Giuseppe riceve la tunica nuziale

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Giuseppe alla fine riuscì a spuntarla, ma non fu per niente facile. Si trovò ad affrontare prove dolorose. Ma le anime più forti sono quelle temprate dalla sofferenza. Il dolore può renderci più profondi, può conferire una risonanza più ricca alle nostre parole. Quando una disgrazia è accaduta e non si può più mutare, non si dovrebbe indugiare nel pensiero che le cose potessero andare diversamente o che si sarebbero potute evitare.

La storia di Giuseppe la conoscono in tanti: amatissimo dal padre, malvisto dai fratelli, venduto schiavo in Egitto e ingiustamente messo in carcere, diventa alla fine annonario di Faraone. Ecco che fintanto che un uomo gode della vita non si deve disperare, può ad un tratto passare dal più profondo dolore alla massima gioia, dalla massima disgrazia alla più alta felicità. Beninteso, se c’è la fede.

Giuseppe accoglie imperturbabile tutto ciò che gli capita. In questo modo personifica l’ideale del saggio di Siracide 2:2,4: “Non ti smarrire nel tempo della prova. Accetta quanto ti capita, sii paziente nelle vicende dolorose, perché con il fuoco si prova l’oro e gli uomini bene accetti nel crogiolo del dolore”.

Simili frasi, cosiddette sapienziali, si trovano sparse nella Bibbia. Per esempio Giacomo scrive: “Consideratela tutta gioia, fratelli miei, quando incontrate varie prove, sapendo che questa provata qualità della vostra fede produce perseveranza.” (Gc 1:2-3)

Giuseppe ha un padre ormai anziano

Occorre ora comprendere chi sia davvero Giuseppe perché la sua personalità è la chiave di volta di tutta la storia. Per capire che genere di persona sia il protagonista di questa vicenda cominciamo ad esaminare il significato di un regalo che gli fece suo padre.

Il testo legge: “Israele amava Giuseppe più di tutti i suoi figli, perché era il figlio avuto in vecchiaia, e gli aveva fatto una tunica dalle lunghe maniche. I suoi fratelli, vedendo che il loro padre amava lui più di tutti i suoi figli, lo odiavano e non potevano parlargli amichevolmente.” (Ge37:3)

Perché Giacobbe amava Giuseppe più di qualsiasi altro figlio? Apparentemente perché era il figlio della sua vecchiaia.  Comunque, nella storia di Giuseppe, narrata in Genesi 37, molto vien celato tra le righe. Il testo sacro, infatti, come qualsiasi altro testo letterario, non dice tutto apertamente. Quella data è una spiegazione parziale dato che Giuseppe era nato più o meno quando nascevano Zabulon e Dina. Oltretutto, i figli di Giacobbe erano nati tutti all’interno dei primi sette anni di matrimonio e che a quell’epoca Giacobbe era un uomo quanto meno maturo, dato che aveva tra gli 80 e i 90 anni.

Giuseppe riesce ad essere il prescelto

Per i motivi appena indicati le origini di quell’amore smaccato per un figlio particolare vanno approfondite un po’ meglio. Prima di tutto Giuseppe era figlio della moglie amatissima, Rachele, morta di parto dando alla luce Beniamino, l’ultimo tra gli eredi di Giacobbe. Evidentemente il padre amava Giuseppe per l’affinità elettiva, perché avvertiva in lui una sensibilità compatibile con la sua, come nel caso di sua moglie Rachele. In fondo sarebbe stato Beniamino ad essere il vero figlio della vecchiaia. Ma forse quando si parla del figlio della vecchiaia si intende un concetto diverso: si tratterebbe del figlio che ti sta accanto, ti assiste e ti tiene compagnia nonostante tu sia già molto vecchio mentre lui sta ancora rapidamente crescendo. Si dovrebbe trattare di un figlio che progredisce più in fretta di quanto di solito accade, capace di intuire anche quegli aspetti della vita senile che ancora non ha vissuto personalmente.

A Giuseppe Giacobbe regalò una veste principesca, in ebraico la ketonet passim. Di cosa si trattava?  Era il segno dell’investitura del figlio da parte del padre. È sintomatica la reazione dei fratelli quando prendono coscienza del fatto che Giuseppe è riuscito ad avere dal padre il dono di quella veste. Evidentemente la desideravano tutti ma solo il padre poteva decidere a chi darla. Appena compresero che la decisione era ormai presa ci rimasero male e ne furono molto invidiosi. Era dovuto al fatto che Giuseppe aveva fatto la spia. Aveva riferito al padre di una brutta situazione che era bastata da sola a metterli fuori gioco. (v. 2) Arrivati lì non erano più in grado nemmeno di salutarlo, così dice il testo. A cercare una circostanza simile nelle scritture ne uscirebbe fuori la parabola del figliol prodigo e la reazione di un figlio che si rifiuta di entrare in casa ad abbracciare il fratello appena ritornato. (Lc 15:11-32)

L’abito nuziale

Nelle scritture l’abito nuziale ha sempre il suo rilievo. Nell’Apocalisse la sposa è vestita di un abito di lino fino, splendente e puro che rappresenta gli atti giusti dei santi. (Ri 19:7-8) Gli invitati a un banchetto di nozze dovevano necessariamente indossare l’abito giusto. Nella descrizione del banchetto nuziale di Matteo 22 si legge della triste fine di chi, entrato a banchetto, non si è curato di avere l’abito richiesto: “Il re, essendo entrato per esaminare gli ospiti, vi scorse un uomo che non indossava una veste nuziale. E gli disse: ‘Amico, come sei entrato qui senza veste nuziale?’ Egli restò senza parola. Allora il re disse ai suoi servitori: ‘Legategli mani e piedi e gettatelo nelle tenebre di fuori. Là sarà il [suo] pianto e lo stridore dei [suoi] denti’. “Poiché molti sono invitati, ma pochi eletti”. (Mt 22:11-14) Così Giacobbe aveva tanti figli, ma uno solo fu eletto. Così come presso la piscina di Betzata uno solo dei malati presenti era stato guarito.

Rashi (1040-1105), commentatore e studioso delle scritture ebraiche, suggerisce il fatto che quella veste potesse essere la stessa o simile a quella che Rachele aveva indossato il giorno delle nozze. Chissà che non fosse la stessa indossata una settimana prima da Lea. Il termine di ketonet passim è anche usato per la veste indossata da Tamar quando Amnon suo fratello le fece oltraggio. (2Sam 13:18) Si trattava della tunica che vestivano le figlie dei re. Il vestito che Giacobbe voleva dare a uno dei suoi figli non è un vestito ordinario in quanto non adatto al lavoro. È un capo di gran lusso portato dai nobili e dalle figlie dei re. Si trattava di una tunica lunga fino alle caviglie e dalle maniche particolarmente lunghe. Il termine significa: tunica di lana. Poteva essere un lavoro di patchwork con inserzioni colorate. Non era un mantello, come quello che indossavano i profeti o i pellegrini nomadi. Non era nemmeno una tunica sacerdotale. Era proprio una tunica principesca.

Un vestito femminile, per far festa ma non per lavorare

Era, con tutta probabilità, una tunica femminile di rango, come indica il riferimento alle lunghe maniche. Lo stesso Rashi nota la singolarità dell’espressione già presente in quel passo scabroso, in cui si riferisce dell’incesto di Amnon, figlio di Davide, con Tamar, sua sorella. Certamente chi deve lavorare non riesce a indossare vesti di questo genere ma indossa abiti un po’ meno preziosi. Ciò che stupisce è che Giuseppe indossasse quella veste mentre andava in missione, mandato da suo padre, a cercare i fratelli in campagna. (v.23) Può darsi che fino a quel momento i fratelli non avessero ancora consapevolezza del fatto che la tunica era stata assegnata e che Giuseppe li volesse lasciare di stucco. Ad ogni buon conto, la situazione per qualche motivo lo richiedeva, svolgendo una funzione profetica di cui i personaggi non erano consapevoli. Perciò la vista di quella tunica suscita immediatamente l’invidia e l’ostilità dei fratelli che arrivano al punto di volerlo uccidere. 

“Loro lo videro da lontano e, prima che Giuseppe li raggiungesse, iniziarono a complottare contro di lui con l’intento di ucciderlo. Si dissero l’un l’altro: “Arriva il sognatore! Dai, uccidiamolo e gettiamolo in una cisterna; poi diremo che una bestia feroce lo ha divorato. Così vedremo che fine faranno i suoi sogni!” Quando sentì queste parole, Ruben cercò di salvarlo. Perciò disse: “Non uccidiamolo”. Poi aggiunse: “Non spargete sangue. Gettatelo in questa cisterna nel deserto, ma non fategli del male”. Il suo obiettivo era di liberarlo per poi farlo tornare da suo padre.

Non appena Giuseppe raggiunse i suoi fratelli, loro gli tolsero la veste, la veste speciale che indossava, lo presero e lo gettarono nella cisterna. In quel periodo la cisterna era vuota, non c’era acqua dentro.” (Ge 37:18-24) Il fatto che il termine veste sia qui ripetuto due volte potrebbe indicare che Giuseppe indossasse sulla ketonet passim un’altra tunica più ordinaria.

Il dono dello spirito

Ora ci chiediamo qual era il significato simbolico della veste indossata dal ragazzo. Il suo valore è quello della grazia. Essa raffigura il dono immeritato del Padre celeste, il dono dello spirito, l’elevazione allo stato di figlio concessa agli eletti. È un dono senza il quale non possiamo fare niente, restiamo bloccati in uno stato di penombra spirituale, come i figli di Giacobbe capaci soltanto di un odio feroce.

Tuttavia, per Giuseppe ricevere quel regalo corrisponde a ricevere una sentenza di morte. Il ragazzo viene gettato nel pozzo e di lì viene rapito dai madianiti che lo vendono agli Ismaeliti che lo portano in Egitto. Il momento della discesa nel pozzo/tomba con la successiva scomparsa dal luogo in cui stavano gli altri dieci fratelli corrisponde, oltre che alla morte di Gesù, anche all’uccisione dei due testimoni da parte della bestia di Rivelazione 11:7. Non a caso i fratelli scannano un capro, intingono la veste nel sangue perché il padre possa dire: “Una feroce bestia selvaggia deve averlo divorato”. (Ge37:33) Allegoricamente ciò corrisponde quindi alla morte sociale degli eletti che stanno fuori dal sistema, fuori di Babilonia, fuori dal mondo e dalla sua propaganda. Il dono del padre presagiva per il figlio un destino principesco, come in effetti poi accadde.

La profezia di Gioele

È solo dopo aver ricevuto lo spirito di Dio che simbolicamente troviamo la chiave e riusciamo ad afferrare a fondo il senso delle scritture. Così Giuseppe comprese il senso della sua elezione per mezzo dei sogni che a quel punto era in grado di interpretare. Ecco perchè Giuseppe subito dopo aver ottenuto la veste fa due sogni molto particolari, sogni che presagiscono un destino futuro. (v.5-11) Questo corrisponde alla profezia di Gioele circa il versamento dello spirito su giovani e meno giovani.

Dopo questo verserò il mio spirito su ogni tipo di persona, e i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno, i vostri vecchi avranno sogni e i vostri giovani vedranno visioni. E anche sui miei servi e sulle mie serve in quei giorni verserò il mio spirito. (Gl 2:28-29)

Concludo questa discussione aggiungendo il link di un articolo molto interessante circa le modalità in cui avvenne la vendita di Giuseppe. Leggetelo! Vi assicuro che ne vale la pena. Le cose andarono diversamente da come abbiamo sempre creduto.

             Fake news: Giuseppe venduto dai fratelli! | Kolòt-Voci (kolot.it)

Un pensiero riguardo “Giuseppe riceve la tunica nuziale

  1. Quindi Giuseppe essendo stato rapito”? Sottratto dalle mani dei fratelli,Dai madianiti che lo vendono agli ismaeliti…ha diritto di essere riscattato…se i fratelli lo avessero venduto non c’era recesso.

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