Betzata significa “la casa degli olivi”. Nel vangelo di Giovanni sono narrati esattamente sette dei segni o miracoli operati dal Cristo al tempo del suo ministero: le nozze di Cana, la guarigione del figlio del funzionario reale, quella dell’uomo malato da 38 anni presso la piscina di Betzata, la moltiplicazione dei pani, la stessa passeggiata di Gesù sulle acque del mare di Genezareth, la restituzione della vista al cieco nato e la risurrezione di Lazzaro.
In questo articolo mi voglio soffermare sul capitolo 5 del vangelo di Giovanni che racconta del miracolo compiuto presso la piscina di Betzata e la moltiplicazione dei 5 pani e dei due pesciolini del capitolo 6.
Il racconto evangelico del miracolo a Betzata
Dopo queste cose ci fu una festa dei giudei, e Gesù salì a Gerusalemme. Ora a Gerusalemme, presso la porta delle pecore, c’è una riserva d’acqua denominata in ebraico Betzata, con cinque colonnati. Sotto questi [colonnati] giaceva una moltitudine di malati, ciechi, zoppi e quelli con membra secche. 4 — Ma c’era là un uomo che era stato trentotto anni nella sua malattia. Vedendo quest’uomo a giacere, e sapendo che stava [male] già da molto tempo, Gesù gli disse: “Vuoi essere sanato?” Il malato gli rispose: “Signore, non ho un uomo che mi metta nella riserva d’acqua quando l’acqua si agita; ma mentre io vengo un altro vi scende prima di me”. Gesù gli disse: “Alzati, prendi la tua branda e cammina”. Allora l’uomo fu immediatamente sanato e, presa la sua branda, camminava.
Ora quel giorno era un sabato. I giudei dicevano perciò all’uomo guarito: “È sabato, e non ti è lecito portare la branda”. Ma egli rispose loro: “Quello stesso che mi ha sanato mi ha detto: ‘Prendi la tua branda e cammina’”. Gli chiesero: “Chi è l’uomo che ti ha detto: ‘Prendila e cammina’?” Ma l’uomo sanato non sapeva chi fosse, poiché Gesù si era ritirato, essendovi nel luogo la folla.
Dopo queste cose Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: “Eccoti sanato. Non peccare più, affinché non ti accada qualcosa di peggio”. L’uomo se ne andò e disse ai giudei che era stato Gesù a sanarlo. E a causa di ciò i giudei si misero a perseguitare Gesù, perché faceva queste cose di sabato.

Prestiamo attenzione ai dettagli
Quando il racconto evangelico ci tiene a sottolineare i dettagli occorre prestare molta attenzione. Qui nel parlare dell’uomo paralizzato viene detto che era malato da trentotto anni. Tutto subito leggi e vai oltre, ma poi ti chiedi il perché di quel particolare. Dire che uno era malato da 38 anni non è come dire da molto tempo. Quel 38 ti obbliga a fare qualche ricerca supplementare. Nella Bibbia il numero 38 ricorre due volte soltanto, una volta nel caso del miracolo a Betzata e una volta al tempo di Mosè nel racconto di Deuteronomio capitoli 1 e 2.
Deuteronomio legge: “Da quando lasciammo Càdes-Barnèa a quando attraversammo la Valle di Zèred passarono 38 anni, finché l’intera generazione degli uomini di guerra scomparve dall’accampamento, proprio come Geova aveva giurato loro. La mano di Geova fu contro di loro per eliminarli dall’accampamento finché morirono tutti.” (Dt 2:14-15)
Quei 38 anni sono il tempo in cui il popolo d’Israele, uscito d’Egitto, vagò nel deserto prima di accamparsi per la seconda volta a Kadesh. Attraversarono di nuovo il ruscello di Zered 38 anni dopo che la condanna era stata pronunciata su di loro. Senza quel dettaglio apparentemente insignificante, il numero 38, si sarebbe trattato di un miracolo esclusivamente rivolto a quella persona. Tuttavia, messo in questo modo, il segno compiuto da Gesù acquista un valore paradigmatico notevolmente superiore.
Quel 38 ci obbliga ad andare indietro nei secoli al tempo di Mosè. Tutti quelli in età sufficiente per andare in guerra, vale a dire sopra i 20 anni, in quanto responsabili di ribellione morirono tutti. L’intera generazione passò e fu consumata. (Dt 5:15; Sl 73:19) Essendosi completamente estinta la generazione che peccava, il popolo doveva ora attraversare il confine di Moab e avanzare alla conquista della terra promessa.
Un popolo paralizzato e irremovibile
Mosè in Deuteronomio 1 e 2 fa una specie di riassunto di ciò che è accaduto dall’uscita dall’Egitto fino a quel momento. Un racconto dove il popolo si segnala per le numerose ribellioni a Dio dettate dalla mancanza di fede. La terra promessa è, sì, lì davanti a un passo da loro, ma non è a portata di mano. Un popolo la abita: gli Amorrei. Gli esploratori mandati in avanscoperta tornano con gustosi e magnifici frutti come dimostrazione della bontà e fertilità di quella terra. Terra fertile sì, conclude la gente, ma che popoli sono quelli che la abitano? Gli anachim. “In esso dimoravano in tempi precedenti gli emim, popolo grande e numeroso e di alta statura come gli anachim.” Dt 2:10
A nulla valsero i richiami di Mosè con cui ricordava tutta la fedeltà e la potenza che Dio aveva da tempo manifestato nei confronti del suo popolo. Niente da fare, il popolo rimase paralizzato e irremovibile. Il racconto degli esploratori di Canaan si può leggere in Numeri capitolo 13:
“Siamo entrati nel paese in cui ci hai mandato: vi scorrono davvero latte e miele, e questi sono i suoi frutti. Comunque, quelli che vi abitano sono forti e le città fortificate sono grandissime. Abbiamo visto anche gli anachìm. Gli amalechiti abitano nel paese del Nègheb; gli ittiti, i gebusei e gli amorrei abitano nella regione montuosa, e i cananei abitano vicino al mare e lungo il Giordano”.
Allora Càleb cercò di tranquillizzare il popolo che stava davanti a Mosè dicendo: “Saliamo subito, e di sicuro ne prenderemo possesso, perché possiamo senz’altro conquistarlo”. Ma gli uomini che erano saliti con lui dissero: “Non siamo in grado di salire contro quella gente, perché è più forte di noi”.
Vagabondi nel deserto per 38 anni
E continuarono a fare agli israeliti un rapporto negativo sul paese che avevano esplorato, dicendo: “Il paese che abbiamo attraversato per esplorarlo è un paese che divora i suoi abitanti, e tutti quelli che vi abbiamo visto sono uomini di statura straordinaria. E vi abbiamo visto i nefilìm, i figli di Anàc, che sono discendenti dei nefilìm; in paragone ci sembrava di essere cavallette, e così dovevamo sembrare noi ai loro occhi”. (Nu 13:27-33)
Il numero 38 si impone all’interno di questa triste situazione.
Mosè, nel suo discorso, ricorda che dopo quella ribellione in presenza degli esploratori che rientravano dalla loro missione, gli Israeliti vagarono per 38 anni: “La durata del nostro cammino, da Kades-Barnea al passaggio del torrente Zered, fu di trentotto anni, finché tutta quella generazione di uomini atti alla guerra scomparve dall’accampamento, come il Signore aveva loro giurato.” (Deut. 2,14).
Per via di quel numero 38 che qui in Giovanni 5 ritorna, la paralisi di quell’ammalato che Gesù fa camminare nei pressi della piscina ricollega la situazione della sua guarigione al momento dell’uscita del popolo dai 40 anni di deserto.
Diventano, allora, molto più significative le parole del paralitico a Gesù che gli chiedeva se voleva guarire: “Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di me”.
L’uomo ha vissuto paralitico per quasi quarant’anni ed è sfiduciato, non è in grado di operare alcunchè a proprio favore. Ma l’intervento di Gesù trasforma improvvisamente la sua situazione: “Àlzati, prendi la tua barella e cammina”.
La casa degli olivi
Il luogo dove avvenne il miracolo si trovava a Gerusalemme, non a caso presso la porta delle pecore, dove c’era una riserva d’acqua denominata in ebraico Betzata, (greco Βηθζαθα, aramaico בֵּת זֵיתָא) che significa casa dell’olivo o degli olivi), o secondo una diversa grafia Betesda: casa di misericordia o ancora Betsaida: casa di pesca, un edificio con cinque colonnati. Sotto questi colonnati giacevano “una moltitudine di malati, ciechi, zoppi e quelli con membra secche”.
Adesso la situazione comincia a chiarirsi. Tutto il racconto è un’allegoria di come finisce la generazione di Matteo 24:34, al momento in cui subentrano i due olivi di Zaccaria e cominciano i sette tempi dell’Apocalisse (Zc 4:1-3;11-14; Ri 11:2-4; 11:11)
L’angelo che mi aveva parlato tornò e mi svegliò, come si sveglia qualcuno che dorme. Quindi mi disse: “Che cosa vedi?” Allora dissi: “Ecco, vedo un candelabro tutto d’oro, con al di sopra una coppa. In cima a esso ci sono sette lampade, proprio sette, e queste lampade sono collegate a sette tubi. E accanto al candelabro ci sono due olivi, uno a destra della coppa e uno a sinistra”.
Quindi gli chiesi: “Qual è il significato di questi due olivi, a destra e a sinistra del candelabro?” Gli chiesi anche: “Qual è il significato dei ramoscelli dei due olivi che riversano il liquido dorato attraverso i due canaletti d’oro?”
Allora mi chiese: “Non sai cosa significano queste cose?”
Io risposi: “No, mio signore”.
Lui disse: “Questi sono i due unti che stanno accanto al Signore dell’intera terra”. (Zc 4)
L’angelo che agitava le acque
Questo segno che Gesù compie viene inquadrato in uno scenario piuttosto suggestivo. Ci troviamo in un edificio con cinque colonnati e piscina dove molti malati si riuniscono in attesa di un evento speciale. In occasioni particolari, potremmo supporre qualche volta a pasqua, un angelo scendeva e agitava le acque che acquisivano così miracolosi poteri di guarigione. Alcuni manoscritti tra cui la Vulgata, al v. 4 leggono: “Poiché un angelo del Signore scendeva nella piscina di tempo in tempo e turbava l’acqua; quindi il primo che entrava dopo che l’acqua era stata turbata veniva sanato da qualsiasi malattia fosse afflitto”. (Cfr 1Cor 9:24 dove si legge che i corridori corrono tutti ma uno solo riceve il premio)
Questa situazione specifica non è riportata da nessuno degli scrittori dell’epoca, nemmeno da Giuseppe Flavio. La maggioranza dei lettori moderni trova probabilmente difficile credere a una circostanza simile. Tuttavia il valore simbolico del racconto è notevole. Si tratta di un meraviglioso intervento divino all’interno della storia umana. Le cinque vergini stolte vengono liquidate e rimangono cinque porticati in tutto. La simbologia del numero cinque nelle scritture ha la sua importanza. Anche nel miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesciolini che un ragazzo teneva in un cesto ricorre il numero 5.
Dunque la situazione a Betzata ha a che fare con un intervento divino che pone termine alla generazione malvagia di Matteo 24:34 e dà inizio a un nuovo corso storico. L’angelo del Signore procura una guarigione miracolosa al primo malato che riesca ad immergersi nell’acqua. Cosa significa? Si tratta dell’incarico affidato ai due testimoni affinchè riportino alla luce il concetto biblico di terra piana e diano ordine e significato a molti aspetti fin lì insoluti delle scritture. Non a caso Gesù ritrova un po’ dopo il malato guarito nel tempio. Egli diventa simbolicamente parte integrante dell’edificio spirituale. (Gv 5:14; Da 12:3-4)

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