La vigna del Signore

Spesso nelle Scritture la Chiesa e Israele vengono paragonati alla vigna del Signore. Ogni tralcio ha bisogno di essere curato. La vigna va innestata, zappata, potata e legata. Su di essa bisogna vigilare perché nessuna malattia la intacchi e non venga devastata dalle volpi o dai cinghiali. Dato che la vite era una pianta ben nota fin dai tempi più remoti e la gente aveva una conoscenza generale della sua coltivazione e produttività, della vendemmia e della relativa racimolatura, gli scrittori biblici ne fecero spesso menzione. Anche Gesù fece lo stesso paragonando se stesso a un coltivatore. Egli raccontava quindi ai suoi discepoli una bella parabola:

Gesù, la vera vite

            “Io sono la vera vite, e il Padre mio è il coltivatore.  Ogni tralcio che in me non porta frutto egli lo toglie, e ognuno che porta frutto lo purifica, perché porti più frutto. Voi siete già puri a motivo della parola che vi ho detto. Rimanete uniti a me, ed io unito a voi. Come il tralcio non può da se stesso portar frutto se non resta nella vite, così nemmeno voi lo potete, se non restate uniti a me. Io sono la vite, voi siete i tralci. Chi rimane unito a me, e io unito a lui, questi porta molto frutto; perché separati da me non potete fare nulla. Se uno non rimane unito a me, è gettato via come un tralcio e si secca; e si raccolgono questi tralci e si lanciano nel fuoco e sono bruciati.

Se rimanete uniti a me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che desiderate e vi avverrà. Il Padre mio è glorificato in questo, che continuiate a portare molto frutto e vi dimostriate miei discepoli. Come il Padre ha amato me e io ho amato voi, rimanete nel mio amore. Se osservate i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre e rimango nel suo amore. (Gv 15:1-10)            

 Una vite non potata

 Per produrre buona uva è necessaria la potatura. Gesù disse che “ogni tralcio che . . . non porta frutto egli lo toglie, e ognuno che porta frutto lo purifica [potandolo], perché porti più frutto”. (Gv 15:2) Potare in greco koinè corrisponde a purificare. Ciò consente alla pianta di usare tutta la linfa per produrre frutti di qualità. Gesù dunque si sarebbe preoccupato di purificare la sua vite affinché producesse in abbondanza. Ma cosa sarebbe accaduto in un anno sabatico? Infatti, ogni settimo anno le viti in Israele riposavano. Le leggi mosaiche richiedevano che durante gli anni sabatici le vigne restassero incolte, non potate né vendemmiate. In quegli anni le persone e gli animali potevano mangiare solo di quello che cresceva da sé.

Levitico 25

A questo proposito Levitico dichiara: “Per sei anni devi seminare il tuo campo, e per sei anni devi potare la tua vigna, e devi raccogliere il prodotto della terra. Ma il settimo anno ci dev’essere per la terra un sabato di completo riposo, un sabato a Geova. Non devi seminare il tuo campo, e non devi potare la tua vigna. Non devi mietere ciò che è nato da sé dai granelli caduti della tua messe, e non devi vendemmiare l’uva della tua vite non potata. Ci dev’essere un anno di completo riposo per la terra. (Lev 25:3-6)

Granelli e grappoli venuti da sé

Ora noi, a partire dal 15 ottobre 2021, siamo entrati nel settimo anno degli anni di Apocalisse, il sabato, e adesso la vigna del Signore rimane a riposo senza essere potata. La Chiesa è come abbandonata a sé stessa e ciò che si potrà raccogliere sarà un semplice rimanente, i granelli venuti da sé, i grappoli che riescono a crescere da soli, nonostante tutto.

Alla fine accade che una vecchia Chiesa viene ripudiata e una nuova Chiesa viene alla ribalta, composta di persone che mai più si sarebbero aspettate di ricevere un invito del genere, quello di essere parte degli eletti che governeranno con Cristo durante il millennio.

 Un grande banchetto serale

Chi mai avrebbe potuto pensare che individui fin lì abbastanza lontani dall’essere in una approfondita relazione con Dio sarebbero divenuti re con il Cristo? Infatti in una parabola ben nota Gesù disse che nessuno di quelli che erano stati invitati per primi ad un importante banchetto avrebbe gustato di quel pasto serale. (Luca 14:24) Chi erano questi che erano stati chiamati per primi? Di sicuro era gente un po’ più esperta, che conosceva la legge, farisei, scribi, sacerdoti e tanta altra gente rispettabile e perbene. La parabola di Gesù recita:

“Un uomo imbandiva un grande pasto serale, e invitò molti.  E mandò il suo schiavo all’ora del pasto serale per dire agli invitati: ‘Venite, perché tutto è già pronto.’ Ma tutti unanimemente cominciarono a rifiutarsi. Il primo gli disse: ‘Ho comprato un campo e ho bisogno di uscire a vederlo; ti chiedo: Considerami scusato’. E un altro disse: ‘Ho comprato cinque paia di bovini e sto andando ad esaminarli; ti chiedo: Considerami scusato’. Un altro ancora disse: ‘Ho preso moglie e per questa ragione non posso venire’.

E lo schiavo venne e riferì queste cose al suo signore. Allora il padrone di casa si adirò e disse al suo schiavo: ‘Esci, presto, nelle ampie vie e nei vicoli della città, e conduci qui i poveri e gli storpi e i ciechi e gli zoppi’. A suo tempo lo schiavo disse: ‘Signore, ho fatto ciò che hai ordinato, e c’è ancora posto.’ E il signore disse allo schiavo: ‘Esci nelle strade e nei luoghi recintati, e costringili ad entrare, affinché la mia casa sia piena. Poiché vi dico: Nessuno di quegli uomini che erano stati invitati gusterà il mio pasto serale’”. (Luca 14:16-24)

Era un sabato

L’intera circostanza andrebbe considerata nel suo complesso. Era un sabato e Gesù stava a casa di uno dei capi dei farisei per mangiare un pasto. Come sempre lui accettava gli inviti di chiunque. Andava a casa di pubblicani e peccatori e la sua presenza e il suo insegnamento spesso facevano parlare. I banchetti a cui partecipava erano sempre densi di sorprese perché più volte, nel suo insegnare, egli assumeva un tono polemico e a volte perfino di denuncia. Nella circostanza descritta al capitolo 14 di Luca, Gesù guarisce un malato di idropisia. Ma, essendo un sabato, i presenti ne sono meravigliati. Dal loro punto di vista di sabato era lecito sì prendere un pasto in comune ma non era lecito guarire un malato. La loro rigida adesione alle leggi era tale da non permettere che si usasse misericordia ad un malato. Si doveva soltanto nutrire la pancia.

“È lecito o no guarire di sabato?” chiese agli astanti Gesù. Il paradosso era grande. Di sabato non si poteva fare nulla ma ci si poteva sedere a tavola. Cos’era più importante? Prendersi cura di un malato grave o delle proprie pance? In verità le regole mosaiche avrebbero dovuto servire a proteggere “l’uomo” piuttosto che a perderlo di vista.

Un modello rappresentativo per i nostri tempi

Nella Bibbia il banchetto è anticipazione e figura della fine del sistema di cose. Sia quando mangia con i pubblicani e i peccatori, sia quando insegna, Gesù preannuncia il banchetto del regno. (Cfr. Lc 14:15) Ecco dunque che la situazione rappresentata in questa parabola prefigura aspetti profetici relativi ai nostri giorni. La nostra epoca è un momento conclusivo della storia e questo è l’ultimo anno dei sette tempi dell’Apocalisse.

Il servitore nominato cinque volte nel corso della parabola troverebbe un parallelo con le cinque vergini sagge e l’ora della cena rappresenta la venuta di Gesù che coincide con il banchetto nuziale. Avviene cioè quello che le dieci vergini sagge e stolte aspettavano nel cuore della notte: il matrimonio dell’Agnello.

Luca termina il racconto con una frase lapidaria: ‘Nessuno di quegli uomini che erano stati invitati gusterà il mio pasto serale’.

Così si legge anche in Osea: “Quelli che non sono mio popolo chiamerò ‘mio popolo’, e colei che non era diletta, ‘diletta’; e nel luogo in cui fu detto loro: ‘Voi non siete mio popolo’, là saranno chiamati ‘figli dell’Iddio vivente’”. (Rom 9:5-25-26) Ecco dunque che ai nostri giorni le cose cambiano drasticamente.

L’amministrazione di una casa

La Bibbia in Efesini accenna all’amministrazione della casa di Dio, la sua chiesa o congregazione, (Greco oikonomian, latino dispensationem che significano entrambi amministrazione della casa, gestione domestica) che si estende fino alla fine dei tempi della storia umana e che si propone di radunare di nuovo tutte le cose nel Cristo. Il sacro testo infatti legge che Dio: “ci fece conoscere il sacro segreto della sua volontà. Esso è secondo il suo beneplacito, che egli si propose in se stesso per un’amministrazione al pieno limite dei tempi fissati, cioè radunare di nuovo tutte le cose nel Cristo, le cose nei cieli e le cose sulla terra. [Sì,] in lui, uniti al quale fummo anche designati come eredi, in quanto fummo preordinati secondo il proposito di colui che opera tutte le cose secondo il modo che la sua volontà consiglia.” (Efesini 1:9-11)

È evidente quindi che Geova ha un progetto e tiene conto dell’evolversi delle vicende umane nel corso del tempo. Egli prende disposizioni che variano nel tempo a seconda delle effettive necessità che si vengono a creare nella sua casa. Circa questa disposizione, da alcuni conosciuta come dottrina del dispensazionalismo, faremo degli esempi. Fino a Gesù gli ebrei erano sottoposti alla legge mosaica, mentre con la sua morte la legge fu abolita. (Col 2:14) A quel tempo era richiesta la circoncisione di ogni neonato maschio di otto giorni, ma dopo la morte di Gesù ciò non fu più richiesto. (Atti 15:5, 28-29)

vigna del signore

Fuggire dall’Egitto e da Babilonia

Dunque oggi accade qualcosa di nuovo, addirittura di imprevisto per chi non si è ancora reso conto dell’evolversi della situazione. Al presente Dio torna a ripudiare le varie congregazioni che fin qui ritenevano di essere approvate. Il comando è oggi quello di fuggire da tutte le chiese in quanto la parola d’ordine è fuggire da Babilonia. (Ri 18:4) Fare questo non è facile dato che i leader religiosi, per quanto possibile, cercano di distogliere il popolo dalla verità delle Scritture. Accade ora ciò che accadeva in Egitto, quando il faraone non voleva lasciare uscire gli Ebrei dalla casa degli schiavi.

Ogni volta, quando l’Egitto era sotto pressione a causa di una delle piaghe, il faraone prometteva a Mosè di liberare il suo popolo. Ma appena la situazione si alleggeriva, Faraone si rimangiava la parola. Il popolo prigioniero non poté essere libero se non al termine di una lunga sequela di flagelli culminati con la morte dei primogeniti d’Egitto. Adesso la situazione del rimanente, la nuova Chiesa di Dio all’interno di Babilonia, è molto simile a quella del popolo d’Israele in Egitto. Saremo sottoposti ad angherie sempre più pressanti e il sistema della bestia si farà con noi sempre più oppressivo.

Tuttavia è adesso che la nuova Chiesa o nuova Gerusalemme viene a sostituire la vecchia chiesa in via di disgregazione. Sarai anche tu con noi tra i grappoli cresciuti spontaneamente dalla vite Nazirea?

La Vite Nazirita

In Levitico la vite non potata viene chiamata Nə-zî-re-kā נְזִירֶ֖ךָ. La parola nazireo deriva da un termine ebraico che significa “scelto”, “dedicato”, “separato”. Il nazireo era uno che aveva fatto un voto speciale a Dio, cioè di astenersi, per un periodo di tempo stabilito, dai prodotti della vite, dal toccare un cadavere, fosse anche di un parente molto stretto, e dal tagliarsi i capelli. Dunque la vite Nazirita era una vite non potata, a somiglianza dei capelli di un nazireo.

Chi faceva questo voto speciale di Nazireato doveva “vivere come nazireo [cioè dedicato, separato] a Geova”, e non cercare il plauso degli uomini facendo mostra del proprio ascetismo. “Tutti i giorni del suo nazireato egli [era] santo a Geova”. Si usava lo stesso termine ebraico, nazìr, a proposito delle viti ‘non potate’ durante i sacri anni sabatici e giubilari. Cosa significa questo per noi oggi? Semplicemente dobbiamo mostrarci santi o separati dal mondo. La parola santo in ebraico significa questo, essere separati da ciò che è impuro. Questo sarà dunque per noi un periodo di purificazione.

Un simbolo di regalità

Molti termini che derivano da nzr si riferiscono a dei segni di una condizione appartata, consacrata che include i capelli, la testa e l’acconciatura. Nella lingua ebraica un nome comune derivato dalla stessa radice è nezer, termine che stava a indicare una corona o la condizione di possedere una regalità di sorta.

Il termine nê-zer nelle varie citazioni

2Re 11:12 corona han-nê-zer הַנֵּ֙זֶר֙

2Cro 23:11 corona han-nê-zer הַנֵּ֙זֶר֙

Proverbi 27:24 corona נֵ֝֗זֶר nê-zer

Salmo 89:39 diadema נִזְרֽוֹ׃ niz-rōw

Salmo 132:18 diadema נִזְרֽוֹ׃ niz-rōw

Zaccaria 9:16 diadema נֵ֝֗זֶר nê-zer

Conclusione

L’essere distinti, santi e possedere uno stato di speciale consacrazione, hanno a che fare con la testa, l’uso delle facoltà raziocinanti, logiche e intellettuali, ma anche la sobrietà e semplicità di vita. Interessante è pure il fatto che la lamina d’oro, su cui erano incise le parole “La santità appartiene a Geova”, che ornava la parte anteriore del turbante del sommo sacerdote, era chiamata “santo segno di dedicazione [ebr. nèzer, dalla stessa radice da cui deriva nazìr]”. (Eso 39:30,31) Anche il diadema, o copricapo ufficiale, degli unti re d’Israele era chiamato nèzer. (2Sa 1:10; 2Re 11:12) Ora noi quanti apparteniamo al Cristo saremo modellati su di lui e saremo con lui sacerdoti e re.

Il nazireato era un modello di regalità, di santità e di consacrazione a Dio. Nessuno di noi, dato che riceviamo l’invito ad essere santi (1Cor 12), vorrà sottovalutare il grande privilegio della chiamata celeste, cedendo a comportamenti mondani o poco consoni con la promessa divina di farci essere “una razza eletta, un sacerdozio regale, una nazione santa, un popolo acquistato come speciale proprietà, affinché proclamiate le eccellenze” di Colui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua meravigliosa luce. (1Pietro 2:9)


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