
Alla mitologia greca appartengono “I sette contro Tebe”: è il titolo di una tragedia scritta da Eschilo e rappresentata alle Grandi Dionisie del 467 a.C. L’opera si inserisce all’interno del cosiddetto Ciclo Tebano che narra la storia mitologica della fondazione di Tebe. Ciò che il lettore difficilmente immagina sono gli stretti rapporti che intercorrono tra la mitologia tebana e i più antichi documenti semiti contenuti nelle Scritture. Non so se qualcuno abbia mai notato che Teba era il nome di una delle nipoti di Abramo, figlia di Nahor, suo fratello. Costui aveva una concubina “il cui nome era Reuma. A suo tempo essa stessa pure partorì Teba…”. (Gn 22:24) Questa omonimia della nipote di Abrahamo con l’antica città può facilmente passare inosservata. Mostreremo in questo articolo quanto i rapporti tra le cosmogonie del mondo semita e quelle greco-tebane siano dei più significativi. Intendo parlare dell’origine della terra e dell’uomo.
La mitologia di Tebe è ricchissima, essendo costituita da una lunga serie di racconti riguardanti le origini della città e quindi del mondo. Cadmo, figlio di Agenore, re di Tiro, fondò la città di Tebe. Secondo gli antichi fu fratello di Europa e dalla Fenicia andò in cerca della sorella rapita da Giove. Giunse in Tracia, a settentrione della Grecia, e di lì si recò a Delfo per interrogare l’oracolo. Gli fu suggerito di desistere dalla ricerca ma di seguire la prima vacca bianca incontrata sul cammino. Quindi avrebbe fondato una città in qualsiasi luogo la giovenca si mettesse a riposare. Trovata la vacca bianca, essa lo guidò in Beozia dove poi sorse Tebe. Quasi tutti i dotti convengono nel ritenere Cadmo la personificazione di quei naviganti di stirpe semitica che nell’antichità percorrevano il mare su piccole navi in cerca di guadagno.
Un inestricabile intreccio
A Sidone, lungo un fiume, insieme ad altre ragazze, Europa, figlia del re Agenore e di Telefassa, sta raccogliendo dei fiori. Mentre gioca con le compagne, vengono tutte accerchiate da un branco di tori, tra questi uno di colore bianco si avvicina a Europa: lei lo accarezza e sale in groppa. Il toro bianco è Zeus, che ha cambiato le sue sembianze per rapire la principessa fenicia e portarla con sé in un continente che da lei prenderà il nome. Ciò che sarebbe curioso notare, in questo racconto dall’apparenza ingenua, è come anche nella mitologia greca compaia da subito quel complesso che nell’Apocalisse rappresenta la cavalcata di Babilonia che siede sulla bestia. Infatti in Apocalisse 17:3-5, Babilonia la Grande è descritta come “una donna seduta su una bestia selvaggia con sette teste e dieci corna.”
Sulla fronte la donna ha scritto “un nome, un mistero: ‘Babilonia la Grande, la madre delle meretrici e delle cose disgustanti della terra’”. Viene pure raffigurata seduta su “molte acque” che rappresentano “popoli e folle e nazioni e lingue”. Al medesimo capitolo si legge: “E scorsi una donna seduta su una bestia selvaggia… E l’angelo mi disse: “Perché ti sei meravigliato? Io ti dirò il mistero della donna e della bestia selvaggia che la porta e che ha le sette teste e le dieci corna… E la donna che hai visto significa la gran città che ha il regno sopra i re della terra” (Ri 17:1-18) Il racconto mitologico presenta spunti e interessanti parallelismi con l’Apocalisse. Per esempio il tema del fiume presso Sidone non è da sottovalutare. Il tema delle acque è comune a entrambi i racconti. Babilonia è inscindibilmente legata al fiume Eufrate.
I Cadmonei di Genesi
Nella Bibbia ci sono nomi tipo Cadesh o Cadmiel. In Genesi 15, tra i vari popoli stanziati tra il Nilo e l’Eufrate c’è una sorprendente menzione al popolo dei cadmonei. Dopo che Abramo ebbe liberato il nipote Lot durante l’attacco alle Pentapoli, nella valle del Giordano, Geova gli promise: “Al tuo seme darò certamente questo paese, dal fiume d’Egitto al gran fiume, il fiume Eufrate: i cheniti e i chenizei e i cadmonei …” e altrettanti popoli di giganti, altrimenti detti Nephilim. (Ge 15:18-21) Il capitolo 14 di Genesi, con il resoconto di questa promessa, contiene la prima descrizione di una guerra, quella combattuta tra la coalizione di Chedorlaomer, un possibile soprannome di Nimrod, allora potente re della pianura di Sinar, il sito della torre di Babele, e i re del distretto di Sodoma e Gomorra. (Canaan e Amalec – Rifugiati di Pella)
Dopo il diluvio, Nimrod, nipote di Noè, fondò il primo impero. All’inizio il suo regno includeva Babele, Erec, Accad e Calne, città della piana di Sinar. (Ge 10:10) Perciò fu sotto la sua direttiva che ebbe inizio la costruzione di Babele e della sua torre. Questa conclusione concorda con la tradizione ebraica. Giuseppe Flavio scrive: “[Nimrod] trasformò gradatamente il governo in una tirannia, non vedendo altro modo per sviare gli uomini dal timor di Dio, se non quello di tenerli costantemente in suo potere… La folla fu assai pronta a seguire la decisione di [Nimrod], considerando un atto di codardia il sottomettersi a Dio; e si accinsero a costruire la torre”. — Antichità giudaiche, I, 114, 115 (iv, 2, 3).
I quattro contro i cinque re della Pentapoli
Adesso, perciò, parleremo di una guerra e più precisamente della prima guerra documentata di cui si narri nella Bibbia. Dopo 12 anni di servitù, cinque re presso l’estremità S del Mar Morto, i re di Sodoma e Gomorra con i loro alleati, si erano ribellati a Chedorlaomer, il signore orientale più a nord. Nel quattordicesimo anno, Chedorlaomer e tre suoi alleati, Amrafel di Sinar, Arioc di Ellasar e Tidal di Goim, (probabilmente signori sulle città di cui Nimrod era stato fondatore) si spinsero a O per soffocare la rivolta. Partendo da N, e avanzando verso S, distrussero tutte i centri abitati lungo le vie carovaniere a E del Giordano e a S del Mar Morto. Fu poi facile per loro mettere in fuga la coalizione ribelle.
Naturalmente il resoconto di questa prima guerra fa da contraltare alla descrizione dell’ultima finale e tuttora in corso. I quattro attaccanti sono i re d’Apocalisse svelati nei primi quattro sigilli, rappresentati dai quattro cavalli (Ap 6) cioè la cavalcata di Gog di Magog, re del nord. I cinque re del sud sotto attacco corrispondono alle cinque vergini stolte nella famosa parabola di Matteo 25. O anche alle sette congregazioni di Apocalisse capitoli 2 e 3.
Melchisedek
Il racconto biblico sembrerebbe trattare questa guerra in maniera riduttiva, per cui facilmente il lettore la potrebbe considerare come una piccola, normale scaramuccia fra beduini. Ma la sostanza è ben diversa e non c’è dubbio che ci si riferisca a qualcosa d’importante. Si trattava di una coalizione di principi e non di una semplice masnada di predoni. Gli esiti di questa guerra furono premonitori. Successiva di poco sarà la caduta di città fiorenti come Sodoma e Gomorra. L’intervento di Abramo nello scontro vi appare come decisivo. Tuttavia, benché fra i prigionieri vi fosse Lot, suo nipote, non è concepibile che Abramo assumesse con noncuranza l’iniziativa di condurre una campagna militare fuori dai suoi territori. Né è verosimile che con soli 318 uomini abbia potuto battere un nemico così forte.
Alla figura di Abramo faceva da spalla qualcuno più grande, il vecchio Sem, suo diretto antenato. Dunque a fungere da scudo al rapimento di Lot, organizzando la reazione al saccheggio della Pentapoli, poteva essere stato un tal “Melchisedek, ministro di El Elyon” a Salem. Nel testo ebraico per definire la figura di Melchisedek compare la parola Cohen che oltre che indicare un sacerdote, indica anche un capo principale, un ministro, un principe. Si trattava evidentemente di qualcuno che esercitava un grande ascendente. La Bibbia ne fa una figura del Cristo. Abramo, da parte sua, si limitò a fornire un contingente di uomini armati allo scopo di mettere Lot al sicuro. I nemici furono sconfitti e dispersi ed il bottino recuperato. Le truppe vittoriose vennero radunate nella valle di Save. Allora Melchisedek, portò pane e vino e benedisse Abramo che a lui versò la decima del bottino. (Ge 14:17-20)
Dal libro dei Maccabei
Sui collegamenti tra il mondo semitico e quello greco una sorprendente scoperta ci viene ancora una volta dalla stessa letteratura ebraica, nei libri dei Maccabei. Vi si racconta, infatti, che il sommo sacerdote Giasone, fuggito da Gerusalemme, si rifugiò a Sparta, dove sperava di essere ben accolto, a causa della comune origine. (2Mac 5:9) Giasone, “colui che aveva mandato in esilio numerosi figli della sua patria morì presso gli Spartani, fra i quali si era ridotto quasi a cercare riparo in nome della comunanza di stirpe.
Questa è invece la copia della lettera che Giònata scrisse agli Spartani: “Giònata sommo sacerdote e il consiglio degli anziani del popolo e i sacerdoti e tutto il resto del popolo giudaico, agli Spartani loro fratelli salute. Già in passato era stata spedita una lettera ad Onia sommo sacerdote da parte di Areo, che regnava fra di voi, con l’attestazione che siete nostri fratelli, come risulta dalla copia annessa.
Segue ora copia della lettera che essi avevano inviato ad Onia: «Areo, re degli Spartani, a Onia sommo sacerdote salute. Si è trovato in una scrittura, riguardante gli Spartani e i Giudei, che essi sono fratelli e che discendono dalla stirpe di Abramo.” (1Mac 12:5-7;19-21)
Tidal e Tideo
Tra i re che nel racconto di Genesi si coalizzano contro la Pentapoli ci si imbatte in un certo Tidal, re di Goim. Nei Sette contro Tebe di Eschilo ricorre invece, nel numero degli attaccanti alle porte della città, un certo Tideo, figlio di Oineo. Esaminiamo con attenzione come si intrecciano le identità di questi principi. Sia per gli Ebrei che per i Greci il nome è sempre significativo. Cercare un’etimologia significa rivelare un carattere e un destino ed è una faccenda delle più serie. Per esempio in Euripide, Fenicie,636,63, Eteocle si rivolge a suo fratello dicendo: “Mio padre aveva ben ragione, quando, per divina prescienza ti chiamava con un nome che significa contenditore.” Gli autori delle tragedie greche riconoscevano l’importanza di un nome nello svelare il destino di un personaggio.
Perciò svisceriamo le etimologie di questi nomi. Se i Goiim sono le nazioni e Tidal significa orgoglio, il personaggio della Genesi significa Orgoglio delle Nazioni. Il Tideo di Eschilo invece era figlio di Oineo, il quale ospitò Dioniso che gli insegnò come coltivare la vite e fare il vino. Il rimando è a Noè che fu il primo a coltivare la vite e ad essere ubriaco. (Ge 9:20-21) Da Noè derivarono le nazioni come ben documentato nel capitolo 10 della Genesi, dove al versetto 8 compare Nimrod. Ecco che i due personaggi camminano a braccetto. Per di più il nome Oineo, ovvero Eneo si rapporta strettamente a quello di Oidipus, ovvero Edipo. L’etimologia di Edipo è famosa e significa dal piede gonfio. Il rimando è forse anche all’evirazione a cui Cam sottopose il padre Noè. Notiamo che il nome di Enea appartiene alla stessa sfera onomastica.
Una contesa che attraversa i secoli
Le dispute fra persone legate da vincoli fraterni possono costituire un’insormontabile barriera e rendere impossibile qualsiasi riconciliazione. Se vogliamo parlare di un’antichissima contesa finiamo diritti nel giardino di Eden dove, dopo la disubbidienza del cherubino, si sentirono pronunciare queste parole: “Io porrò inimicizia fra te e la donna e fra il tuo seme e il seme di lei. Egli ti schiaccerà la testa e tu gli schiaccerai il calcagno”. (G 3:14) Così una disputa inconciliabile si sviluppa di riflesso nell’ambito della mitologia greca e nel corso della tragedia di Eschilo, Eteocle e Polinice, figli di Edipo, si contendono il trono di Tebe. Il primo accordo tra i fratelli prevede un regno condiviso, ma successivamente Eteocle condanna all’esilio il fratello. Polinice si rifugia nella città di Argo, presso Adrasto, che lo appoggia nella riconquista di Tebe.
Inizia così l’epopea dei Sette contro Tebe, una serie di lotte destinate a concludersi solo con la morte di tutti gli eroi coinvolti. Eteocle si presenta come un uomo integro, giusto e si contrappone a Polinice, un uomo a capo di principi vanagloriosi e smargiassi. Il nome tra tutti gli elementi del mito è sempre il primo da considerare. Questo vale per la Bibbia, per le grandi tragedie classiche, per Shakespeare, e per la letteratura di tutti i tempi in generale. Ora Polinice si presenta con un nome che significa “colui che contende” mentre Eteocle significa “vera gloria”. Il grande contenditore per antonomasia è Satana mentre il suo contraddittore è il Cristo. Il mito greco ha infiniti agganci con il racconto della Genesi e questo non dovrebbe sorprendere dato che le civiltà hanno origini comuni e fin dal principio gli scambi tra il mondo semita e quello greco furono intensi.
La fondazione di città
Non ci stupiamo più di tanto. Pensiamo a quante volte uomini e famiglie venivano strappati alla loro terra e portati schiavi presso altri popoli. O quante volte individui o intere moltitudini si trovavano costretti a fuggire. Purtroppo questo accadeva sovente. Pensiamo alla deportazione degli ebrei a Babilonia o in Assiria. Quando ciò accadeva culture diverse venivano a contatto, spesso si fondavano nuovi nuclei abitativi, si creavano nuovi miti e racconti meticciati. Ecco perché troviamo aspetti comuni in tutte le religioni e in tutte le civiltà. La fondazione di una nuova città è sempre stata, nel mondo antico, un momento di grande rilevanza, non solo da un punto di vista “civile” e politico, ma anche religioso e sacrale. La città era prima di tutto un luogo sacro. La si fondava su indicazione divina dopo aver diligentemente chiesto all’oracolo quale fosse la volontà degli dei.
La città diveniva una micro-rappresentazione del cosmo, un tempio. Non a caso Tebe significa questo. In ebraico il verbo טבח (tabah) significa macellare ed il tempio era un luogo dove si offrivano i sacrifici animali. Tebe sarebbe la forma latinizzata dell’antico greco, Θῆβαι, di derivazione egiziana, tꜣ-jpy, che indica il tempio, ovvero la sua parte più interna e più santa. Ovviamente fondare una città era prerogativa di re e sacerdoti, spesso un’impresa eroica. I grandi ribelli, Nimrod o Caino, furono notevoli fondatori. Pensiamo a Romolo e Remo e alla fondazione dell’Urbe. Si tratta spesso di personaggi in fuga e di rivalità tra fratelli: Cristo e Satana. Anche la Nuova Gerusalemme ebbe una suo momento di formazione: fu progettata prima della fondazione del mondo. Dopo il diluvio Dio aveva ordinato agli uomini di spargersi sulla terra. Costruire città era un’impresa divina e per gli uomini un atto ribelle. La-nascita-di-una-citta.pdf (archeomedia.net)
Il numero sette e la mitologia Greca
Nei miti di varie civiltà ricorre il sette. Il valore simbolico di questo numero è legato alla creazione della terra e al tempio. Cerchiamo nelle storie greche degli esempi in cui ricorrano il numero sette, l’intervento di gemelli e un tempio. Agamede e Teofronio furono validi architetti. I due avevano messo una soglia di pietra sopra le fondamenta poste dal dio Apollo per la costruzione del santuario di Delfi. Una volta costruito il tempio, i due gemelli richiesero la loro ricompensa ad Apollo. Il dio rispose di attendere sette giorni, di vivere nel frattempo allegramente, e di godersi la vita. Alla fine del settimo giorno, ciò che avevano desiderato con tutto il cuore sarebbe stato esaudito. Giunto l’ottavo giorno, entrambi furono trovati privi di vita nei loro letti. Da questo episodio nacque il detto: “Muor giovane colui che al cielo è caro”.
Cleobi e Bitone erano figli di Cidippe, sacerdotessa di Argo. Quando la loro madre doveva andare al tempio di Era per celebrare i riti della dea, i due trainarono il carro al posto dei buoi, che in quel momento non erano disponibili, per cinque miglia. La madre, commossa dalla loro devozione, pregò la dea di dare ai figli il dono più grande che si potesse dare ai mortali; la dea allora li fece cadere in un sonno piacevole ed eterno. Per questa azione, Solone, interrogato dal re Creso su chi fosse il più fortunato degli uomini, pose i due fratelli al secondo posto, dopo Tello di Atene. Questi due racconti legati al tema del tempio presentano varie affinità con il capitolo 11 di Apocalisse a proposito dei due testimoni. Anche lì ci sono sette tempi in cui i due profeti devono svolgere la loro attività in relazione al tempio.
Tebe dalle sette porte
Le porte di Tebe erano sette come i tempi riservati all’attività dei due testimoni. (Ri 11) Il conflitto tra Eteocle e Polinice, i due figli maschi nati dal rapporto incestuoso tra Edipo e la madre Giocasta, vedova di Laio, è alla base della tragedia di Eschilo. Edipo appartiene alla stirpe dei Labdacidi, discende da antenati famosi: Agenore il fenicio, considerato l’inventore dell’alfabeto e della scrittura e Cadmo, famoso anche perché fu il primo ed unico tra i mortali, alle cui nozze con Armonia, partecipò l’intero Olimpo, a testimonianza dell’importanza di quell’evento e del personaggio. Vorrei sottolineare un particolare interessante, Labdaco significa “zoppo”, Laio invece “sbilenco”, Edipo, in una etimologia ampiamente accettata, “dai piedi gonfi” (perché trapassato da un chiodo appena nato). Quindi i nomi di questi tre personaggi hanno un significato comune: lo sbilanciamento, l’asimmetria, la difficoltà a mantenere una corretta posizione eretta.
La zoppia è una caratteristica di molti degli eroi antichi. Anche Giacobbe, in seguito ad una dura lotta con l’angelo finì per essere zoppo. In generale lo zoppicare ha un significato ambiguo, può essere il segno visibile di una menomazione spirituale, ma anche la condizione dell’iniziato, di colui che ha riconosciuto le proprie limitazioni rispetto alla perfezione divina. Giacobbe dopo la lotta con l’angelo rimase zoppicante affinché si ricordasse della propria dipendenza esistenziale da Dio e della sua precaria condizione morale.
Guerrieri scelti ed eletti
La maledizione incombe su Laio e sulla sua stirpe e, come racconta il mito, Laio viene ucciso per mano del figlio Edipo che sposa la madre Giocasta e diviene re di Tebe. Da questa unione incestuosa nascono i fratelli Eteocle e Polinice e le figlie Antigone e Ismene. Eteocle e Polinice si accordano per regnare sulla città di Tebe alternandosi un anno ciascuno ma Eteocle, allo scadere del proprio anno, non vuole più lasciare il regno al fratello Polinice che dichiara guerra alla sua città, alla sua patria, a suo fratello. Tebe è dunque una città contesa tra eserciti fratelli, una città angosciata e colpita dagli esiti di una stirpe maledetta che ha peccato di tracotanza ed è stata punita.
Eteocle parla alla sua gente paragonando Tebe ad una nave che bisogna saper manovrare. Egli rassicura le ragazze del coro circa la schiera dei valorosi che sapranno proteggere Tebe e la sua gente. Eteocle appare come un buon re desideroso di rincuorare le fanciulle spaventate. Il messaggero annuncia che a ciascuna delle sette porte l’esercito nemico assegnerà un guerriero e che alla settima e ultima ci sarà Polinice stesso a combattere. Eteocle ascolta attentamente scegliendo anch’egli fra i suoi un guerriero all’altezza dello scontro. Il campione prescelto a combattere alle sette porte sta a metà tra il divino e l’umano. Si tratta di guerrieri scelti, pronti a combattere, fieri e lontani dalla paura.
I sette anni dell’Apocalisse
Il tema della contesa è un tema comune sia nella mitologia classica che nella Bibbia. Bisognerebbe liberarsi dal pregiudizio onnipresente che il mondo ebraico fosse un mondo chiuso al proprio interno e sigillato dall’esterno. Questo non fu. La grande contesa nelle scritture coinvolge Dio e l’uomo, Cristo e il Diavolo, il re del sud e il re del nord. Gog di Magog si sarebbe fiondato su un popolo indifeso per fare grandi spoglie ma contro di lui sarebbe venuta la spada. “‘E certamente chiamerò contro di lui in tutta la mia regione montagnosa la spada’, è l’espressione del Sovrano Signore Geova. ‘La spada di ciascuno sarà contro il suo proprio fratello.” (Eze 38:21) La città di Tebe è una rappresentazione del popolo salvato. La raffigurazione delle sette porte è un’immagine ricollegabile ai sette giri intorno a Gerico oppure ai sette tempi finali d’Apocalisse.
Gli eroi, tebani ed argivi, 14 di numero, si affrontano a coppie e ognuno uccide e viene ucciso. Lo stesso avviene nel caso di Eteocle e Polinice. La profezia di Genesi 3:14 si adempie. Satana colpisce Gesù al calcagno, ma finisce nel lago di fuoco di Apocalisse. La rappresentazione tragica porta ad una conclusione del tutto coerente con le Scritture. Gli eroi sono morti, Creonte prende il potere. Anch’egli deve avere le sue ragioni. Il suo nome significa semplicemente Sovrano. Polinice, dal suo punto di vista non merita sepoltura, e questo lo possiamo capire. Il punto di vista di Antigone è privato e sentimentale, biblicamente scorretto. Ricordiamo che le parole di Gesù nei confronti dei capri ribelli non furono tenere: “Là sarà il [vostro] pianto e lo stridore dei [vostri] denti” oppure “E questi andranno allo stroncamento eterno, ma i giusti alla vita eterna”. (Lc 13:28; Mt 25:46)
Behemoth : Le ragioni di Creonte-T. Klitsche de la Grange
