

Allegoria è una storia nella quale i personaggi e le vicende coinvolte sono simboli che rappresentano avvenimenti, idee e situazioni che vanno oltre, al di là del privato e della quotidianità spicciola. Le vicende di Atti 27-28 sono decisamente allegoriche. L’allegoria è utilizzata come espediente letterario in tutta la storia della letteratura antica e moderna e nella Bibbia è onnipresente. Allegorie sono lì a suggerire idee generalmente impopolari e sgradite, a criticare le istituzioni al potere, a mettere alla berlina i leader del mondo o la boria dei presunti sapienti.
Allegorein, dal greco, parlare diversamente, consiste nella costruzione di un discorso che, oltre al significato letterale, presenta anche un significato più profondo, allusivo e nascosto. Un’allegoria tra le più note è quella del destino umano che viene paragonato ad una nave che attraversa il mare in tempesta. Questo vale anche per le vicende raccontate in Atti capitoli 27-28. Per comprendere gli avvenimenti qui considerati si legga l’articolo di questo link.
Allegoria: l’arte di non dirla tutta
Allegoria è un accorgimento letterario utilizzato nei libri sacri, non tanto e non solo per spiegare questioni spirituali in termini letterariamente brillanti, ma piuttosto per esprimere contenuti profetici che si devono tenere segreti a chi non ha la minima voglia di capirli. Non a caso il capitolo 28 di Atti contiene verso la fine un’opportuna spiegazione: “Va da questo popolo e di’: “Udendo, voi udrete ma non capirete affatto; e, guardando, guarderete ma non vedrete affatto. Poiché il cuore di questo popolo è divenuto ottuso, e con gli orecchi hanno udito con indifferenza, e hanno chiuso gli occhi; affinché non vedano con gli occhi e non odano con gli orecchi e non capiscano col cuore e non si convertano e io non li sani”’. (Atti 28:25-27) È come se lo scrittore ci volesse mettere sull’avviso: fate attenzione perché qui vi ho detto qualcosa che non vi immaginate. Scavate.
Il rapporto di Luca sul naufragio della nave alessandrina non è solo il racconto di un fatto accaduto, ma piuttosto una costruzione letteraria che addita a future tempeste. Ciò costituisce una dimostrazione del fatto che Geova conosce in anticipo i fatti della storia e dove andranno a parare le umane vicende. Gesù sapeva perfettamente che il modello da lui lasciato sarebbe stato presto stravolto e i suoi insegnamenti traditi e messi a tacere.
L’uomo principale dell’isola di Malta
A Malta gli isolani furono ben lieti di accogliere i naufraghi. Luca scrive: “Quando fummo in salvo, venimmo a sapere che l’isola si chiamava Malta. Gli abitanti del posto ci mostrarono straordinaria bontà; per via della pioggia che cadeva e del freddo, accesero un fuoco e ci accolsero tutti premurosamente.” (Atti 28:1-2) L’uomo principale dell’isola, un proprietario terriero che si chiamava Publio, ospitò Paolo per tre giorni. Questo isolano di Malta è l’unico Publio menzionato nelle Scritture. Il suo era un nome piuttosto diffuso con un significato di vasta portata, perché allusivo di un concetto spesso frainteso, il “popolo”, un monumento tutto da scoprire. Arrivati a Malta, l’isola di miele, – significato etimologico di Melita, nome greco del luogo – i cristiani sono accolti affabilmente e vi rimangono tre mesi. Perché tutto questo?
Arrivare a Malta per i naufraghi di una nave alessandrina incagliata in un banco di sabbia e fatta a pezzi dai marosi implicava essere usciti dalla Chiesa Cattolica per approdare alla luce dello Spirito e al libero esame delle Scritture. Significava uscire dalle grinfie degli insegnamenti e dei dogmi del papato, tutti fondati su dottrine trinitarie, di vecchio stampo alessandrino. Si trattava ormai, dopo tanta fame spirituale, di attingere alla vera conoscenza. Il clero non voleva che la Bibbia fosse tradotta nelle lingue del popolo. Davano la caccia a chiunque volesse conoscere e cercasse di diffondere la Parola.
Da tempo predicatori coraggiosi, i Valdesi per esempio, oppure i Lollardi, giravano per villaggi e campagne condividendo la conoscenza che erano riusciti ad assorbire dallo studio libero e testuale dei Vangeli. Alcuni studiosi erano riusciti a tradurre le Scritture in volgare. Erano braccati come animali, mandati al rogo. Ma uno di loro disse: “Se Dio mi risparmierà la vita, fra non molti anni farò sì che un ragazzo che spinge l’aratro conosca le Scritture meglio di voi.”
Il favo di miele
Ritornando al racconto di Luca, gli sventurati naufraghi finalmente si stanno ritemprando, stanno assaporando il miele: la piacevolezza delle Scritture è per il popolo come un favo. (Sl 19:9-10; Sl 119:103) Per molti secoli la Chiesa ha tenuto il popolo nell’ignoranza. Possedere un libro non era alla portata di tutti, la capacità di leggere era di pochissimi e l’insegnamento dispensato di qualità più che scadente. Per quattordici secoli avevano impedito a chiunque la lettura delle Scritture. Era come se il Cristo non fosse ancora arrivato, si dovesse ancora pagare il riscatto. “Era già passato il digiuno del giorno dell’Espiazione”, scrive malinconicamente Luca. (Atti 27:9) Quel riscatto non li aveva liberati dalle catene. Poi, finalmente, Malta! Paolo guarisce i malati: il padre di Publio è a letto con febbre e diarrea. Paolo viene in visita. Il poveretto guarisce. Tutto grazie all’intervento di un vero cristiano. Guarigione spirituale lungamente sperata! Finalmente!
Ma, per dirla tutta, quest’uomo, il padre di Publio, chi rappresenta? Dato che Publio significa “popolo” e il suo fondamento vuol dire unità, il padre che cosa rappresenta? Per rispondere poniamoci una domanda. Cos’è che rende un popolo tale? È ciò che lo tiene unito, coeso. Sono tradizioni comuni, comuni istituzioni, un corpo di leggi, un culto comune. In questo caso il padre di Publio è il cristianesimo fondato sulle Scritture. La sua guarigione significa il ricupero di un fondamento cristiano per tanti. Per dei figli ciò che significa avere un padre è una base comune, un modello di vita, una luce spirituale.
La vipera
Arrivati a Malta gli isolani accesero un fuoco per accogliere i naufraghi intirizziti. Quando Paolo mise una fascina sul fuoco, ne uscì una vipera velenosa che gli si attaccò alla mano. Luca nota: “Comunque, lui scosse la creatura facendola cadere nel fuoco e non subì alcun danno. Loro si aspettavano che si gonfiasse o che cadesse subito a terra morto ma, dopo aver aspettato a lungo e aver visto che non gli succedeva nulla, cambiarono idea e cominciarono a dire che era un dio.” (Atti 27:5-6)
Quale significato di fondo possiamo dedurre da questo episodio? Ovviamente si tratta di una situazione fortemente allegorica. Il serpente è un simbolo ambivalente dagli infiniti significati, sia positivi che negativi. Lo stesso Gesù si identifica con il serpente di Mosè quando dice a Nicodemo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Gv. 3,15). Questa espressione “innalzato”, assimila il palo su cui Gesù doveva morire all’asta sulla quale Mosè aveva innalzato il serpente di rame. Esso guariva dal morso del serpente chiunque lo guardasse attentamente. Allora il significato del gesto di Paolo diventa chiaro. Guardare al Cristo è un modo per sconfiggere il male. Il vero cristianesimo è una potente forza di guarigione a cui ci possiamo affidare. Ecco dunque che Paolo potrà presto operare guarigioni in mezzo a quel popolo ospitale.
Prendere in mano i serpenti
L’episodio della vipera a Malta è allusivo di altri passi scritturali a volte controversi. Nel mandato ai settanta, Gesù si riferisce ai serpenti quali entità negative, pericolose dal punto di vista non soltanto materiale ma anche metaforico, e tuttavia inermi davanti al potere che egli conferisce: «Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sui serpenti … nulla vi potrà danneggiare» (Lc. 10,19): e in parallelo, nella sua apparizione agli undici prima dell’ascensione, dice loro: «E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: … prenderanno in mano i serpenti e se berranno qualcosa di mortale non farà loro nessun male.» (Mc. 16, 18). Leggiamo uno dei due passi citati per intero.
“Quindi i settanta tornarono con gioia, dicendo: “Signore, anche i demoni ci sono sottoposti con l’uso del tuo nome”. Allora egli disse loro: “Vedevo Satana già caduto dal cielo come un lampo. Ecco, vi ho dato l’autorità di calpestare serpenti e scorpioni, e su tutta la potenza del nemico, e nulla vi farà alcun danno.” (Lc 10:17-19). Qui il senso non va inteso in modo letterale perché non si tratta di calpestare serpenti fisici, in quanto Gesù vedeva Satana già caduto dal cielo, e gli apostoli ormai vittoriosi su di lui. Romani 16:20 legge: “Fra breve l’Iddio che dà pace schiaccerà Satana sotto i vostri piedi.” Il senso è che Satana non ci può danneggiare in modo definitivo. In Marco il significato è lo stesso. Bere qualcosa di mortale significa bere l’amaro calice e morire. I cristiani l’hanno fatto molte volte. Spesso morire per un cristiano significa rinunciare al mondo.

Marco infatti scrive: “Inoltre, questi segni accompagneranno quelli che avranno creduto: Mediante l’uso del mio nome espelleranno demoni, parleranno in lingue, e prenderanno serpenti con le mani, e se berranno qualcosa di mortale non farà loro nessun male. Porranno le mani sui malati e questi staranno bene”. (Mc 16:17-18) Questa esperienza ha valore prettamente spirituale ed è assai ben illustrata nell’episodio di Paolo con la vipera.
Tre mesi, sette giorni, tre giorni
Dopo tre mesi trascorsi a Malta i naufraghi dovranno ripartire imbarcandosi un’altra volta su una nave alessandrina, all’insegna dei “figli di Zeus”. L’esaltazione di un breve, intenso periodo di libertà nello studio delle Scritture svanisce. Il popolo viene abbandonato a se stesso e si torna a viaggiare sotto il vessillo del paganesimo e delle sue dogmatiche dottrine. La riforma protestante ha fallito il bersaglio. Il vecchio paganesimo torna ad imperare. Qualcuno di tanto in tanto si sveglia, riprende a studiare e diffondere la Parola. Lo spirito divino continua ad operare qua e là. Ci si ferma tre giorni a Siracusa, si trascorre una giornata a Reggio e si arriva nell’incanto della baia di Napoli a Pozzuoli. Lì ci si ferma sette giorni. Queste indicazioni di tempo sono allusive.
Quando ci si riferisce ad un periodo di tre giorni nelle Scritture si allude per lo più ad una risurrezione. Si pensi al segno dato da Gesù: “Una generazione malvagia e adultera va in cerca di un segno, ma non le sarà dato nessun segno eccetto il segno del profeta Giona. Infatti, come Giona rimase nel ventre del grosso pesce per tre giorni e tre notti, così il Figlio dell’uomo rimarrà nel cuore della terra per tre giorni e tre notti.” (Mt 12:39-40).
Momenti di rinascita spirituale
In Atti 27-28 i periodi di tre giorni corrispondono anche a dei revival. Per esempio in 27:19, laddove al terzo giorno i marinai gettano in mare l’attrezzatura della barca, si tratta di un ritorno di fiamma del paganesimo all’epoca di Costantino e Nicea. In Atti 28:7, quando Publio ospita Paolo per tre giorni, si tratta di un revival del cristianesimo al tempo che precede la riforma protestante. I tre giorni passati a Siracusa sono momenti di ripresa dello spirito. Siracusa deriverebbe il nome dallo scirocco, appropriato simbolo del soffio dello spirito. In Atti 28:17 Paolo, dopo tre giorni dal suo arrivo a Roma, convoca i principali dei giudei per spiegare i motivi per cui si trova in catene. Si tratta di una proposta di risveglio spirituale per i giudei. Paolo spiega loro la questione rendendo completa testimonianza riguardo al regno di Dio.
Ci sono poi ancora i fantastici sette giorni da trascorrere a Pozzuoli. Il luogo era incantevole, con la baia, le ville imperiali, le terme, il teatro. Uno studioso, Amedeo Miuri, a proposito dell’antica Pozzuoli scrive: Le possibilità che offriva il retroterra campano di scambio di prodotti agricoli e industriali con le mercanzie d’oltremare e speciali tariffe doganali assicurarono al porto puteolano un regime di preferenza rispetto a quello di Napoli e di concorrenza al porto di Delo. Una moltitudine varia e poliglotta, vi affollava il quartiere del suo emporio marittimo, vi stabiliva aziende di commercio e di trasporto; vi formava corporazioni professionali di arti e mestieri e associazioni religiose professanti i culti della loro patria d’origine e della loro fede; Greci delle isole e della costa d’Asia, Tiri ed Eliopolitani, Ebrei e Cristiani con la loro prima comunità, legata al ricordo dello sbarco dell’Apostolo Paolo nel febbraio dell’anno 61.
Sette giorni in quel di Pozzuoli
Questo periodo di sette giorni che Paolo trascorre a Pozzuoli si lega facilmente ai sette tempi dell’Apocalisse. Qui la vicenda del cristianesimo sta per giungere alla sua conclusione. Tuttavia il periodo finale è particolarmente accattivante, come un rapido soggiorno in un luogo magico. I dintorni di Napoli sono stupendi. La distruzione e il caos che provocano i frequenti terremoti rendono la zona soggetta a continui fenomeni di bradisismo e l’area di Pozzuoli e di Baia erano note sin dall’antichità per l’intensa attività vulcanica. Pozzuoli si trova nella zona di solfatare dei Campi Flegrei (dal greco flègo, che significa “brucio”, “ardo”). Tutti questi fenomeni collegati al bradisismo, insieme alla risalita dei vapori, modificarono profondamente, nel corso dei secoli, il paesaggio, sommergendone l’architettura o facendone riemergere le rovine.
Tutto questo rende bene l’idea contenuta nelle profezie, “Ci saranno terremoti in un luogo dopo l’altro…”. (Matteo 24:7) Dunque siamo arrivati alla fine della storia del Cristianesimo quando ormai è in corso il giorno del Signore e Reggio – luogo rappresentativo della regalità – è stata raggiunta.
Il Foro Appio e le Tre Taverne
Lasciata Pozzuoli, Paolo e i suoi compagni di viaggio si apprestano a raggiungere la loro meta alla volta di Roma. Due delegazioni di fratelli erano venuti ad incontrarli al Foro Appio, un oscuro centro agricolo sulla via Appia, e poi alle Tre Taverne. Paolo quando li vide “ringraziò Dio e si fece coraggio”. Anche su questi luoghi andrebbe aperto un discorso di tipo allegorico. Sarebbe una breve analisi a partire dal termine Foro-Buco-Vaccino e dall’etimologia del termine Appia. Forse alcuni potranno ritenere queste considerazioni arbitrarie, in realtà esse sono la logica conseguenza delle cose fin qui scritte a proposito di quel viaggio. Dato che i vari luoghi menzionati in Atti 27-28 hanno particolari significati simbolici e un’incredibile fascinazione allegorica, anche Forum Appii e Tres Tabernae si dovrebbero esaminare alla luce degli stessi criteri.
Forum Appii era il più antico dei fori romani, fondato dal costruttore della via Appia, il censore Appio Claudio Cieco nel 312 a.C. Era uno sperduto centro rurale sorto come tappa e luogo di sosta sul tracciato della via Appia lungo la quale in una certa occasione 6000 schiavi erano stati crocifissi (71 a.C., rivolta di Spartaco). Lungo la via Appia il governo centrale gestiva le mansiones, sorta di ostelli per ospitare chi viaggiasse per ragioni di stato. Per i viaggiatori comuni erano disponibili aree di servizio che sorgevano a volte nei pressi delle mansiones. Nei primi tempi dello sviluppo viario, le case vicine alla strada dovevano offrire ospitalità per legge, e questo originò le tabernae, locande dove il viaggiatore si poteva rifocillare.
Il foro, il buco e il vaccino
Per i romani il forum era il breve spazio che circondava una casa, o il recinto davanti a una tomba. Il termine forum deriva dal verbo forare, bucare. Si tratta di un’apertura che ha del rotondo e non molto larga, un buco. Fores erano i battenti della porta, foramen è termine affine usato anche in anatomia ad indicava un orifizio corporeo. In italiano usiamo in modo piuttosto interscambiabile foro e buco. Il drogato è uno che si buca e la stanza del buco è un luogo adibito al consumo di stupefacenti sotto controllo medico. E gli hub vaccinali non sono essi stessi le stanze del buco? Curiosamente Paolo incontra i fratelli al foro di Appio. Alcune fonti insistono che il nome Appia avesse un’origine semitica.
Il verbo ebraico חפף (hapap), significa coprire, proteggere, difendere. (Excerpted from: Abarim Publications’ Biblical Dictionary) Quello impropriamente detto vaccino, la cosiddetta terapia genica, sarebbe il moderno salvatore che protegge da ogni male. A voler approfondire, cosa significherebbe dire che Paolo quando incontra i fratelli al Foro di Appio prende coraggio? Starebbe a significare: “Siamo arrivati a destinazione, la corsa cristiana è giunta a capolinea”.
Siamo al tempo del grande inganno, della marchiatura delle bestie. Ancora oggi la vendita dei bovini si svolge nel foro boario. Ma le vergini sagge hanno capito, non ci sono cascate. Due terzi dell’umanità si sono bucati, ma tra quelli che hanno capito, un certo numero saranno salvati. Ecco perché Paolo prende coraggio. Nei pressi ci sono le Tre Taverne, dove presiedono i tre maledetti: il dragone, la bestia selvaggia, il falso profeta. (Ri 16:13) La storia del cristianesimo ormai volge alla fine. Armaghedon è alle porte. (Isaia 5:26-30)
Il giudizio di Cesare su Paolo: assolto o condannato?
Atti 28 si conclude poi senza farci sapere il verdetto di Cesare sul conto di Paolo. Sappiamo solo che per due anni interi stava nella casa che aveva preso in affitto e predicava il regno di Dio. A quanto pare anche lui dovette stare come noi agli arresti domiciliari! Ma per quale motivo non ci viene fornita un’informazione così interessante come il verdetto? Qui la risposta ce la dobbiamo dare da soli. Dato che Paolo in questa faccenda non rappresenta se stesso ma ciascuno di noi, e dato che Cesare rappresenta Geova, un Cesare ben più grande del controverso Nerone, il verdetto sarà reso noto a ciascuno individualmente, ma solo alla fine.
Il Foro, nucleo della città romana | Capitolivm
Foro Romano in “Enciclopedia dei ragazzi” (treccani.it)
Pozzuoli – Parco Archeologico Campi Flegrei (pafleg.it)
Baia – Parco Archeologico Campi Flegrei (pafleg.it)
