
Il toro fu sempre tenuto in grande considerazione. Nell’antico bacino del Mediterraneo gli dei erano adorati in forma di animali. Quasi tutte le culture mediterranee adorarono il toro. Ancora oggi in Spagna è viva la tradizione della corrida o dell’encierro, la serrata dei tori. Una delle prime testimonianze di questo culto si può trovare ad Altamira nel nord della Spagna. Intere mandrie di uri furono rappresentate nelle grotte disseminate in varie parti d’Europa. Riprodurre e quindi “catturare” le sembianze di un animale permetteva un contatto con il mondo divino, anticipava e garantiva, grazie a primordiali forme di pensiero di tipo animico, la benevolenza del totem, durante le successive battute di caccia. È possibile quindi che l’adorazione del toro abbia avuto inizio con queste pitture presenti nelle grotte e si sia successivamente sviluppata per migliaia di anni, influenzando le radici dei rituali religiosi che si svolgevano in seguito nei templi.
Il valore magico delle pitture rupestri
Ernst Gombrich, uno dei più importanti storici dell’arte del Novecento spiega: «Immaginiamo di ritagliare dal giornale di oggi la fotografia della nostra diva o del nostro giocatore preferiti. Ci farebbe piacere prendere un ago e trapassar loro gli occhi? Sarebbe per noi altrettanto indifferente che bucare un qualunque altro punto del giornale? Credo di no. Benché a mente lucida mi renda benissimo conto che un simile gesto contro il ritratto non può fare il minimo male al mio amico o al mio eroe, tuttavia, all’idea di compierlo, avverto una vaga ripugnanza.
Sopravvive, chissà dove, l’assurda sensazione che ciò che viene fatto al ritratto viene fatto alla persona che esso rappresenta. Ora, se a questo punto non mi sbaglio e se questa bizzarra e irrazionale impressione sopravvive perfino tra noi, in piena era atomica, è forse meno sorprendente che essa sia esistita quasi ovunque tra i cosiddetti popoli primitivi. In ogni parte del mondo mediconi o streghe hanno tentato di praticare la magia press’a poco così: fatto un rozzo fantoccio a somiglianza del nemico, nella speranza che il danno ricadesse su di lui, gli trapassavano il cuore o lo bruciavano. […] I primitivi sono ancora più esitanti quando devono distinguere tra l’oggetto vero e la sua raffigurazione. Una volta, a un artista europeo che aveva fatto uno schizzo del loro gregge, gli indigeni domandarono con angoscia: “Se ti porti via le bestie, di che cosa vivremo?”».
Il totem del toro
Il culto del toro come abbiamo detto era comune in molte culture. L’uro – o toro selvatico – era largamente adorato e presentato come simbolo luni-solare. Diventava pure la raffigurazione propria di EL, la divinità suprema degli antichi popoli del Medio Oriente. Alcuni credono che Yah, il Dio di Israele, fosse associato e rappresentato dapprima come una divinità dalle sembianze di vitello o di toro attraverso un processo di genesi e assimilazione da forme di culto presenti nello stesso periodo. In Egitto, da dove provenivano all’epoca gli ebrei, il toro Apis era oggetto di speciale adorazione, e si ritiene che gli ebrei facessero rivivere questa tradizione nell’episodio della forgiatura del toro d’oro. Nel libro dell’Esodo si narra che, dopo l’uscita degli ebrei dall’Egitto, mentre Mosè era salito sul Monte Sinai, gli israeliti chiesero ad Aronne di fabbricare loro un dio bovino per poterlo adorare.
Ecco il tuo Dio, o Israele
Aronne raccolse i gioielli d’oro che gli israeliti avevano ottenuto dagli egiziani prima di uscire dall’Egitto, li fuse forgiando un vitello, ed infine dichiarò: “Ecco il tuo Dio, o Israele, colui che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto!” (Es 32:4). Costruì poi un altare davanti al vitello e proclamò una giornata di festa a Geova. Il giorno dopo tutti si alzarono presto offrendo “olocausti” e presentando sacrifici. “Il popolo sedette per mangiare e bere, poi si alzò per darsi al divertimento”. Dio fece sapere a Mosè l’accaduto minacciando di distruggere il popolo: “Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicata! Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li distrugga. Di te invece farò una grande nazione”. Mosè supplicò Dio di perdonarli, e lui “abbandonò il proposito di nuocere al Suo popolo”.
Da queste vicende si evince l’antica concezione che gli israeliti ebbero in principio del loro Dio. Si trattava indubbiamente di un dio totemico. Il nome Yah fu associato agli inizi con la figura di un toro e anche di un ariete. La Bibbia registra questo genere di fatti? Certamente. Prenderemo in considerazione alcune Scritture che lo dimostrano. Numeri contiene due specifici versetti da cui emerge un’immagine del Dio d’Israele in relazione al toro selvaggio. Numeri 23:22 legge: “Dio li fa uscire dall’Egitto. La sua veloce andatura è come quella di un toro selvaggio.” Al 24:8 si legge: “Dio lo fa uscire dall’Egitto; La sua è la veloce andatura di un toro selvaggio. Egli consumerà le nazioni, i suoi oppressori, E roderà le loro ossa, e le farà a pezzi con le sue frecce.” Qui la LXX rende il termine ebraico reem con il greco monoceros ovvero unicorno.
Reem, l’unicorno e la Versione del Re Giacomo
Diversi commentatori tendono ad associare il termine reem al popolo d’Israele piuttosto che al suo Dio. Ma il concetto che si nasconde dietro alla parola è un altro. In Numeri 23:22 la costruzione della frase non permette di associare il toro al popolo, ma solo e necessariamente a Dio. Letteralmente la frase è questa: “Dio li porta fuori d’Egitto, come forza un giovane toro ha lui”. Li, nella parte a del versetto è pronome complemento oggetto plurale, mentre nella parte b il pronome soggetto è singolare, lui. Numeri 24:8 rende pienamente la potenza divina paragonabile a quella di un toro o rinoceronte in grado di calpestare le nazioni. La traduzione unicorno ritorna ben nove volte nella Versione del re Giacomo: Nu 23:22; 24:8; Dt 33:17; Gb 39:9,10; Sl 22:21; 29:6; 92:10, Isa 34:7.
Gli studiosi moderni spiegano che reem dovrebbe identificarsi con il toro selvaggio, anzi, con quel particolare animale oggi estinto, il toro primitivo, l’uro. Nel paleolitico gli uri furono adorati come animali sacri e alla loro forza vitale erano attribuite qualità straordinarie. In Egitto a Eliopolis si adorava Mnevis, divinità solare. Egli era secondo per importanza solo al dio Apis di Menfis. I sacerdoti di Eliopolis arrivarono a dire che Mnevis, un toro uniformemente nero, era padre di Apis. In quanto tori sacri, essi erano divinità viventi e per le due categorie ce n’era uno solo per volta, un solo Mnevis a Eliopolis e un solo Apis a Menfis. Mnevis era divinità associata al cielo. Egli è il toro d’occidente dove il sole tramonta. Aveva un harem di sette mucche che sempre lo accompagnavano. Dovette essere considerato il ba di Apis, l’antenato che suggerisce oracoli e visioni.
Geova ruggisce
Il Dio della Bibbia non si presenta semplicemente come toro ma anche come leone, anche come aquila. Osea 5:14 legge: “Poiché io sarò come un giovane leone per Efraim e come un giovane leone fornito di criniera per la casa di Giuda. Io, io stesso sbranerò e andrò [e] porterò via, e non ci sarà liberatore.” In Osea 11: 10 Geova ruggisce: “Cammineranno dietro a Geova. Ruggirà come un leone; poiché egli stesso ruggirà, e i figli verranno tremando dall’ovest.” Più avanti in Osea 13:7-8 Geova si trasforma da leone a leopardo e poi in orsa. Si legge: “E io diverrò per loro come un giovane leone. Come un leopardo presso [la] via continuerò a guardare. Andrò loro incontro come un’orsa che ha perduto i suoi orsacchiotti, e lacererò l’involucro del loro cuore. E là li divorerò come un leone; una stessa bestia selvaggia del campo li sbranerà.”
In Deut 32:11 Geova si presenta come aquila: “Proprio come l’aquila scuote il suo nido, Volteggia sopra i suoi piccoli, Li prende sulle sue ali, li prende, Li porta sulle sue penne remiganti, Geova solo lo guidava, E non c’era insieme a lui nessun dio straniero.” In tutti questi versetti Geova si presenta a Israele come un animale totem. Egli si caratterizza nelle sembianze tipiche del tetramorfo di Ezechiele 1 e 10, con testa di toro, leone aquila e uomo. Quand’è che Dio si presenta come uomo? Questo accade quand’egli manda i suoi messaggeri, per esempio quando tre angeli si presentano ad Abramo in forma d’uomo ed egli li riverisce rivolgendosi a loro con il nome Geova. Si pensi inoltre all’uomo Gabriele in Daniele 9:21 dove si legge: “l’uomo Gabriele che avevo visto nella visione all’inizio, essendo stato reso affaticato dalla stanchezza arrivava presso di me al tempo dell’offerta del dono della sera.”
Etimologia dei tori celesti
Apis, trascrive la voce egiziana ḥape (h’p.j), probabilmente significante “il corridore”. Era un torello nero con un triangolo bianco sulla fronte, bianchi pure il ventre, le zampe, il fiocco della coda. In suo onore si teneva una festa detta “corsa di Apis.” In origine venne assimilato al sole e perciò tra le corna porta il disco con il serpente ureo. Dava gli oracoli accettando o rifiutando il cibo, ovvero battendo con una zampa. Quando moriva riceveva solenne sepoltura nel “serapeo” della necropoli menfitica. Mnevis ha relazione con le radici egizie mr-wr e il verbo greco maino, sono furioso. La follia è legata al mondo oracolare. I due tori rappresentavano il cielo. Apis dal manto maculato ricorda gli occhi sul corpo di Argo, la pelliccia a chiazze della tigre o del leopardo, il cielo stellato.
Anche Israele, è presentato come un toro o un vitello. Nel libro dei Salmi si legge: “E li fa saltare all’intorno come un vitello, Il Libano e il Sirion come i figli dei tori selvaggi”. (Sl 29:6) E ancora: “Ma tu esalterai il mio corno come quello di un toro selvaggio.” (Sl 92:10) Concluso il primo idillio tra Geova ed Israele, Dt 32:15 legge: “Quando Iesurun si ingrassava, allora tirò calci. Ti sei ingrassato, ti sei fatto grosso, sei divenuto pieno. Abbandonò dunque Dio, che l’aveva fatto, disprezzò la Roccia della sua salvezza.” (Cfr. Os 9:13) Nella Vulgata reem è tradotto per lo più rinoceros, ma talvolta unicornus. A volte, come succede in Dt 33:17, il reem ha due corna, con le quali spinge, controlla le nazioni. Tra gli esseri viventi, fu il Monodon monoceros, un cetaceo, il narvalo, a dare origine al mitologico unicorno. Rappresentava un culto monoteista.
Elohim, El Elyon, Ilu, El e il toro
E che dire poi di quell’El Elyon, El l’Altissimo di cui Melchisedec era sacerdote? Secondo Graves-Patai (I miti ebraici, I, 17): «Il nome ‘Elohim, che troviamo nella prima Genesi, è la variante ebraica di un antico nome semitico per un dio o per parecchi: Ilu, fra gli Assiri e i Babilonesi, El, nei testi hittiti e ugaritici; Il, o Ilum, fra gli Arabi del sud. El era considerato capo del pantheon fenicio ed è spesso nominato nei poemi ugaritici (datati dal XIV secolo a.C.) come “toro El” che ricorda gli idoli a sembianza di vitello d’oro fatti da Aronne (Esodo, XXXII, 16, 24, 35) e da Geroboamo (I Re, XII, 28 – 29) come emblemi di Dio; nonché la personificazione di Dio, fatta da Sedechia, rappresentata da un toro con le corna di ferro (I Re, XXII, 11).»
Noè, Dioniso, Zagreo e il dio della tempesta
Cercando di scoprire le antiche origini totemiche del culto ebraico dobbiamo necessariamente passare per Noè. Egli sta al principio del rapporto d’Israele con il vero Dio, ma, ovviamente egli era ignaro di molte cose. In antropologia il Toro è una delle rappresentazioni di Dioniso. Nel mito Dioniso viene chiamano anche “nato da una vacca”, “con forma di toro”. Nelle antiche comunità che praticavano i riti Dionisiaci si sacrificava un toro facendolo a pezzi e mangiando le sue carni e bevendo il suo sangue. Dioniso rappresenta il mito della «resurrezione del Dio ucciso.» (James G. Frazer, Il ramo d’oro) Ora Dioniso è un dio in cui si può facilmente intravedere la figura del biblico Noè. Entrambi sono legati al mondo agricolo e alla coltivazione della vite. Anche il mito di Zagreo ha attinenza con questi personaggi.
Il poeta Nonno narra che Zeus in forma di serpente visitava Semele ed essa gli partoriva un fanciullo con due corna, Zagreo, alias Dioniso. Il fanciullo era appena nato quando saliva al trono di Zeus e lo imitava brandendo le folgori nella manina. I Titani traditori, con le facce imbiancate di gesso, lo assalirono con dei pugnali mentre stava guardandosi allo specchio. Per un certo tempo gli riuscì di sfuggire ai loro assalti assumendo le diverse forme di Zeus, avvolto in pelle di capra, di Crono datore di pioggia, di un leone, un cavallo, un serpente cornuto, una tigre e alla fine assunse la forma di toro. I Titani lo afferrarono saldamente per le corna, gli affondarono i denti nella carne e lo divorarono vivo. Il rituale della corrida si può considerare un relitto di questa mitologia. Noè impersona anche il dio della tempesta. Le sue metamorfosi sono impressionanti.
Traendo le conclusioni
In questo lungo percorso mi sono proposta di dimostrare come il rapporto tra il Dio degli ebrei e il popolo d’Israele affondi le proprie origini nel mondo del totemismo, come avvenne per i vari culti che fiorirono nel corso del tempo. Il principio del totemismo fu innanzitutto impersonato dalla voce del serpente che in Eden si mise in relazione con Eva. Gli uomini fuori dall’Eden caddero in balia dei demoni che attraverso voci e visioni allucinatorie guidarono i loro passi su una terra ancora del tutto ignota. Pochi esseri coraggiosi continuarono ad avere una relazione spirituale con il Vero Dio che gradualmente diede loro sprazzi di rivelazione. Infine Dio si rivelava a Noè per fargli sapere in merito all’imminente diluvio. La distinzione circa gli animali puri ed impuri ci permette di immaginare che Noè sapesse di aspetti che solo in seguito furono scritti nella legge mosaica.
Resteranno da affrontare ancora vari temi collegati, ma per ora mi sembra di aver sufficientemente chiarito come El Elyon, l’iddio altissimo dovette all’inizio presentarsi come un Dio totemico, legato al proprio clan da arcaiche forme di adorazione comprensibili a uomini ancora primitivi nella loro coscienza e nel modo di sentire e ragionare. Era un mondo in cui gli esseri umani e gli animali condividevano molti aspetti della vita quotidiana e godevano di una reciproca intesa. A quei tempi l’animale godeva di una dignità pari a quella dell’uomo e anzi, apparteneva al mondo del divino. Il contatto con il suo mondo apriva le porte al soprannaturale. In un prossimo articolo cercherò di chiarire in che modo, a partire dai figli Noè si arrivasse a circoscrivere il tabù dell’incesto e attraverso Nimrod, passando per la costruzione della torre di Babele, a definire le prime forme di aggregazione sociale e politica occidentali.
