
In La Musica primitiva Marius Schneider, musicologo e professore universitario, scrive: “Situata tra le tenebre e la luce del primo giorno, sul piano umano la musica si trova fra l’oscurità della vita inconscia e la chiarezza delle rappresentazioni intellettuali; appartiene dunque in gran parte al mondo del sogno.” Lo scrittore propone un’originale interpretazione di quale funzione avesse la musica nelle cosmogonie delle civiltà antiche. Dal suo punto di vista tra i primitivi non esiste una chiara differenziazione tra suono e musica. “È parola degli dei, tuono, tamburo, voce delle pietre.” Schneider (1903-1982) scrive che la musica fu la sola realtà nei primi attimi di vita del cosmo. Egli sostiene che tramite il canto gli dei creano materia. Si tratta di un movimento tramite il quale il mondo viene all’esistenza: «Tutto ciò che gli dèi fanno, lo fanno tramite la recitazione cantata.» (Śatapatha Brāhmana)
La radice, la potenza e la forma di tutte le cose esistenti sono costituite dalla loro voce e dal nome che portano, perché tutti gli esseri non esistono se non in virtù del solo fatto di essere stati chiamati per nome. Gli Iakuti, come pure gli antichi Egizi e alcune tribù primitive dell’Africa, immaginano dio come un grande urlatore. Nella mitologia cinese sono numerosi gli dèi che operano essenzialmente mediante grida o strumenti musicali. I ventidue caratteri enumerati dal Sefer Yezirah sono le emanazioni sonore e creatrici di Dio. Per l’uomo primitivo la voce e la musica sono l’unico espediente in grado di ricongiungere il cielo e la terra. Molto spesso la divinità si presenta anche come un quadrupede ruggente (il toro vedico o persiano), un insetto ronzante, un uccello-tuono, un animale parlante, un dio-cantore. E qui si entra, oltre che nel mito, nel mondo del totemismo.
Le acque primordiali furono in principio suono
Quando Dio diceva “si faccia luce” aveva già detto prima “si faccia l’acqua”. Schneider ci dice che all’inizio della creazione l’effetto precede la causa. Le acque primordiali furono in principio suono. Lo scroscio dell’acqua è più antico dell’acqua stessa, il crepitio vulcanico più antico del fuoco, il sibilare più antico del vento, il cinguettare più antico degli uccelli, la voce umana più antica dell’uomo. Nel grembo materno, prima di nascere abbiamo percepito il mondo per via acustica soltanto. La musica primitiva, la più antica per ciascuno di noi è la musique maternelle. Nel mito greco, subito alla nascita, Ermes vede una tartaruga, ne prende il carapace e ne costruisce una lira. Le ali nella mitologia sono rappresentative dei cieli e quelle fissate ai calzari di Ermes ne fanno un messaggero veloce sempre in movimento.
Sua madre, Maia, lo aveva appena messo al mondo in una caverna del monte Cillene, nell’Arcadia, avvolto nelle fasce e adagiato nella culla, quando il piccolo, non visto, si liberò da quei panni fastidiosi e sgattaiolò via. Trovò immediatamente una tartaruga, vuotò il guscio con cura, fissò due giunchi a mo’ di ponticello, e tese fra questo e il guscio sette corde fatte con visceri di pecora: aveva subito costruito una lira. Il piccolo Ermes cominciò a far vibrare le corde e ne trasse suoni pieni di armonia; allora si sedette su di una pietra e cominciò a suonare e cantare contento. Trascorse così la prima mattinata di vita, poi con la lira a tracolla, si avviò di buon passo verso il nord. Questo per significare la primordiale natura musicale dei cieli, la cosiddetta musica delle sfere. Sette erano i pianeti: Luna, Sole, Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno.
Modi diversi di concepire il rapporto dell’uomo con la vita
Il Prof. Schneider distingue due modi fondamentali di intendere la musica. Per le culture primitive essenziale è percepire il movimento e il carattere fluttuante dei fenomeni mentre le civiltà successive preferiscono l’aspetto statico delle forme e il profilo puro e strettamente geometrico. Nel primo caso, osserva Schneider, siamo di fronte a una concezione realistica, artistica e intuitiva, nell’altro a una concezione geometrica, scientifica e astratta. In questo lo scrittore non avverte progresso ma decadenza. Sono modi diversi di concepire il rapporto dell’uomo con se stesso, col mondo e con la natura. Ricorrendo a due categorie bibliche potremmo concludere che la prima modalità, quella primitiva, corrisponde all’albero della vita mentre la seconda all’albero della conoscenza del bene e del male. In tal senso l’aggettivo primitivo viene a significare quello che sarebbe più naturale alla nostra specie.
Vivere in Gan Eden significava un’immediata, autentica armonia con la natura, senza lo schermo delle nostre astrazioni intellettuali. Questa fu l’autentica incarnazione del mito del buon selvaggio, quando l’uomo era un animale pacifico e solo successivamente divenne malvagio. Jean Jacques Rousseau è colui che ha contribuito più di altri a creare la figura del buon selvaggio. La frase inziale dell’Emile, libro sull’educazione del bambino, è “Ogni cosa è buona mentre lascia le mani del Creatore delle cose, ogni cosa degenera nelle mani dell’uomo.” Oggi però non è più possibile essere primitivi ma solo grossolanamente selvatici. Dopo la caduta di Adamo siamo tutti corrotti. Ciò che subito emerge è un concetto, per noi “civilizzati” di difficile accettazione, e cioè l’ingenuità, l’innocenza del paradiso terrestre. A noi ripugna rientrare nel mondo degli animali, vivere la loro vita istintiva. Marius Schneider: “Gli dèi sono canti” – Il terzo orecchio (biellaclub.it)
Il mito del buon selvaggio e l’età dell’oro
Questo mito del buon selvaggio è del resto denso di ambiguità perché ribalta il concetto biblico del peccato originale. Ma la Bibbia dichiara che fuori dall’Eden l’uomo non può essere buono, neppure vivendo nella natura, neppure appena nato. “Geova disse dunque in cuor suo: “Non invocherò più il male sul suolo a causa dell’uomo, perché l’inclinazione del cuore dell’uomo è cattiva fin dalla sua giovinezza”. (Ge 8:21) Anche l’idea che il progresso civile ci renda migliori deve essere scartata. Questo perché s’intreccia con il pensiero illuminista fondato sul primato della ragione. La negazione del naturale è l’artificiale o il culturale. L’opposto della natura è la civiltà, la tecnica, la storia, la modernità. Il semplice ritorno alla natura e la liberazione dell’animale dentro di noi non possono bastare. Ciò che serve è il recupero dell’autentica “voce” di Dio, la sua musica.
Il mito del buon selvaggio s’intreccia con quello dell’età dell’oro, quando “gli dei immortali … fecero una stirpe aurea di uomini mortali, che vissero al tempo di Crono. Essi vivevano come numi, senza dolori, senza fatiche, senza pene. Non gravava su di loro la vecchiaia … si rallegravano in conviti in assenza di ogni male … avevano ogni sorta di beni: la terra fertile produceva spontaneamente frutti ricchi e copiosi. Benevoli e pacifici, abitavano nelle loro terre ricchi di greggi e amati dagli dei beati (Esiodo, Le opere e i giorni, trad. di G. Costa). All’aurea seguirono, con progressivo declino, la stirpe argentea, empia e bellicosa, sterminata da Zeus; la stirpe bronzea, violenta al punto da autodistruggersi; la stirpe degli eroi, annientati dalle guerre; la stirpe ferrea, la peggiore di tutte, che vive nel dolore di un mondo abbandonato da giustizia e pudore. L’uomo mortale non conobbe l’età dell’oro.
Jabal, Jubal e Tubal-cain
L’età dell’oro corrisponde all’Eden e non alla vita di qualche primitivo fuori di esso. Solo allora l’uomo fu guidato da Dio, sentiva udibilmente le sue parole. Di quell’epoca Platone scrive: “Esseri soprannaturali, di natura divina, s’erano divisi a guisa di pastori le creature viventi, distribuite in gruppi secondo la specie. Non c’erano animali selvatici, le creature non si divoravano l’una con l’altra, la guerra non c’era … non c’erano ordinamenti politici; nessuno possedeva donne e figli … godevano in abbondanza di frutta, dono di grandi alberi e vegetazione lussureggiante … non praticavano agricoltura; da sola, spontaneamente, la terra produceva ogni frutto; non conoscevano vesti, non uso di giacigli; sotto la guida del pastore vivevano all’aria aperta in una temperata armonia di stagioni” (Politico, 271b-d). Platone idealizza di una società guidata da dei benevoli a guisa di pastori. In realtà la guida di Satana fu malevola.
In Lucrezio nel V libro del De rerum natura, non c’è idealizzazione dello stato selvaggio. Gli uomini primitivi non hanno origine divina, conducono un’esistenza ferina irta di difficoltà obbedendo a impulsi utilitaristici, vivono immersi in una natura tutt’altro che benigna dove non scorrono fiumi di latte e miele, ma vige la legge del più forte. “Quello che il sole, quello che davan le piogge e che la terra creava da sé, spontaneo, quel dono bastava a renderli paghi. Rifocillavano il corpo sotto le querce datrici di ghiande; quei corbezzoli che ora tu vedi tingersi di rosso e maturar nell’inverno li produceva la terra più numerosi e più grossi. E porgeva il florido giovane mondo molti rozzi cibi…” Il quadro che ne fanno le Scritture è ben più severo: “Il suolo è maledetto per causa tua e ti renderà spine e triboli. Col sudore dalla fronte mangerai pane.”
La nascita dell’agricoltura, della musica e dell’arte di forgiare il metallo
Nelle Georgiche Virgilio descrive infine l’avvento del labor improbus, il lavoro ingrato. Fin lì non vi furono agricoltori a lavorare la terra, poi giunse l’età di Giove che “volle che i lupi predassero, che il mare si agitasse, e scosse il miele delle foglie e nascose il fuoco e fermò il vino che fluiva sparso in ruscelli, affinché il bisogno sperimentando a poco a poco esprimesse le varie arti e cercasse le piante del frumento nei solchi.” Proseguendo nella disanima del mito della vita beata emerge in Seneca un concetto interessante. Egli ritiene che l’ignoranza del male precludesse a quei beati la vera saggezza: «Essi non possono essere considerati sapienti … L’ignoranza li lasciava in condizione d’innocenza …». Seneca espone il pensiero dell’uomo civilizzato a cui dispiacerebbe perdere i benefici culturali di una società intellettualmente evoluta.
Ma conoscere il male fu vero progresso? Comunque, avvicinandoci al tempo di Noè e all’epoca di Lamec, discendente di Caino, alla settima generazione da Adamo, Genesi segnala l’invenzione cosciente degli strumenti musicali. Ci stiamo avvicinando all’epoca di Noè. A Lamec nascono figli: Jabal, Jubal e Tubal-cain. Di Jabal le Scritture dicono: “Egli mostrò d’essere il fondatore di quelli che dimorano in tende e hanno bestiame. E il nome di suo fratello era Jubal. Egli mostrò d’essere il fondatore di tutti quelli che maneggiano l’arpa e il flauto. Di Tubal-cain si legge che divenne forgiatore di ogni sorta di arnese di rame e di ferro. (Ge 4:20-22) Qui emergono le prime indicazioni di attività legate a tecnologie creativamente specifiche. Anche di Lamec si dice che compone parole per le proprie mogli. Dunque abbiamo una prima fioritura artistica in qualche misura voluta e consapevole. untitled (lascuola.it)
Il Creatore nelle vesti di un vasaio
Certo, per molti di noi constatare che Adamo ed Eva non possedessero un grado di autoconsapevolezza almeno pari al nostro potrebbe risultare scioccante. Ma come, penserete, vivevano come stupidi animali? Potreste pensare che una così stretta dipendenza dalla “voce” del Creatore fosse limitante, che si sarebbe trattato di vivere come automi, di avere incorporato un programma software che ti fa fare le cose come lui ha deciso…Schneider scrive: “Le civiltà tecnicamente più progredite ci mostrano spesso il creatore come un vasaio, un falegname o uno scultore il quale, dopo aver foggiato i corpi, comunica loro la vita mediante un grido, un’espirazione sonora o la saliva. […] La natura dei primi esseri è puramente acustica. I loro nomi non sono definizioni, ma nomi o suoni propri: i nomi non sono dunque solamente supporti vocali della forza vitale degli esseri, ma gli stessi esseri.”
Noi viviamo una vita apparentemente allucinatoria, siamo vibrazione, vapore. Masaru Emoto, ricercatore giapponese, noto per i suoi studi su memoria e coscienza dell’acqua, sostiene che l’universo è stato creato dal suono. Anche nei Vangeli si legge “in principio era il Verbo”. Egli spiega che i suoni armonici generano energia creativa, mentre i suoni disarmonici generano energia distruttiva. Per dimostrarlo cominciò a fotografare i cristalli ottenuti dal congelamento di acqua sottoposta a vibrazioni di parole, brani musicali, pensieri ed emozioni. L’acqua dimostra di essere in grado di registrare tale vibrazione. I risultati degli esperimenti dimostrano che i cristalli d’acqua modificano la propria struttura in relazione ai messaggi che ricevono. L’acqua sottoposta a vibrazioni di parole e pensieri positivi forma cristalli armonici e meravigliosi, mentre l’acqua sottoposta a vibrazioni negative reagisce creando strutture disarmoniche. Emoto spiega che la nostra consapevolezza è solo al 3% di quello che potrebbe essere.
Dio parla nel sogno
Nel sogno, scriveva August Strindberg nel 1901, “tutto può avvenire, tutto è possibile e probabile. Tempo e spazio non esistono; su una base minima di realtà, l’immaginazione disegna motivi nuovi: un misto di ricordi, esperienze, invenzioni, assurdità e improvvisazioni”. Nel sogno sembra soggiacere “una certa verità che giace nel più profondo dello spirito”. Nella Bibbia il mondo onirico è certamente considerato come un mezzo di comunicazione tra l’umano e il divino. In Giobbe il sogno emerge come una realtà da non trascurare.
Perché hai conteso contro di lui,
Per il fatto che non risponde a tutte le tue parole?
Poiché Dio parla una volta,
E due volte — quantunque uno non vi badi —
In un sogno, una visione della notte,
Quando profondo sonno cade sugli uomini,
Durante il sonnecchiare sul letto.
Allora egli scopre l’orecchio degli uomini,
E sull’esortazione [rivolta] a loro mette il suo sigillo,
Per distogliere l’uomo dalla sua opera,
E per coprire lo stesso orgoglio da un uomo robusto.
Egli trattiene la sua anima dalla fossa
E la sua vita dal passare mediante un dardo.
Realmente è ripreso con dolore sul suo letto,
La lite delle sue ossa è continua.
Ecco, tutte queste cose le compie Dio,
Due volte, tre volte, nel caso di un uomo robusto,
Per ritrarre la sua anima dalla fossa,
Perché sia illuminato con la luce dei viventi.
(Giobbe 33:13-19; 29-30)
Il mondo terrificante del sogno
La fascinazione ebraica per la dimensione onirica non è un fenomeno da trascurare. Ci sono racconti nelle scritture che sembrano appartenere alla realtà vigile mentre affondano le radici nel sogno. Un esempio ne sono le vicende di Giona. Egli vive immerso nel sogno. Quando la tempesta sconvolge i marinai sulla nave diretta a Tarsis egli è profondamente addormentato. Il racconto biblico legge: “E i marinai avevano timore e invocavano ciascuno l’aiuto del suo dio. E lanciavano in mare gli oggetti che erano nella nave, perché ne fosse alleggerita. Ma Giona stesso era sceso nelle parti più interne del bastimento coperto e giaceva e dormiva profondamente.” (Gn 1:5) L’improbabile soggiorno del profeta nel ventre del pesce potrebbe rappresentare un incubo vissuto in quel frangente? Una grande tempesta in corso – Rifugiati di Pella
Non sarebbe legittimo pensare che le vicende che si sviluppano nel seguito del racconto di Giona, dalla caduta in mare, inghiottito nel ventre del pesce fino alla conversione e salvezza di tutta la città di Ninive siano da considerare rappresentazioni oniriche? E non si potrebbe pensare qualcosa di simile di certe vicende legate al diluvio universale? Sappiamo che il patriarca Noè fu il solo ad essere considerato giusto in mezzo alla sua generazione. Tuttavia del suo universo psichico conosciamo pochissimo. Egli essendo caro a Dio ebbe di certo comunicazioni di vario tipo visionario, uditivo oppure onirico. Riflettiamo: egli costruisce l’arca, un enorme barcone dalle proporzioni gigantesche. Poi arrivano gli animali: “Di ogni bestia […] vennero a due a due a Noè dentro l’arca…” Non potrebbero essere alcune di queste esperienze ad esprimere le sue visioni allucinatorie? La mente di quel tempo non era bicamerale?
La permanenza nell’arca come fenomeno allucinatorio
Noè, finito il diluvio, non si accorse di nulla. Era sbarcato su una terra diversa da quella di provenienza, un nuovo universo, ma dapprincipio nessun segnale sembrava indicarlo. Se all’inizio la famiglia noetica poté credere di essere stata l’unica a sopravvivere, ben presto ci sarebbe stata la sorpresa degli incontri imprevisti. Si erano trasferiti su di una terra già abitata da una varietà di popolazioni eterogenee. A questo punto mi pongo una domanda: era veramente necessario portarsi dietro tanti animali su una terra dove, era evidente, ce n’erano già a sufficienza? Accudire un gran numero di bestie sull’arca sarebbe stata una difficile impresa, al limite dell’inverosimile. Perché dunque Dio “fece finta” con Noè? Perché gli fece costruire un’arca gigantesca? Evidentemente doveva essere una forma di testimonianza. Pietro parla di Noè come predicatore di giustizia. (2Pt 2.5)
Genesi 6:20-21 legge: Delle creature volatili secondo le loro specie e degli animali domestici secondo le loro specie, di tutti gli animali che si muovono sul suolo secondo le loro specie, ne verranno a te due di ciascuna per conservarli in vita. E in quanto a te, prenditi ogni sorta di cibo che si mangia; e te lo devi raccogliere, e dovrà servire di cibo per te e per loro”. A considerare l’espressione in ebraico “di tutti gli animali” non sembra che si debba intendere una sfilza infinita di animali ma “un complesso, un insieme”. Non mi sembra che si alluda alla totalità degli animali esistenti ma a un insieme di essi.
Ciò che probabilmente accadde fu, dal momento in cui Noè e la famiglia entrarono nell’arca un’esperienza onirica in cui egli, a somiglianza di Giona poté sperimentare il diluvio come una forma di allucinazione mentale. In realtà l’unico motivo per creare questo genere di illusione era di impedire che il patriarca si rendesse conto di essersi trasferito su un’altra terra.

Collegamenti tra il libro di Giona e alcuni miti pagani presenti all’epoca
Il racconto di Giona, si può collegare a leggende presenti nel territorio di Giaffa. Sentiamo cos’ha da dire WOLFF, uno scrittore che si è accostato a queste vicende: “…diamo per scontato che il racconto non rispecchia una vicenda accaduta nel suo effettivo svolgimento…” (In H.W. WOLFF. Studi sul libro di Giona, p. 15) Wolff si concentra sulla figura di Giona, e presenta vari miti che hanno attinenza con questa figura. Per esempio, il mito solare, dove Giona raffigura il sole che cala nelle tenebre. Ancora, il mito lunare, per il quale la luna rimane invisibile per tre giorni. Il terzo è il mito del grande pesce, delle leggende greche di Eracle e di Perseo. Il quarto è il tema dell’eroe inghiottito e vomitato nel mito di Giasone vomitato dal drago.
Il quinto riguarda la scena di Giona quando è gettato in mare; questo ricorda la leggenda di Arione, quando i marinai volendosi appropriare delle sue ricchezze, lo gettano in mare. Il sesto tema riguarda gli antichi racconti indiani, nei quali troviamo lo stesso svolgimento che troviamo nel libro di Giona; l’eroe è gettato in mare e salvato da un pesce che prima lo ingoia e poi lo vomita. In questi racconti troviamo anche una storia in cui dei marinai durante una tempesta gettano la sorte per vedere di chi sia la colpa. Il settimo tema è dato dal fatto che una tradizione ambienta la storia di Perseo-Andromeda proprio nella città di Giaffa; una tradizione racconta anche come a Giaffa fossero rimasti i resti di un imponete scheletro di una balena uccisa proprio da Perseo. bakalarska_prace_Giuliani_GIovanni (theses.cz)
Erodoto racconta di Arione
Narrano che questo Arione, musicista e cantore, venisse preso dal desiderio di recarsi in Italia e in Sicilia, e che, dopo aver guadagnato molte ricchezze, volesse ritornare a Corinto. Partì dunque da Taranto e noleggiò una nave corinzia. Ma i marinai in alto mare pensarono di gettare in mare Arione e di prendersi le sue ricchezze. Egli, avendo compreso ciò, li supplicava, offrendo loro spontaneamente i danari, ma pregando di aver salva la vita. Ma non riuscì a persuaderli; anzi gli ingiunsero o di uccidersi da sé in modo da poter avere in terra una sepoltura, o di saltare in mare al più presto. Allora Arione, messo così alle strette, li pregò che, dal momento che così avevano deciso, gli concedessero di cantare, ritto fra i banchi della nave, con tutta la sua acconciatura, promettendo di uccidersi dopo aver cantato.
E quelli, compiaciuti al pensiero che stavano per udire il migliore di tutti i cantori, si ritirarono da prua verso il centro della nave. Ed egli, indossato tutto il suo abbigliamento e presa la cetra, ritto fra i banchi eseguì il «nomos orthios» e, finito il canto, si gettò in mare così come stava, tutto vestito. Quelli continuarono la navigazione per Corinto; lui invece narrano che un delfino l’abbia preso in groppa e l’abbia portato a riva al Tenaro; sceso a terra andò a Corinto in quell’abbigliamento, e lì giunto narrò tutto l’accaduto». Erodoto Arion – HubPages
L’inferno musicale di Bosch
L’opera conosciuta come “Giardino delle delizie” (1480/1503) misura 220 centimetri di altezza per 389 centimetri di larghezza ed è conservata al Museo del Prado di Madrid. Il blocco superiore delle “Grandi orecchie” è costituito da un enorme paio di orecchie trafitto da una freccia e attraversato da una lunga lama di coltello. Se osserviamo con attenzione, abbiamo modo di vedere che dalle orecchie fuoriescono i demoni che afferrano i dannati per trascinarli – si presume – all’interno dei giganteschi padiglioni. Questo riferimento ci permette di ricollegarci al concetto di mente bicamerale e all’idea che con la cacciata di Admo ed Eva dal Paradiso terrestre l’umanità cominciò ad essere soggetta alle voci demoniche che guidavano gli uomini ancora inesperti nella soluzione dei problemi che emergevano di volta in volta. Gli uomini non erano ancora in grado di affrontare la vita autonomamente.
“L’inferno musicale” è quindi un luogo in cui se trionfa la musica, essa diventa tortura, prevale il frastuono del male, il caos del peccato e gli strumenti perdono la loro originaria funzione, mutandosi in oggetti destinati a produrre sofferenza. All’arpa è infilzato un uomo, un altro essere è legato al liuto che è esposto all’attacco di un drago. Nel registro inferiore alcuni strumenti musicali formano la struttura nella quale si trovano i personaggi di un coro che legge da uno spartito tracciato sulle natiche di un dannato: sono il liuto, l’arpa, la ghironda, il flauto (all’interno del quale arde un dannato). Dobbiamo aggiungere il tamburo in basso, con un’apertura da cui sbuca una civetta, il triangolo suonato da un dannato incastrato nella tastiera della ghironda; e ancora la tromba, una in terra accanto al tamburo e un’altra che si intravede dietro ai dannati. L’inferno musicale di Hieronymus Bosch (shan-newspaper.com)




Il trittico sembra dare l’immagine dell’uomo che nella realtà materiale (parte centrale) vive o il Paradiso (parte sinistra) o l’Inferno (parte destra).
Chiuso il Libro della Vita ecco il Teatro in cui la rappresentazione umana si va esprimendo.