
Naufragio: viverlo significa perdere tutto. Luca, autore degli Atti degli apostoli, fu compagno di viaggio di Paolo a bordo di due navi differenti. Si trattava delle tipiche imbarcazioni da carico dell’era antica, archeologicamente ben documentate per la quantità di relitti di cui sono disseminati i fondali del Mediterraneo. Alcuni cristiani viaggiavano diretti a Roma dove Paolo doveva presentarsi di fronte a Cesare. Siamo d’autunno, probabilmente dopo la fine del 58 d.C. e si navigava ormai ben oltre i limiti della stagione propizia, in condizioni climatiche avverse. Essendo però sopravvissuto tutto l’equipaggio, Luca ha potuto lasciarci una dinamica descrizione di quell’avvenimento. (Atti 27:37)
Il racconto di questo viaggio è ricco di un vasto corredo di nomi, personali o geografici. Questo sciame d’informazioni ha però tutta l’aria di voler nascondere, sotto una facile narrazione, un cifrario ancora tutto da esplorare. È come se ci si trovasse immersi in un paesaggio che sappiamo arioso, ma seppellito in una fitta coltre di nebbia. Il sole e le stelle sono coperti e per molti giorni non c’è luce a rischiarare i naviganti. (Atti 27:20, cfr Ri 8:12)
Lo stile del racconto, pur essendo all’apparenza descrittivo, è denso di rimandi criptati. Proverò a sondare alcuni temi essenziali. Il tema deputato qui è ovviamente il naufragio. In Apocalisse il naufragio è legato al secondo squillo di tromba e al crollo in mare del monte di Babilonia. Il passo di Rivelazione legge: “Il secondo angelo suonò la sua tromba. E qualcosa come un gran monte infuocato fu scagliato nel mare. Un terzo del mare divenne sangue; e un terzo delle creature che sono nel mare e che hanno anima morì, e un terzo delle navi fece naufragio.” (Ri 8:8-9) In Atti 27, a sorpresa, ci avventuriamo nei mari di Babilonia, allontanandoci a gradi dal porto tranquillo del cristianesimo primitivo.
Giulio, centurione romano
In partenza, per primo, conosciamo Giulio, il personaggio su cui grava la responsabilità di vigilare che Paolo giunga a Roma sano e salvo. Nella Bibbia c’è un solo Giulio, lui, il centurione. Durante l’udienza presso il governatore Porcio Festo (Atti 24:27) Paolo si era appellato a Cesare. In seguito anche il re Agrippa lo aveva ascoltato e aveva concluso che Paolo era innocente. Tuttavia, essendosi ormai appellato, il prigioniero fu affidato al centurione perché lo imbarcasse per Roma. Giulio e il gruppo dei prigionieri a Cesarea salirono a bordo di una prima nave. Il viaggio si divide in due parti. Nella prima parte tutto procede tranquillamente su una nave adramittena. Ciò corrisponde agli esordi del cristianesimo prima di Costantino e fino a Nicea. (325 d.C.) Il naufragio conclude la seconda parte del viaggio, su nave Alessandrina. Ciò corrisponde alla storia del cristianesimo da Costantino al concilio di Costanza. (1414 d.C.)
Nella Bibbia i nomi hanno sempre grande rilevanza e costituiscono una sorta di carta d’identità. Perciò ci dovremmo chiedere: il nome di questo centurione cosa significa? In breve faremo una scoperta interessante: Giulio vuol dire peloso. Sarebbe l’equivalente latino dell’ebraico Esaù. Questo simbolo qualifica il mondo di Giulio come Edom, Babilonia ed Egitto. Ci troviamo ormai nel bel mezzo di una grande profezia che focalizza la nostra attenzione sul costante allontanamento della Chiesa dall’originale modello del Signore nel corso dei successivi secoli del cristianesimo. Fanno la loro comparsa le due scuole, da un lato l’insegnamento apostolico, sotto l’insegna di Adramitta, e la successiva scuola alessandrina con Anastasio in difesa del pensiero trinitario. Il cristianesimo si diffonde per tutto l’Egitto dando spesso luogo a diatribe e nuove interpretazioni.

Il percorso di Paolo attraverso il naufragio
L’obiettivo del viaggio è quello di arrivare in Italia, la terra dei vitelli, e a Roma, la mammella che i vitelli li nutre. Si tratta di capire che l’antico nome dell’Italia era un derivato del latino vitello, vitulus, v’italia. Si tratta di un viaggio per mare che porta ad un progressivo movimento dal Cristo verso l’anticristo, dalla pura adorazione verso il culto solare. Il vitello è un antichissimo simbolo solare. Le diverse tappe del viaggio segnano la direzione di questo percorso. Si parte da Cesarea, su una nave di Adramitta, per fare vela verso i luoghi della costa del distretto dell’Asia, proprio là dove si svilupparono le prime congregazioni cristiane: Efeso, Laodicea, Smirne, Filadelfia, Pergamo, e varie altre località a sud del porto di Adramitta.
Il giorno dopo l’imbarco arrivano a Sidone, città portuale della costa fenicia. Religiosamente parlando, i sidoni erano quanto mai lontani dal cristianesimo. Il culto della dea Astoret era una parte fondamentale della loro liturgia. Gli israeliti, permettendo ai sidoni di rimanere in mezzo a loro, avevano finito per essere trascinati nell’adorazione dei loro dèi. Dunque Giulio, nella sua grande lungimiranza, permette a Paolo di recarsi in visita dai suoi amici di Sidone e di riceverne le cure. Questo scambio di contatti renderà possibile nel tempo una lenta adulterazione della fede cristiana.
A confronto con il potere politico
La storia di Paolo non può prescindere dalla vita politica del tempo e da un confronto per lo più complicato con il potere. Giovanni battezzava lungo il Giordano ma per una critica mossa contro Erode finì in prigione e poi decapitato. Elia profetizzò per Acab una lunga siccità e dovette fuggire per la propria vita, Paolo predicò in lungo e in largo ma fu spedito da Cesare a Roma. Per il cristiano il potere politico è sempre uno scoglio difficile da fronteggiare. La nave su cui si viaggia parte da Cesarea, città che Erode aveva costruito come tributo ad Augusto, con tanto di tempio e un’enorme statua per il culto dell’imperatore.
Cesarea era il centro delle attività politiche e militari di Roma. Di lì era partita la predicazione ai gentili a casa di un altro centurione romano, Cornelio. La prima parte del viaggio ripercorre le tappe della prima predicazione ai gentili. Di lì si naviga al riparo da Creta, nome che significa reietto e giudicato. Questa era stata infatti la prima collocazione dei cristiani, il mondo dei reietti.
Costantino governa il naufragio
Arrivati al quarto secolo, trecento anni dopo la prima predicazione apostolica, lo scenario cambia e si prospetta un nuovo modo di affrontare ed eludere il problema sollevato dalla nuova religione ormai popolare. Arrivati alla battaglia di Ponte Milvo, 312 d.C., Costantino decide di dare alla storia una bella svolta. I cristiani cadranno presto nelle sue astute trappole, cioè si troveranno coinvolti in un grande rivolgimento epocale. Il naufragio risulta ormai inevitabile.
Costantino farà del Cristianesimo, fin lì inviso al potere e perseguitato, un culto approvato e sincretista di cui tutti gli uomini “parleranno bene”. (Lc 6:26) In Atti 27 Luca profetizza di questi fatti quando scrive: “Il terzo [giorno], – e qui leggeremo “trecento anni dopo” – con le loro proprie mani, gettarono l’attrezzatura della nave.” I cristiani nel IV sec. d.C. cominciarono a liberarsi di aspetti fondamentali delle primitive dottrine. Torneranno ad esempio a difendere la dottrina dell’immortalità dell’anima. Non a caso a Creta, ci informa Luca, e forse non senza fare un po’ d’ironia, i viaggiatori coltivano la speranza di andare a svernare a Fenice. E la fenice, come tutti sanno, è un chiaro simbolo di reincarnazione e immortalità. (v. 19)
Era trascorso un tempo considerevole
Lo scrittore ci aiuta a collocarci nel tempo e spiega che “siccome era trascorso un tempo considerevole” dalla partenza, la navigazione diventava pericolosa perché era già passato anche il digiuno [del giorno dell’espiazione].” (Atti 27:9) Quindi ci troviamo ormai inoltrati nel mese di Tishri, il nostro mese di ottobre.
Salpati da Bei Porti, – e mai nome fu più tranquillizzante per chi deve mettersi in mare – navigarono i nostri “al riparo di Cipro, perché i venti erano contrari”. Attraversarono il mare aperto della Cilicia e della Panfilia ed entrarono in porto a Mira di Licia. (Atti 27:4-5) A Mira, Giulio fece imbarcare i suoi prigionieri, Paolo in primis, con Luca e Aristarco, su una nave alessandrina diretta verso l’Italia.
Cipro e Yom Kippur
I viaggiatori navigavano al riparo di Cipro. La genesi del nome di Cipro è misteriosa, ma le origini furono probabilmente semitiche. I minoici per gli Ebrei erano i Caphtorim, nome che si relaziona con la radice כפר (k-p-r) che ha in comune tre consonanti con Cipro. Cipro deriverebbe secondo alcuni studiosi dal verbo כפר (kapar), che significa coprire o espiare. Il nome del coperchio dell’arca dell’alleanza deriva dalla stessa radice. Il verbo Kapar descrive la formazione di una sorta di perimetro protettivo intorno ad un interno vulnerabile e fragile. Koper descrive il prezzo di una vita umana, cioè il prezzo di acquisto e i costi del mantenimento in vita di una persona riscattata dalla schiavitù.
Ci sono diversi termini affini. Kippurim è un plurale che denota un riscatto collettivo inteso a riscattare e mantenere liberi molti uomini in un’unica tranche. Kapporet è il termine tecnico che designa il coperchio dell’arca del patto. Yom Kippur, la festa di espiazione, nella Torah viene anche chiamato Yom haKippurim, al plurale. In Atti 27:9 Luca definisce il giorno più solenne dell’anno ebraico come “il giorno del digiuno”. Interessante notare come l’inglese copper, rame, elemento di cui l’isola è ricca, era nell’antichità sinonimo di danaro. Il concetto che qui si relaziona è che Cristo ci ha comprati a prezzo, liberandoci dalla condanna adamica. (Galati 5:1) Il nome Cipro, enclave o insediamento fortificato, presenta quindi un riferimento alla sfera del sacro. Se ne conclude che all’interno della Chiesa Cattolica la questione del riscatto era cosa ormai dimenticata.
Era la quattordicesima notte
Cosa intendiamo con questa espressione: “Era trascorso un tempo considerevole”? Probabilmente Luca intendeva dire che da quando erano partiti da Bei Porti a bordo della seconda nave onenaria, era passato un bel po’ di tempo. Ma nel racconto ci sono ancora indicazioni temporali più precise perché in Atti 27:27 si legge: “Ora come scese la quattordicesima notte ed eravamo sbattuti qua e là nel [mare di] Adria, a mezzanotte i marinai sospettavano di avvicinarsi a qualche terra.” Se dobbiamo considerare il viaggio di Paolo quasi come una proiezione cinematografica del percorso del cristianesimo a partire dalle origini, la narrazione di Luca ci rimanda ai tanti secoli successivi nella storia della Chiesa. Ad un certo punto Paolo, catturando l’attenzione di tutto l’equipaggio, invitava ognuno a prendere cibo. (v.33,34) Ma a quel punto dove ci stiamo posizionando nel tempo? Dove stiamo andando a parare?
Approderemo, puta caso, al XV secolo, quando un papa, Martino V, disse: “Senza riforme la chiesa va avanti da quattordici secoli. Senza danaro rischia di non sopravvivere una settimana.” (Indro Montanelli, Roberto Gervaso, in L’italia dei secoli d’oro. Il Medioevo dal 1250 al 1492, Bur Editore) Quattordici secoli dopo la primitiva predicazione cristiana, ci troviamo in un’epoca di tenebre spirituali in cui però fervono gli studi filologici sulla Bibbia e ci sono vari tentativi di renderla più largamente disponibile grazie all’invenzione della stampa. Siamo verso la metà del Quattrocento. Dopo tanta fame, si ricomincia a mangiare qualcosa spiritualmente. E’ come se si avvertisse la sensazione di essere lì lì per approdare da qualche parte. La riforma protestante è alle porte.
Del cibo spirituale durante il naufragio
Il XV è il secolo di un duro scontro fra papi e antipapi, fra Roma e Avignone, per il controllo del potere temporale. È una crisi che divide in due correnti rivali l’Europa cristiana. La Chiesa romana aveva da tempo perso il suo ruolo di guida spirituale e non era più in grado di rispondere a una società in rapido cambiamento. Lo scisma fu ricomposto solo nel 1417 quando a seguito del Concilio di Costanza la Cristianità si ricompattò sotto la guida di un unico papa: Martino V. L’autorità papale tuttavia ne uscì profondamente indebolita. Aggiungo di seguito poche date.
1414-1418 Convocato il Concilio di Costanza.
1417 Durante il Concilio di Costanza sale al soglio pontificio Martino V.
1415 Condannato e arso al rogo il boemo Jan Hus, considerato il primo anticipatore della riforma protestante. Dopo la sua morte, gli Hussiti si schierarono in massa contro la corruzione della Chiesa Cattolica.
1453-1455 Invenzione della stampa. Il primo libro pubblicato da Gutemberg è una Bibbia.
1498 Arso al rogo a Firenze Girolamo Savonarola.
Ora non sto a raccontare tutte quelle mille pietose vicende che porteranno nel giro di poco tempo alle lotte dell’inquisizione per contrastare lo studio delle scritture. In ogni modo la riforma protestante ne risulterà compromessa. Ciò che mi preme notare è che si assiste da parte di alcune anime scelte ad un risveglio spirituale, e dopo tanto sconquasso e tanto digiuno, finalmente i cristiani riescono a prendere un pasto attingendo dalla Parola.
276 superstiti al naufragio
Accanto a Paolo c’è un personaggio, Aristarco, che sempre lo accompagna nei suoi viaggi ed è presente al suo fianco da Cesarea al naufragio e perfino durante la detenzione di Roma. Questo personaggio ha nome Aristarco, un Macedone di Tessalonica. In greco quel nome significa “il miglior governante”. Aristarco è figura del Cristo. Egli è sempre al nostro fianco e ci sostiene. Volendo applicare le profezie del capitolo 27 di Atti a noi che viviamo oggi cosa potremmo osservare? Nonostante i tanti momenti drammatici vissuti durante il naufragio della Chiesa si giunge, alla fine del viaggio, a fare il calcolo dei sopravvissuti. Le varie chiese o congregazioni, in quanto babiloniche, le abbiamo lasciate alle nostre spalle e la promessa divina è che non perirà un capello della nostra testa.
Vorrei riportare queste parole che Paolo pronuncia davanti a tutti gli uomini dell’equipaggio: “Questa notte mi si è presentato un angelo dell’Iddio al quale appartengo e al quale rendo sacro servizio, dicendo: ‘Non aver timore, Paolo. Ti devi presentare davanti a Cesare, ed ecco, Dio ti ha dato gratuitamente tutti quelli che navigano con te’. Perciò siate di buon umore, uomini; poiché ho fede in Dio che avverrà esattamente come mi è stato detto. Comunque, dobbiamo essere gettati a riva su un’isola”. (23-26) Dio avrebbe tutelato i cristiani fino al giorno del giudizio, senza interruzioni.
I sopravvissuti furono in tutto 276 (v.37). Per adesso sanno solo d’essere vivi, ma tra breve sapranno di essere approdati a Malta. Duecentosettantasei: questo numero cosa rappresenta? Si tratterebbe di un numero in codice: 2, i testimoni di Apocalisse 11; sette: i settemila di Ri 11:13; sei: tutti gli uomini che Geova riterrà di approvare, la grande folla. Sei è un numero d’uomo. (Ri 13:18) Perciò facciamoci coraggio. Per adesso siamo vivi!
