Il culto solare e la purificazione di Naaman

Il culto solare è una dannazione per il popolo di Dio. Naaman era un comandante militare ed era lebbroso. Tuttavia venne a sapere che poteva essere guarito: in Samaria c’era un profeta in grado di farlo. Questa notizia gli giunse tramite una ragazzina israelita, schiava di sua moglie. Naaman partì immediatamente alla volta di Samaria con una lettera di presentazione del re di Siria. Ieoram, re di Israele, dopo averlo accolto con freddezza, lo mandò da Eliseo. Questi gli fece dire per mezzo del suo servitore di bagnarsi sette volte nel Giordano.

Ferito nel suo orgoglio, Naaman se ne andò infuriato. Se i suoi servitori non avessero ragionato con lui e non gli avessero fatto notare la semplice ragionevolezza delle istruzioni, Naaman se ne sarebbe tornato al suo paese ancora lebbroso. Invece si bagnò sette volte nel Giordano e fu miracolosamente purificato. Questa in sintesi la storia. Naturalmente ora vogliamo comprenderne anche il significato nascosto, quello un po’ meno immediato.

Comprendiamo il personaggio a partire dal suo nome

Il nome Naaman significa “piacevolezza” e “piacevole”. Questo termine, usato come aggettivo, ricorre solo una volta nelle scritture in Isaia 17:10 dove si legge delle amene piantagioni di chi si era dimenticato di Geova. Il profeta scrisse: “Tu, infatti, hai dimenticato l’Iddio della tua salvezza; non ti sei ricordato della Roccia, la tua fortezza. Per questo pianti belle piantagioni e vi innesti il ramo di un estraneo.”

 Le “piantagioni amene” di questo versetto di Isaia vengono intese dagli esegeti come le piantagioni di Adone, alias Tammuz, alias Baal ovvero il sole. Queste piantagioni sono definite נַעֲמָנִ֔ים na-‘ă-mā-nîm, piacevoli, amene, aggettivo che è il plurale di Naaman. Il singolare di questo termine compare anche in 2Re 5 a proposito del capo militare lebbroso di cui stiamo parlando, Naaman il Siro, e come nome personale in Genesi 46:21 e Numeri 26:40. Al femminile Naama ricorre più volte nella Bibbia. Una certa Naama era la sorella di Tubal-Cain, entrambi figli di Lamec, discendente di Caino in Genesi 4:22. Un’altra Naama, un’ammonita, era la madre di Roboamo, figlio di Salomone.

I giardini di Adone

Questo nome viene collegato con un nome arabo, Shakaiku-’n-nomân, che corrisponde all’anemone rosso. Si tratta di un fiore dedicato al culto di Tammuz, l’Adone fenicio, a cui era consacrato. Di lì si deduce che le piantagioni amene, cui accennava Isaia, altro non erano che i giardini di Adone o di Tammuz, nella cui adorazione Israele così tanto si compiaceva. (Cfr. Eze 8:14) L’aggiunta dei tralci stranieri nel versetto 17:10 di Isaia confermerebbe questo genere di impostazione.

Naaman è dunque un epiteto di Adone/Apollo e trasferisce il siro che porta questo nome nella sfera semantica del culto solare. Ci sono molte e diffuse prove, sottili ma di notevole interesse, che la divinità sira conosciuta dai greci con il nome di Adone, era nominata Naaman. Si suppone che il nome anemone, il fiore sacro ad Adone, derivi il suo nome dal titolo di questo dio. L’adorazione di Adone in Israele era una diretta conseguenza dell’alleanza con Damasco. Questa spiegazione ci aiuta a collocare Naaman nel filone del culto solare, ovvero ci presenta il personaggio come una raffigurazione allegorica del sole.

Purificazione dal culto solare

Proviamo dunque a capire il significato nascosto di questa vicenda biblica. Quando Naaman si immerge sette volte nel Giordano e ne esce purificato, egli impersona un dramma simbolico (Gal 4:24) che rappresenta la purificazione dell’adorazione di Geova dal culto solare durante i sette anni dell’Apocalisse. Infatti, in questi sette anni, i due testimoni di Rivelazione 11 hanno riscoperto e ripristinato la dottrina biblica della terra piatta e messo in risalto la necessità di considerare la verità che emerge dalle Scritture come prioritaria e degna di maggior fiducia delle manipolazioni della scienza ufficiale.

Il carico di terra di un paio di muli

Naaman giunse da Eliseo in gran pompa con un carico di ricchissimi doni. I dieci talenti d’argento che i suoi servitori trasportavano sui muli erano pari a 342 chili d’argento, mentre i seimila pezzi d’oro corrispondevano al peso di circa due talenti, o 68 chili di metallo aureo. Egli portava inoltre tra i suoi bagagli dieci mute di splendide vesti, pronte per le occasioni festive. In seguito al fiero rifiuto di Eliseo che non volle assolutamente accettare niente, Naaman fece una richiesta solo apparentemente strana:

“Allora, ti prego, sia data al tuo servitore un po’ di terra di questo paese, il carico di un paio di muli, perché il tuo servitore non offrirà più olocausti o sacrifici a nessun dio tranne che a Geova.”

Egli evidentemente pensava di edificare un altare per l’adorazione del vero Dio su uno strato di terra tratto dal suolo d’Israele. Tuttavia, non potremmo scorgere in questa richiesta un’allusione, per quanto velata, all’operato dei due testimoni di Apocalisse? Essi, nonostante la continua opposizione e perfino i dileggi, hanno portato a termine le loro ricerche e lo studio sulla terra piatta.

Il tempio del dio Rimmon

Naaman, dopo essere guarito dalla lebbra, riconobbe Geova quale vero Dio, ma espresse preoccupazione per il fatto di dover accompagnare il re di Siria nel tempio di Rimmon e lì inchinarsi insieme al re davanti a un idolo, poiché il re si appoggiava al suo braccio. Rimmon in Siria era conosciuto anche come Baal, in Assiria come Ramanu, dio della pioggia e della tempesta.

A questo punto Naaman si comporta come un neofita che, ovviamente, non è ancora capace di mostrare in pubblico la sua fede e il suo nuovo modo di adorare il vero Dio. Pertanto egli chiede di essere perdonato se nelle occasioni ufficiali dovrà inchinarsi nel tempio di Rimmon. Rivolgendosi ad Eliseo Naaman dice: “Tuttavia Geova perdoni il tuo servitore per questa cosa: il mio signore, quando entra nel tempio di Rimmòn per inchinarsi, si appoggia al mio braccio, e così io devo inchinarmi nel tempio di Rimmòn. Quando mi inchino nel tempio di Rimmòn, Geova mi perdoni per questo”.  Eliseo gli disse: “Va’ in pace”. (v. 18-19)

Va in pace

Le poche parole di commiato che Eliseo pronuncia a Naaman, ci fanno riflettere. Gli dice tranquillamente: “Va in pace”. Perché? Volendo collocare la vicenda di Naaman sullo sfondo cronologico degli ultimi sette anni di questo sistema di cose, il nostro di oggi, comprendiamo che ogni singolo cristiano viene a trovarsi sotto l’inevitabile influenza del mondo. Non c’è più una sola organizzazione religiosa che possa stabilire per tutti regole e precetti, ma ciascuno si trova ad agire sotto l’impulso della propria coscienza. Siamo comunque tutti fratelli, anche se nel dettaglio non siamo più in grado di frequentarci personalmente, di stare tutti insieme, di condividere un pasto, di incoraggiarci spiritualmente. Ciascuno ha la responsabilità di se stesso, di leggere, comprendere e meditare la Parola di Dio, con l’aiuto di tutti gli strumenti che trova a disposizione.

Il servitore di Naaman

 Eliseo aveva rifiutato di accettare i doni di Naaman, ma Gheazi, il suo servitore, ragionò che era solo giusto accettarli. Perciò rincorse Naaman e, a nome di Eliseo, chiese un talento d’argento e due mute di abiti, col pretesto che servivano per due giovani figli dei profeti appena arrivati dalla regione montagnosa di Efraim. Naaman fu ben lieto di dargli non uno, ma due talenti d’argento, e anche le due mute di abiti, e disse a due suoi servitori di portare il dono per Gheazi. A Ofel questi prese il dono dalle mani dei servitori, li congedò, nascose il dono in casa e poi si presentò da Eliseo che gli chiese di dove venisse. Egli rispose che non era stato da nessuna parte. Perciò fu colpito dalla lebbra, lui e la sua discendenza.

culto solare

La valle della visione

Il nome Gheazi significa in ebraico Valle della Visione. Che nome era mai questo? La valle della visione è un’espressione che ricorre in Isaia dove leggiamo: “La dichiarazione solenne della valle della visione: Che hai, quindi, che per intero sei salita sui tetti.” (Isaia 22:1)

La valle della visione è Gerusalemme, disposta in una valle, circondata dalle colline. La zona era il luogo dei visionari, che profetizzarono spesso in merito a Gerusalemme. Lì i profeti ricevevano le visioni da Dio. Era anche il luogo dove Dio si manifestava visibilmente nel Santissimo e faceva conoscere ai profeti la sua volontà. Per altri commentatori la valle della visione poteva essere pure Samaria.

Dunque Gheazi prende i doni di Naaman e li nasconde a Ofel. Ofel era anche un’altura intorno a Gerusalemme, ma qui evidentemente il riferimento è a un luogo elevato nei pressi di Samaria. Il dono che Gheazi richiede a Naaman era inteso per due dei figli dei profeti improvvisamente giunti in visita da Eliseo. L’allusione è pertanto scoperta. I doni, due talenti d’argento e due mute di vesti, avevano attinenza con i due testimoni di Rivelazione, che avendo purificato il loro intendimento delle Scritture relativamente al concetto eliocentrico, vengono invece espropriati della visibilità che tale consapevolezza dovrebbe mantenere nella chiesa di Dio. Gheazi è pertanto una rappresentazione del furto con occultamento commesso nei confronti dei risultati delle ricerche sulla terra piatta.

I talenti

All’epoca di Naaman la moneta non era ancora circolante e si usava il metallo prezioso come merce di scambio. Naturalmente la portata delle sue regalie presenta una forte connotazione simbolica. I talenti, per esempio, ritornano in una parabola di Gesù che Matteo riferisce al capitolo 25 quando il Signore disse:

“Allora il regno dei cieli … Poiché è come quando un uomo, in procinto di fare un viaggio all’estero, chiamò i suoi schiavi e affidò loro i suoi averi. E a uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro ancora uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e andò all’estero.  Immediatamente quello che aveva ricevuto cinque talenti se ne andò e negoziò con essi e ne guadagnò altri cinque.  Nello stesso modo quello che ne aveva ricevuti due ne guadagnò altri due.  Ma quello che ne aveva ricevuto uno solo se ne andò e, scavato in terra, nascose il denaro d’argento del suo signore. (Mt 25:14-18)

 “Dopo molto tempo il signore di quegli schiavi venne e fece i conti con loro.  E quello che aveva ricevuto cinque talenti si presentò e portò altri cinque talenti, dicendo: ‘Signore, mi affidasti cinque talenti; vedi, ho guadagnato altri cinque talenti’.  Il suo signore gli disse: ‘Ben fatto, schiavo buono e fedele! Sei stato fedele su poche cose. Ti costituirò su molte cose. Entra nella gioia del tuo signore’.  Si presentò poi quello che aveva ricevuto due talenti e disse: ‘Signore, mi affidasti due talenti; vedi, ho guadagnato altri due talenti’.  Il suo signore gli disse: ‘Ben fatto, schiavo buono e fedele! Sei stato fedele su poche cose. Ti costituirò su molte cose. Entra nella gioia del tuo signore’.

Nascosto il talento nella terra

Gesù prosegue la sua narrazione dicendo: “Infine si presentò quello che aveva ricevuto un solo talento, dicendo: ‘Signore, sapevo che sei un uomo esigente, che mieti dove non hai seminato e che raccogli dove non hai sparso. Perciò ebbi timore e andatomene nascosi il tuo talento nella terra. Ecco, hai ciò che è tuo’. Rispondendo, il suo signore gli disse: ‘Schiavo malvagio e pigro, sapevi che mietevo dove non avevo seminato e che raccoglievo dove non avevo sparso? Ebbene, avresti dovuto dunque depositare il mio denaro d’argento presso i banchieri, e al mio arrivo avrei ricevuto ciò che è mio con l’interesse.

 “‘Perciò toglietegli il talento e datelo a colui che ha i dieci talenti. Poiché a chiunque ha, sarà dato dell’altro e avrà abbondanza; ma in quanto a colui che non ha, gli sarà tolto anche quello che ha.  E gettate lo schiavo buono a nulla nelle tenebre di fuori. Là sarà il [suo] pianto e lo stridore dei [suoi] denti’. (Mt 25:24-30)

Questa è dunque la situazione di Gheazi, che per aver nascosto i talenti nella terra divenne lebbroso per il resto dei suoi giorni. Questa è anche la situazione delle varie chiese e congregazioni nel mondo di oggi.

La parabola delle mine

Similmente Gesù raccontò la parabola delle dieci mine: “Un uomo di famiglia nobile andò in un paese lontano per ottenere il potere regale e poi tornare. Chiamò 10 dei suoi schiavi, diede loro 10 mine e disse: ‘Fatele fruttare finché non verrò’.  Ma i suoi concittadini, che lo odiavano, mandarono dietro a lui una delegazione a dire: ‘Non vogliamo che quest’uomo diventi nostro re’.

“Infine, dopo aver ottenuto il potere regale, l’uomo tornò e convocò gli schiavi ai quali aveva dato il denaro per vedere quanto avevano guadagnato con la loro attività. Così si fece avanti il primo e disse: ‘Signore, la tua mina ha fruttato 10 mine’. Lui esclamò: ‘Ben fatto, schiavo buono! Siccome ti sei mostrato fedele in una cosa tanto piccola, avrai autorità su 10 città’. Arrivò il secondo e disse: ‘Signore, la tua mina ha fruttato 5 mine’. E a questo l’uomo disse: ‘Anche tu sarai a capo di 5 città’. 

Ma arrivò un altro e disse: ‘Signore, ecco la tua mina: l’ho tenuta nascosta in un panno. Il fatto è che avevo paura di te, perché sei un uomo severo: tu prendi ciò che non hai depositato e raccogli ciò che non hai seminato’. Il signore replicò: ‘Ti giudico in base alle tue stesse parole, schiavo malvagio. Tu sapevi bene che sono un uomo severo, che prende ciò che non ha depositato e raccoglie ciò che non ha seminato. Quindi, perché non hai messo il mio denaro in banca? Così, una volta venuto, l’avrei riscosso con gli interessi’.

A chi ha sarà dato dell’altro…

Concludendo la sua narrazione Gesù aggiunse: “Allora disse ai presenti: ‘Toglietegli la mina e datela a quello che ne ha 10’. Ma loro obiettarono: ‘Signore, lui ha 10 mine!’ E lui rispose: ‘Vi dico: a chiunque ha sarà dato dell’altro, ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. Inoltre, quanto ai miei nemici che non volevano che io diventassi loro re, portateli qui e metteteli a morte davanti a me’”. (Lc 19: 12-27)

Queste parabole oggi presentano degli interessanti riscontri. È proprio nel tempo della fine che si assiste a una notevole distribuzione delle mine e dei talenti ed è nostra personale responsabilità farli fruttare. Tutti noi saremo attenti a non nascondere il tesoro delle Scritture come fece Gheazi che nascondeva per così dire i doni della conoscenza. Se conosciamo la volontà divina relativamente alla salvezza nostra e di quelli che la vorranno accettare, dobbiamo farla conoscere. Dovremmo fare buon uso delle mute di splendide vesti messe a disposizione. Le vesti raffigurano la nostra personalità cristiana.

L’oro: un simbolo di regalità.

La bellezza, il valore e la purezza dell’oro fino ne fanno un simbolo appropriato per descrivere la città santa, la Nuova Gerusalemme, e la sua ampia via. (Ri 21:18,21)

Nel tabernacolo eretto da Mosè fu impiegato oro negli scompartimenti chiusi: il Santo, dove i sacerdoti entravano per svolgere le loro mansioni, e il Santissimo, dove entrava solo il sommo sacerdote una volta l’anno. Dato che il Santissimo con l’arca del patto coperta d’oro, rappresentava il cielo, il luogo di dimora di Dio, e dato che nel Santo potevano entrare solo i sacerdoti, e non i comuni israeliti, queste cose dovevano logicamente rappresentare aspetti attinenti ai cieli di Dio e al suo “regal sacerdozio” — coloro che avrebbero ricevuto la chiamata celeste — e alle loro attività e mansioni nei riguardi di Dio. (1Pt 2:9; Eb 9)

Se faremo un oculato uso degli strumenti che il Signore ci ha messo nelle mani potremo tutti noi regnare col Cristo, su cinque città e su molte altre…


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