
Anania e Saffira sono due personaggi della Bibbia che svolgono un ruolo come minimo controverso. Sotto molti aspetti appaiono da subito intrappolati in una situazione ambigua, irragionevole, oscura e paradossale. A prima vista i due sembrerebbero essere in cattiva fede, ma la loro condanna lascia tutti un po’ perplessi. La loro morte sembrerebbe proposta come castigo divino. Ma sorge spontanea una domanda: Pietro ne è responsabile e in che misura? È stato lui a invocare il castigo sui “mentitori”? Pietro attribuisce l’ispirazione dell’iniziativa di Anania e Saffira al Diavolo che mira a portare divisione nell’unità dei cristiani. Nel contesto Luca presenta una chiesa primitiva in crescita, coesa, ripiena di spirito santo, una descrizione a tinte rosa. Qui però, per la prima volta fa il suo ingresso Satana che sembrerebbe determinare una sorta di implosione dall’interno. Diciamo perciò che il testo, in generale, sembra particolarmente ostico e duro. Perciò va inquadrato con attenzione.
Per la verità, molti sfogliando la Bibbia si scandalizzano dopo una lettura di poche pagine. Questo è risaputo. In un’occasione Gesù disse: “A voi è stato dato il sacro segreto del Regno di Dio, ma per quelli di fuori ogni cosa è in parabole, così che guardino, ma senza vedere, e odano, ma senza capire, e non si convertano né ricevano il perdono”. (Marco 4:11-12) Alcuni trovano da ridire anche su queste parole perché, a loro modo di vedere, sembrerebbe volontà del Signore accrescere la confusione degli ascoltatori. In effetti molti episodi narrati nella Bibbia che, a tutti gli effetti, sembrerebbero vicende reali, in realtà non sono altro che sorta di parabole. Sarebbe esattamente il caso di Anania e Saffira. Il loro peccato davvero fu più grave del tradimento di Pietro la notte del processo del Signore? Pietro però ottenne misericordia. E a sua volta ricevette un comando: di perdonare fino a 77 volte 7. Qui invece i due coniugi non hanno neppure la facoltà di spiegare i motivi del loro gesto. Nessuna spiegazione viene richiesta. Si esegue all’istante una condanna irreversibile.
La critica di Voltaire nel suo dizionario filosofico
Alla voce Pietro del suo dizionario filosofico, Voltaire (1694-1778), citando anche il filologo inglese Isaac Casaubon (1559- 1614) e il medico tedesco Hermannus Coringius (1606-1681), esprime un’opinione largamente condivisibile nei confronti di questo episodio:
«Casaubon non poteva approvare la maniera in cui Pietro aveva trattato quel brav’uomo di Anania e sua moglie Safira. Con quale diritto, dice Casaubon, un ebreo schiavo dei romani ordinava o tollerava che tutti coloro che credevano in Gesù vendessero i loro beni e ne portassero il ricavato ai suoi piedi? Se qualche anabattista a Londra facesse deporre ai suoi piedi tutto il denaro dei suoi confratelli, non lo arresterebbero come un seduttore sedizioso, come un ladrone? Non sarebbe immancabilmente spedito a Tyburn? (ossia al patibolo, nota mia) Non è orribile far morire Anania perché, venduto il suo fondo e portato a Pietro il denaro, s’era tenuto, senza dirlo, qualche scudo per sovvenire alle necessità sue e di sua moglie? Appena morto Anania, arriva sua moglie. Pietro, invece di avvertirla caritatevolmente che ha fatto morire suo marito d’apoplessia perché s’era tenuto qualche obolo, invece di dirle di badare a se stessa, la fa cadere nel tranello. Le chiede se il marito abbia dato tutto il suo denaro ai santi. La brava donna risponde di sì, e muore di colpo. Questa è dura. Coringius si chiede perché Pietro, che ammazzava tanto tranquillamente quelli che gli avevano fatto l’elemosina, non era andato piuttosto ad ammazzare i dottori che avevano fatto morire Gesù Cristo, e che più di una volta avevano fatto frustare anche lui. O Pietro! fai morire due cristiani che ti han fatto l’elemosina, e lasci vivere quelli che hanno crocifisso il tuo Dio!» Evidentemente Coringius non si trovava in paese d’inquisizione quando faceva queste ardite domande. Erasmo notava, a proposito di Pietro, una cosa singolare: e cioè che il capo della religione cristiana cominciò il suo apostolato col rinnegare Gesù Cristo, e che il primo pontefice degli ebrei aveva cominciato il suo ministero col fare un vitello d’oro, e adorarlo. |
Anania e Saffira rappresentano il tempio
Poco prima della storia di quella coppia in Atti 4 si legge che “la moltitudine di quelli che avevano creduto aveva un solo cuore e una sola anima; nemmeno uno di loro considerava sue le cose che possedeva, ma avevano ogni cosa in comune. Gli apostoli continuavano con grande vigore a rendere testimonianza riguardo alla risurrezione del Signore Gesù, e a tutti loro era mostrata immeritata bontà in grande misura. Infatti fra loro non c’era nessuno nel bisogno, perché tutti quelli che possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato della vendita e lo depositavano ai piedi degli apostoli; questo veniva poi distribuito a ciascuno in base alle sue necessità. Allora Giuseppe, dagli apostoli soprannominato Bàrnaba (che tradotto significa “figlio di conforto”), un levita originario di Cipro, vendette il pezzo di terra che possedeva e consegnò il denaro depositandolo ai piedi degli apostoli.” (Atti 4: 32-36)
Il marito Anania – un nome ebraico molto diffuso, portato anche da più di un sommo sacerdote, e dal significato importante in quanto vuol dire “Iah mi ha concesso la sua grazia” – decide di vendere una proprietà, ma d’intesa con la moglie Saffira (il nome è quello di una pietra preziosa che in Apocalisse costituisce il secondo fondamento della città santa, la Nuova Gerusalemme – Ri 21:19) tiene per sè una parte del ricavato. Il resto lo consegna agli apostoli per sopperire ai bisogni della chiesa nascente. Pietro indaga, si accorge dell’inganno e reagisce con forza. Le sue parole sono vigorose in quanto ad Anania dichiara: “Satana ti ha imbaldanzito da farti mentire allo spirito santo.” La condanna ha quindi uno sbocco terrificante, che nel Nuovo Testamento non trova l’uguale. Ciò che stupisce è che qui la buona novella del vangelo si attua con un miracolo di morte, al contrario di tutto ciò che presuppone l’insegnamento del Cristo e dello spirito cristiano. La vicenda si ripete poi anche con Saffira, così che la scena assume un tono di parabola.
La storia di Anania e Saffira come raccontata nella Bibbia
Riporto la storia dal libro degli Atti cap 5. “Comunque, un certo uomo di nome Anania, insieme a sua moglie Saffira, vendette un possedimento e segretamente trattenne parte del prezzo, e anche sua moglie lo sapeva, e portò solo una parte e la depositò ai piedi degli apostoli. Ma Pietro disse: “Anania, perché Satana ti ha imbaldanzito da farti mentire allo spirito santo, trattenendo segretamente parte del prezzo del campo? Finché rimaneva presso di te non rimaneva tuo? e dopo che era stato venduto non restava sotto il tuo controllo? Perché ti sei messo in cuore di fare un’azione come questa? Tu non hai mentito agli uomini, ma a Dio”. Udite queste parole, Anania cadde a terra e spirò. Grande timore venne su tutti quelli che lo udirono. Ma i giovani si alzarono, lo avvolsero in panni, e portatolo fuori lo seppellirono.
Ora, dopo un intervallo di circa tre ore, entrò sua moglie, non sapendo ciò che era accaduto. Pietro le disse: “Dimmi, avete voi [due] venduto il campo per tanto?” Essa disse: “Sì, per tanto”. E Pietro le [disse]: “Perché vi siete messi d’accordo fra voi [due] di mettere alla prova lo spirito di Geova? Ecco, i piedi di quelli che hanno sepolto tuo marito sono alla porta, e porteranno via anche te”. All’istante essa cadde ai suoi piedi e spirò. Quando i giovani entrarono, la trovarono morta, e portatala via, la seppellirono accanto a suo marito. Quindi grande timore venne su tutta la congregazione e su tutti quelli che udivano queste cose. Inoltre, mediante le mani degli apostoli avvenivano fra il popolo molti segni e portenti; ed erano tutti di comune accordo sotto il colonnato di Salomone. (Atti 5:1-12)
La storia camuffata dei due testimoni di Rivelazione 11
La storia di Anania e Saffira è un’altra delle diverse versioni bibliche rappresentative dei due testimoni. Come Debora e Barak, Ulda e Giosia, Ester e Mardocheo, Mosè e Aaronne, Elia ed Eliseo, etc. Lo possiamo sostenere? Anania e la moglie misero in vendita una proprietà, probabilmente un pezzo di terra, poi offrirono parte del ricavato a Pietro. Ma, in parallelo, dal canto loro, cos’avranno mai venduto i due testimoni? Cos’è che hanno sottaciuto? Hanno trattenuto qualcosa per sé? All’inizio hanno cominciato a studiare la terra piatta e hanno capito di dover tenere la cosa per sé. Anzi gli anziani della congregazione hanno esplicitamente fatto divieto di trattare l’argomento con chicchessia. Dunque i due testimoni hanno barattato la teoria della terra globulare e dell’eliocentrismo galileiano con la dottrina biblica della terra piatta. Ma hanno dovuto tacere. Tuttavia non si sono prestati all’ordine tassativo di mantenere, per amore di unità, lo stesso pensiero della congregazione sulla forma globulare della terra.
In sostanza hanno venduto il concetto mondano di terra ma non hanno subito dichiarato tutto il dichiarabile. Così avvenne all’inizio. Così facendo, benché sotto restrizione ed evitando di parlare, essi poterono restare nella congregazione ancora per un periodo di circa tre anni. Ma a quel punto improvvisamente ne furono estromessi, d’ufficio. Proprio come dopo circa tre ore dalla morte di Anania anche Saffira giunge da Pietro, ancora ignara di essere già vedova. Pietro agisce nei confronti della coppia come la bestia di Rivelazione 11:7. Egli ne esce grandemente esaltato tanto che per le strade i malati si aspettano guarigione dal passaggio della sua stessa ombra. In quel momento tutta la nascente congregazione cristiana è unita e in pace. Stanno tutti di comune accordo sotto il colonnato di Salomone, a est del tempio. Anche Barnaba ha appena venduto la sua proprietà e deposto il ricavato ai piedi degli apostoli. I due testimoni nel primo periodo predicano vestiti di sacco, inconsapevolmente in lutto, come Saffira. (Ri11:3)
I più giovani seppelliscono Anania e Saffira
Il termine usato per descrivere coloro che portano fuori i corpi per seppellirli è un comparativo, gli uomini più giovani, oi neoteroi. Il fatto che sono i membri più giovani della comunità a prendere l’iniziativa di rimuovere i corpi non è senza significato. Essi vivono in un tempo futuro rispetto alle origini del cristianesimo, durante la seconda presenza o parousia, al tempo della fine. Si percepisce in una sola parola lo slittamento dei secoli. In termini accademici sono diversi gli studiosi che tendono a inquadrare la questione di Atti 5:1-12 come una vicenda fuori dalla storia, ma piuttosto come una parabola.
L’intervallo di tre ore tra la morte di Anania e l’arrivo della moglie presenta similitudine con i tre tempi e mezzo di Rivelazione 11. Nelle due situazioni i membri interni alla comunità reagiscono in modo diverso alla morte dei due testimoni. Nel caso di Anania e Saffira i cristiani sono spaventati per ciò che è accaduto. In Ri 11 invece tutti si rallegrano. Molte similitudini esistono tra i due passi di Atti 5 e di Rivelazione 11. Le cose che vi accadono non sono cose di tutti i giorni, e l’autorità e il potere degli apostoli e degli anziani deve essere sembrato sconcertante e capace di incutere timore. Anania e Saffira nel racconto di Atti si presentano in due momenti successivi e non insieme. Rappresentano due classi separate ma unite, la grande folla e la classe della Sposa. Il nome Saffira è vicino anche al termine shofar, lo squillo di tromba. Questo ci ricorda la voce di Dio al momento del rapimento degli eletti (1 Tess 4:16). Nelle scritture la voce di Dio è paragonata auna tromba.
Incrinata l’unità di pensiero della congregazione
In realtà il tempo degli avvenimenti relativi ad Anania e Saffira è immediatamente successivo al grande versamento dello spirito alla Pentecoste. I due sposi erano probabilmente due dei 120 radunati nella camera superiore a Gerusalemme nel momento in cui scese dal cielo il Paraclito sotto forma di lingue di fuoco. Anche l’avvento dei due testimoni fu un momento simile (Gioele 2:28-29) Rimando qui il lettore ad un articolo scritto nel momento in cui la congregazione dei testimoni di Geova ci aveva lasciati stecchiti morti sulla pubblica via. La verità è il primo requisito – Rifugiati di Pella Nessuno dei nostri fratelli mosse un dito a nostro favore. Di sicuro ci furono ripetutamente discorsi pubblici interni alle adunanze in cui si faceva allusione più o meno esplicita o velata alla nostra presa di posizione. Fummo paragonati a Cora e ai suoi ribelli divorati dal fuoco divino.
Nessuno mai mostrò minimamente di partecipare al nostro disagio. Si avverarono le parole di Atti 5:13 “In realtà, nessuno degli altri aveva il coraggio di unirsi a loro; tuttavia, il popolo li esaltava.”Ci furono probabilmente persone estranee alla congregazione che espressero apprezzamento osservando il nostro coraggio e la fermezza nell’abbandonare una religione nelle cui fila avevamo militato per quarant’anni pieni. Molti invece di quelli di dentro si rallegravano e festeggiavano e si mandavano doni gli uni gli altri. Questo perché in definitiva stavamo tormentando “quelli che dimorano sulla terra”. (Ri 11:10)
Pietro e la bestia selvaggia
Dunque Pietro nel passo relativo ad Anania e Saffira svolge un ruolo ben definito, diviene un modello di Babilonia e della bestia politica. Voltaire di Pietro scriveva: “Abbiamo una sua lettera, nella quale dice di trovarsi a Babilonia: certi giudiziosi canonici hanno preteso che per Babilonia si dovesse intendere Roma. Così, supposto che avesse datato la lettera da Roma, si sarebbe potuto concludere che l’avesse scritta a Babilonia. Si è andati avanti per molto tempo con questo genere di deduzioni, ed è in tal modo che il mondo è andato avanti.”
Infatti in una sua lettera Pietro scrive: “Colei che è a Babilonia, eletta come voi, vi manda i suoi saluti, e anche Marco, mio figlio.” (1 Pt 5:13) Dunque Pietro è anche allegoria di Babilonia. Va riconosciuto. Questo non significa gettare ombra sulla figura di Pietro, che di per sé fu apostolo approvato, ma comprendere che egli, in determinati passi, è anche figura profetica di ciò che divenne la chiesa nei secoli e di quella entità che oggi si presenta come Babilonia. Anche Voltaire lo riconosce quando scrive: “Comunque, Pietro ci viene dipinto come un povero che catechizza i poveri. Somiglia a quei fondatori d’ordine che vivevano nell’indigenza, e i cui successori sono diventati dei gran signori.”
Lettere da Babilonia
“Secondo la sua stessa testimonianza, Pietro redasse la prima lettera a Babilonia. (1Pt 5:13) Forse scrisse di là anche la seconda. È chiaro che si tratta di Babilonia, la città sull’Eufrate, e non di Roma, come sostengono alcuni. Poiché gli era stata affidata ‘la buona notizia per quelli che sono circoncisi’, c’era da aspettarsi che Pietro prestasse servizio in un centro del giudaismo, come Babilonia. (Gal 2:8, 9) Babilonia ospitava una folta comunità ebraica. Parlando delle origini del Talmud babilonese, l’Encyclopaedia Judaica (Gerusalemme, 1971, vol. 15, col. 755) menziona le “grandi accademie [giudaiche] di Babilonia” nell’era volgare. Dato che Pietro scrisse “ai residenti temporanei dispersi nel Ponto, nella Galazia, nella Cappadocia, nell’Asia e nella Bitinia”, tutte regioni letterali (1Pt 1:1), è logico che il luogo di provenienza della lettera, “Babilonia”, fosse la città letterale così chiamata. La Bibbia non indica mai che Babilonia si riferisca in particolare a Roma, né dice che Pietro sia mai stato a Roma.
Il primo a sostenere che Pietro subì il martirio a Roma fu Dionisio, vescovo di Corinto nella seconda metà del II secolo. Qualche tempo prima, Clemente di Roma, pur menzionando insieme Paolo e Pietro, aveva precisato che l’apostolo Paolo si era distinto per la sua predicazione sia in Oriente che in Occidente, come per dire che Pietro non andò mai in Occidente. Dato che la spietata persecuzione dei cristiani da parte del governo romano (sotto Nerone) a quanto pare non era ancora iniziata, Pietro non avrebbe avuto motivo di celare l’identità di Roma usando un altro nome. Scrivendo la lettera ai Romani, Paolo nominò molti a cui inviava saluti a Roma, ma non menzionò Pietro. Se Pietro fosse stato un noto sorvegliante di quella città, un’omissione del genere sarebbe stata assai improbabile. ” (Citazione da Perspicacia nello Studio delle Scritture, 1988, Vol 2)
Lo schiavo malvagio
Pietro naturalmente fu un apostolo approvato. A lui furono affidate le chiavi del regno. Voltaire scrive: “Le chiavi in Palestina erano un perno di legno che veniva legato con una cinghia. Gesù disse a Simone: «Ciò che tu avrai legato in terra sarà legato in cielo» I teologi del papa ne hanno concluso che i papi avevano ricevuto il diritto di legare e sciogliere i popoli dal giuramento di fedeltà fatto ai loro re, e di disporre a loro piacimento di tutti i regni. Magnifica conclusione. Nel 1302, alla riunione degli stati generali di Francia, i comuni dicono nella loro petizione al re che «Bonifacio VIII era un c… il quale credeva che Dio legasse e imprigionasse in cielo ciò che Bonifacio legava sulla terra».
“Un famoso luterano tedesco (era, penso, Melantone), stentava a digerire che Gesù avesse detto a Simone figlio di Giona, Cefa o Cephas: «Sei Pietro, e su questa pietra costruirò la mia assemblea, la mia Chiesa.» Non poteva concepire che Dio si fosse abbassato a usare un simile gioco di parole, un’arguzia così d’effetto, e che la potenza del papa fosse fondata su una facezia.” In effetti la chiesa si fonda sul Cristo e non su Pietro. Fu sempre e solo premura dello schiavo malvagio , alias Babilonia, a sottolineare la propria autorità sulla base di passi biblici interpretati in modo tendenzioso.
