna.”


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