Il fuoco serve per provare i metalli. Oggi la nostra fede è messa alla prova come attraverso il fuoco. Viviamo gli ultimi mesi dei sette anni finali. Sono momenti delicati in cui tutte le cose in cui abbiamo sperato, che abbiamo atteso e predicato stanno per accadere. Accadranno veramente? Alcuni cominciano a dubitare, si scoraggiano, pensano che i due testimoni risulteranno falsi, che le costruzioni profetiche individuate crolleranno come castelli di carta.
“Ci avete ingannato, forse alcuni pensano, ci avete spinti a fare delle cose inutili, scorte alimentari che non sono servite, provvedimenti in vista di un periodo di scarsità che poi non si è verificato.” Alcuni hanno lasciato il lavoro per rispettare un anno di riposo sabatico. (Ger17:19-27) Per questi motivi, presumo, i due testimoni vengono tirati in causa e considerati responsabili.
Un’esperienza carismatica
Non siamo insensibili. Anche noi ci siamo fatti le scorte, ci siamo impegnati in preparativi per noi importanti. Anche noi abbiamo lasciato il lavoro e ci siamo coinvolti in prima persona. Io, Adriana, da anni mi sono ritirata dal lavoro per dedicarmi esclusivamente all’attività di studio e ricerca richiesti per onorare la chiamata spirituale ricevuta all’inizio, nell’ottobre 2015.
Certo la mia situazione è un po’ diversa dalle altre, diversa perfino da quella di Michele, mio figlio. Ho vissuto in prima persona un’esperienza carismatica che non potrò mai dimenticare. È stato un gesto di immeritata benignità da parte di Dio per farmi capire i tempi in cui stiamo vivendo. (Eb 11:2) Ho coscienza di avere udito una “voce”, un forte comando. Ad essi mi sono attenuta.
Provato Geremia come attraverso il fuoco
Non è contrario alla chiamata profetica avere momenti di debolezza, di profonda stanchezza. Se avessimo chiesto a Geremia. “Perché soffri tanto?” egli ci avrebbe detto: “Perché Dio mi ha chiamato.” Per capire prenderemo in considerazione quelle che sono note come le “confessioni di Geremia”, momenti in cui il profeta parla di sé, dei sentimenti e delle sensazioni che ha vissuto sulla sua pelle e nel suo intimo durante quegli anni vissuti da profeta. Incredibilmente egli sembra arrabbiarsi con Dio.
Passa dallo sdegno alla fiducia, per abbandonarsi al lamento e alla disperazione. Troviamo in lui l’accento tipico di un animo profondamente turbato, addirittura in preda all’angoscia. Geremia è un profeta e in lui c’è lo spirito di Dio, ma egli insiste nel sentirsi debole, perché “non sono che un ragazzo” dice. (Ger 1.6). Egli si è inebriato della parola di Dio ma è diventato lo zimbello di tutti.
Un torrente d’acqua secco
Così scrive Geremia: “Si trovarono le tue parole, e le mangiavo; e la tua parola diviene per me l’esultanza e l’allegrezza del mio cuore; poiché il tuo nome è stato invocato su di me, o Geova Dio degli eserciti. Non mi son seduto nell’intimo gruppo di quelli che si burlavano ed esultavano. A causa della tua mano mi son seduto tutto solo, poiché mi hai riempito di denuncia. Perché il mio dolore è divenuto cronico e il mio colpo incurabile? Ha rifiutato di sanarsi.
Tu mi divieni positivamente come una cosa ingannevole, come acque che si son mostrate infide.” (Ger 15:16-18) Le parole di Geremia esprimono un amaro senso di fallimento e di disappunto. Sembrava che Geova non facesse avverare le cose come viceversa aveva promesso. “Ecco, ci sono quelli che mi dicono: “Dove sono le parole di Geova? Che allora si adempiano!” (Ger 17:15)
Fu un momento di profonda crisi
In Geremia leggiamo una situazione parallela a quella in cui viene a trovarsi Gesù sul patibolo. Il profeta sente l’irrisione della gente. Tu vai parlando di cose che poi non si verificano mai. Geremia ancora non riesce a dimostrare che le sue parole sono vere. Ma egli si attiene a quanto il Signore gli dice di fare. Scopre però con dolore di non essere capito neppure dai suoi compaesani, dalla gente di Anatot, la sua terra.
Anche noi facciamo l’esperienza di sorprese amare quando scopriamo che là dove pensavamo di essere sostenuti, siamo invece male interpretati, combattuti, ostacolati. (Ger 11:18-23) In Geremia vediamo un Gesù perseguitato proprio da coloro per i quali egli si sta sacrificando. È un momento della sua vita nel quale si può parlare come di una crisi sofferta. In lui sembra di udire il grido di Gesù: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?
Il profeta si sente ingannato da Dio. Il suo cuore vacilla, sta quasi per cedere al dubbio. Chiama in causa la madre. “Sia maledetto il giorno in cui sono nato! Il giorno che mia madre mi partorì non sia benedetto! Sia maledetto l’uomo che portò a mio padre la buona notizia: “Ti è nato un figlio, un maschio!”, facendogli provare una grande gioia.” (Ger 20:14-15) Esprime qui il dolore di uno che si sente perduto, solo e affranto.
Al versetto 18 siamo al culmine del dolore. Egli accusa Dio di avergli fatto credere ad un miraggio, come quando nel deserto un pellegrino esausto crede di vedere un torrente d’acqua ma quando si avvicina lo trova asciutto. Dio viene paragonato ad un torrente infido, ricco d’acque d’inverno, ma secco nel momento del bisogno. (Ger 15:18) Si tratta di una terribile prova interiore.
Mi hai sedotto, o Geova
Secondo le parole del profeta, Dio si è comportato come un uomo che inganna una donna, seducendola per poi lasciarla nei guai. “Mi hai ingannato, o Geova, così che sono stato ingannato. Usasti la tua forza contro di me, così che prevalesti. Divenni oggetto di derisione tutto il giorno; si fanno tutti beffe di me. Poiché ogni volta che parlo, grido. Grido violenza e spoliazione. Poiché la parola di Geova mi divenne causa di biasimo e di burla tutto il giorno.
E dissi: “Non Lo menzionerò, e non parlerò più nel suo nome”. Nel mio cuore ci fu come un fuoco ardente chiuso nelle mie ossa; e mi stancai di contenerlo, e non [lo] potevo [sopportare]. Poiché udii la notizia malevola di molti. C’era spavento tutt’intorno. “Denunciatelo, affinché noi lo denunciamo…” Ma Geova era con me come un terribile potente. (Ger 20:7-11)
Geremia non voleva essere profeta, ma Dio lo ha trascinato, ispirandogli fiducia. Il profeta si è fidato ma Dio non gli ha detto esattamente quello che lo aspettava. Perciò non vuole più profetizzare, vuole abbandonare il suo incarico, non parlare più del suo nome, “ma nel mio cuore ci fu come un fuoco ardente chiuso nelle mie ossa”.
Il profeta deve continuare la sua opera, anche contro la propria volontà. Chi ha gustato la dolcezza del favo di miele, la Parola, non riuscirà mai a dimenticarla per quanto amare possano sembrargli le conseguenze. Questo per dire che anche i più grandi uomini di Dio vissero profonde crisi interiori ed ebbero la sensazione di essere stati ingannati quando le promesse di Dio tardavano ad adempiersi.
Portati a morire nel deserto
Questa sensazione di crisi corrisponde al modo in cui si sentirono gli Israeliti all’uscita nel deserto. Esodo 14 legge: “Quando il faraone si fu avvicinato, gli israeliti alzarono lo sguardo e videro gli egiziani che li inseguivano; terrorizzati, cominciarono a implorare Geova. E dicevano a Mosè: “Ci hai portato a morire qui nel deserto perché in Egitto non ci sono tombe? Che cosa ci hai fatto portandoci fuori dall’Egitto? Non parlavamo proprio di questo quando in Egitto ti dicemmo di lasciarci servire in pace gli egiziani? Per noi è meglio servire gli egiziani che morire nel deserto!” Allora Mosè rispose al popolo: “Non abbiate paura. Restate saldi e vedete la salvezza che oggi Geova opererà per voi. Gli egiziani che vedete oggi, infatti, non li vedrete mai più. Geova stesso combatterà per voi, e voi starete fermi”. (Es 14:10-14)
La prima reazione fu di pensare che Geova si era preso gioco di loro. Ma dopo, aspettando con pazienza che il mare si aprisse, il popolo si potè tranquillizzare. Tutto il salmo 88 esprime una simile afflizione: “Su di me si è riversato il tuo furore, E con tutte le tue onde fluttuanti [mi] hai afflitto. Sela. Hai allontanato da me i miei conoscenti; Mi hai posto come qualcosa per loro assai detestabile. Sono sottoposto a detenzione e non posso uscire. Il mio proprio occhio è divenuto languido a causa della mia afflizione. Perché, o Geova, respingi la mia anima? Perché mi tieni nascosta la tua faccia? Sono afflitto e sul punto di spirare fin dalla fanciullezza; Ho sopportato assai cose spaventose da parte tua.” (Sl 88:6-15) Leggendo queste parole comprendiamo come spesso i servitori di Dio, benchè a torto, si sentissero ingannati, traditi dal loro Dio. Succede così anche adesso.
Un’opera strana
L’opera del Signore può sembrare strana. (Isaia 28:21) Alle volte Geova ci prende per la collottola e ci fa fare cose pazzesche. “Il suo lavoro è insolito”. Il fatto è che noi non conosciamo esattamente come si metteranno le cose. Cerchiamo di indovinare ma comprendiamo tutto solo quando le vicende si realizzano, non prima. Però facciamo ogni sforzo per capire la volontà di Dio. Pietro scrive: “Circa questa salvezza una diligente investigazione e un’attenta ricerca furono fatte dai profeti che profetizzarono intorno all’immeritata benignità a voi riservata.
Essi continuarono a investigare quale particolare periodo di tempo o quale sorta di [periodo di tempo] lo spirito che era in loro indicasse circa Cristo, quando rendeva anticipatamente testimonianza delle sofferenze per Cristo e delle glorie che le avrebbero seguite.” (1Pt 1:10-11) E aggiunge: “In queste cose gli angeli desiderano penetrare con lo sguardo.” Alle volte Geova ci fa fare cose che noi non comprendiamo. Le facciamo per ubbidienza anche se ci sembrano folli.
Siamo diventati l’immondizia del mondo
Paolo scrive: “Mi sembra infatti che Dio abbia presentato noi apostoli per ultimi come condannati a morte, perché siamo diventati uno spettacolo per il mondo e per gli angeli e per gli uomini. Noi siamo stolti a causa di Cristo e voi siete saggi in Cristo; noi siamo deboli e voi siete forti; voi siete stimati e noi siamo disprezzati. Fino a questo momento continuiamo a soffrire la fame e la sete, a non avere di che coprirci, a essere percossi, a non avere dimora e a faticare lavorando con le nostre mani. Quando veniamo insultati, benediciamo; e quando veniamo perseguitati, sopportiamo con pazienza; quando veniamo calunniati, rispondiamo con gentilezza. Siamo diventati come l’immondizia del mondo, lo scarto di tutto, fino a oggi. (1Cor 4:9-13)
È come se Dio ci mettesse alla prova. Pietro scrive: “Benedetto sia l’Iddio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, poiché secondo la sua grande misericordia ci ha dato una nuova nascita per una speranza viva mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per un’eredità incorruttibile e incontaminata e durevole. Essa è riservata nei cieli per voi, che siete custoditi dalla potenza di Dio mediante la fede per una salvezza pronta ad essere rivelata nell’ultimo periodo di tempo. Di questo fatto voi vi rallegrate grandemente, essendo ora per poco tempo, se necessario, addolorati da varie prove, affinché la provata qualità della vostra fede, di valore assai più grande dell’oro che perisce malgrado sia provato col fuoco, sia trovata causa di lode e gloria e onore alla rivelazione di Gesù Cristo.” (1Pt 1:3-9)
Provati mediante il fuoco
La nostra fede la dobbiamo dimostrare. Non basta dire. “Ho tanta fede”. Dobbiamo essere in grado di superare le prove. Giuseppe, ormai vicerè in Egitto, incontrando i suoi fratelli, prima di accoglierli benignamente e perdonarli, volle metterli alla prova per capire se erano cambiati. (Ge 44) Così Geova può, prima di darci l’eredità incorruttibile nei cieli, voler essere certo della nostra lealtà verso di lui. Così ci pone davanti delle prove da superare. Esse servono a farci crescere, a renderci solidi.
Paolo scrive: Ora se qualcuno edifica sul fondamento oro, argento, pietre preziose, materiali di legno, fieno, stoppia, l’opera di ciascuno sarà manifesta, poiché il giorno la mostrerà, perché sarà rivelata mediante il fuoco; e il fuoco stesso mostrerà che sorta di opera è quella di ciascuno. Se l’opera che qualcuno vi ha edificato sopra rimane, egli riceverà una ricompensa; se l’opera di qualcuno è bruciata completamente egli subirà una perdita, ma egli stesso sarà salvato; e, se lo sarà, [sarà] come attraverso il fuoco.” (1Cor 3:12-15)
Quest’ultima frase ha reso perplessi molti lettori. Se l’opera di qualcuno è bruciata, il costruttore subisce una perdita ma può essere salvato. In che senso? Nel senso che, se edifichiamo sul giusto fondamento, il Cristo, anche se commettiamo degli errori, possiamo essere salvati. E se lo saremo, è come attraverso il fuoco. Ciò significa passando attraverso prove, dispiaceri, delusioni e superandoli. Questa è la nostra situazione al presente. Geova sa che possiamo sbagliare. Dobbiamo farcene una ragione, e continuare ad aspettare Geova. Anche gli apostoli di Gesù tardarono a capire, ma poi capirono.

L’Amore di Dio non sbaglia, è fermo sulla riva del grande fiume, sa di tornare a Casa, e non gl’importa tanto quando.
Il mondo guarda te, ma non lo vede, e si fa beffe di un’anima, mentre il fiume scorre sempre uguale nel tempo dei malvagi.
Ma ecco, mentre la piena arriva improvvisa, due ali risalgono ai monti, e sollevandoti l’anima ti portano in Alto, nel suo Luogo eterno, mentre le acque violente travolgono gli schernitori, tutti intenti alle opere del mondo. Il mondo disprezza il vero Amore, perchè l’Amore di Dio non è del mondo, così se la tua giustizia supera quella dei loro maestri, costoro ti saranno nemici tutti, perchè la tua Casa è ben oltre la dimora degli empi, che finirà distrutta alla presenza di Dio nel giorno in cui tu vedrai il Vincitore.
Dov’è il tuo cuore? Lì ti aspetta il tuo tesoro eterno. Alzati, vieni.