Troia, Achei, Anachin e Noachidi

Il grappolo d’uva dei giganti

Troia è la città di cui narra Omero nell’Iliade e nell’Odissea. Per molto tempo si mise in dubbio che ci fosse mai stata una guerra contro Troia e che la città stessa fosse mai esistita. La realtà storica della guerra di Troia sembrò a lungo sfuggire. Tuttavia ciò che viene narrato nell’Iliade trae necessariamente origine da fatti storici. Il valore mitologico degli avvenimenti tramandati dagli aedi ha fatto sì che a un nucleo di episodi verosimilmente storici si sovrapponessero componenti leggendarie tali da dar l’impressione di nascondere le cause stesse del conflitto. Il merito di avere cercato per primo le prove archeologiche di una simile città sono da attribuire al tedesco Heinrich Schliemannn (1822-1890). Costui basandosi sulle indicazioni geografiche contenute nell’Iliade riuscì a individuare sulla collina di Hissarlik, nell’attuale Turchia, delle rovine che egli pensò di poter attribuire all’antica città.

 Ora capisco che gli argomenti che tratto sul blog in questo periodo ad alcuni possono apparire sconcertanti. Questo perché il comune lettore della Bibbia è abituato ad accontentarsi di una comprensione letterale del testo e non avverte l’esigenza di andare oltre ciò che sembra immediatamente intuitivo. Non sente la pressante necessità di trovare le motivazioni storiche e antropologiche che stanno alla radice della formazione di quel complesso di storie che raccontano le origini della civiltà umana, i rapporti con le mitologie antiche, la mentalità dell’uomo che le ha vissute. Alcuni si avvicinano alle Scritture non immaginando di trovarsi di fronte a uomini che avevano una costituzione psicologica, mentale, spirituale, addirittura fisica molto diversa da quella dell’uomo moderno. Sorprendentemente più si studiano le Scritture e più si comprende che le cose stanno diversamente. L’uomo delle origini era agli antipodi di ciò che noi siamo portati a credere.

Nascite ibride da donne ed esseri divini

Eliodoro di Emesa racconta nelle Etiopiche che Omero era figlio presunto di un sacerdote, mentre in realtà egli era figlio di Ermes. Infatti un giorno mentre la moglie del sacerdote celebrava una festa e si trovava a dormire nel tempio, il dio si unì a lei ed essa generò Omero. Nel corpo del poeta era rimasto impresso un segno di questa unione promiscua ed egli ebbe fin dalla nascita una coscia coperta di lunghi peli. Questo fatto è una delle tante testimonianze di come in tempi successivi al diluvio continuarono a nascere figli ibridi da donne ed esseri divini. Erano personaggi che la Bibbia qualifica come “uomini famosi, i potenti dell’antichità.” (Ge 6:1-4) Qualcosa di simile era avvenuto al concepimento di Caino, al concepimento di Nimrod, di Golia e di altri simili personaggi che ebbero evidentemente una natura transumana.

Ecco però che anche Adamo nel paradiso di Eden era a noi affine ma diverso, nel corpo e nella mente. Egli visse 930 anni, cosa impossibile per chiunque oggi viva sulla terra. Ben presto dunque, dopo l’allontanamento dall’Eden, si materializzarono angeli che unendosi a donne diedero vita a uomini semidivini, capaci di imprese sovrumane. Cos’era successo? Si trattava di una profonda modifica della struttura genetica originariamente impressa nell’essere dal Creatore. Gli angeli ribelli riuscirono ad ottenere qualcosa di profondamente diverso dall’essere originale. Col tempo trasformarono ogni umano imponendo alla struttura progettata da Dio uno schema diverso. Se si considera la mitologia classica si comprende appieno la portata di questo fenomeno. Probabilmente prima del diluvio finirono per esistere principalmente esseri ibridi e la terra si riempì di violenza. Le donne continuavano ad essere gravide di esseri ibridi e la sopravvivenza degli adamiti potè essere messa a rischio di estinzione.

Salvato da un progetto satanico

Per porre fine a quel ciclo perverso Dio individua un uomo, Noè e trasferisce la sua famiglia su una terra diversa. Il Salmo 18:16 dà un resoconto dell’accaduto. Vi si legge, in un contesto assimilabile ad un diluvio d’acque, “Mandava dall’alto, mi prendeva, Mi traeva dalle grandi acque.” Questa espressione risulta curiosa e va rimarcata: La LXX legge: “ἐξαπέστειλεν ἐξ ὕψους καὶ ἔλαβέν με.” [Lett. mandò dall’altitudine, e mi prese]. Il versetto rende l’idea di qualcuno che viene preso e portato in alto. Possiamo immaginare che la famiglia di Noè passasse attraverso un portale celeste e fosse trasferita sulla terra dove attualmente viviamo. Perciò, finito il cataclisma, dovremmo trovare traccia di Noè e suoi discendenti nel successivo racconto biblico. A parte le prime descrizioni dello sbarco dall’arca emergerebbero tracce di Noè nel libro di Giosuè quando viene menzionata la città di Ebron.

“Il nome di Ebron era prima Chiriat-Arba ([tale Arba era] il grande uomo fra gli anachim).” (Gsè 14:15) Chiriat Arba significa “la città dei quattro”, un’allusione a Noè e figli. Giosuè, come ribadito, a Caleb diede […] “Chiriat-Arba ([essendo tale Arba] il padre di Anac), vale a dire Ebron. Caleb cacciò dunque di là i tre figli di Anac, cioè Sesai e Ahiman e Talmai, quelli nati ad Anac.” (Giosuè 15:13-14) Erano trascorsi 857 anni dal diluvio, e i tre figli di Noè/Arba erano morti ma i loro diretti discendenti stavano lì. Genesi 5:32 legge: “E Noè aveva cinquecento anni. Dopo ciò Noè generò Sem, Cam e Iafet.” Al Diluvio Noè aveva seicento anni. “Nel seicentesimo anno della vita di Noè […] le cateratte dei cieli si aprirono.” (Ge 7:11) Noè visse complessivamente 950 anni, ma i suoi figli meno. Sem visse 600 anni.

Il grappolo d’uva della vigna dei giganti

A segnalare la presenza dei Noachidi in Ebron ci pensa il racconto del libro di Numeri laddove riferisce il rapporto delle spie mandate a esplorare la terra di Canaan. Vi si legge: “Ora i giorni erano i giorni dei primi frutti maturi dell’uva. Essi salirono ed esplorarono dunque il paese dal deserto di Zin a Reob all’entrata di Amat.  Essendo saliti nel Negheb, giunsero a Ebron. Ora c’erano Ahiman, Sesai e Talmai, quelli nati da Anac. Incidentalmente, Ebron era stata edificata sette anni prima di Zoan d’Egitto.  Essendo giunti alla valle del torrente di Escol, vi tagliavano quindi un tralcio con un grappolo d’uva. E lo portavano con una sbarra su due degli uomini, e anche melagrane e dei fichi.  Chiamarono quel luogo la valle del torrente di Escol, a motivo del grappolo che i figli d’Israele vi tagliarono.” (Nu 13:20-24)

Escol dunque significa grappolo. A proposito di uva: anche Enea, l’esule troiano, condivide con Noè la radice del nome, eno. Oineo apprese l’arte di coltivare la vite e di fare il vino da Dioniso. Costui decretò che in suo onore l’uva dovesse essere chiamata oinos. L’enciclopedia Suda del X secolo, scritta in greco, collega Oineo con il termine oinos citando un verso delle Georgiche di Virgilio: “Oineo, dopo averlo premuto nei calici vuoti, lo chiamo vino.”  Sembrerebbe dunque possibile associare i Noachidi agli Anachim, mentre Aner, Escol e Mamre sarebbero nomi in codice per indicare Sem, Cam e Iafet. (Ge 14:24) Così a Ebron vivevano questi giganti detti Anachim, termine che etimologicamente rimanda alla nozione di collo mentre, curiosamente, gli israeliti sono spesso definiti “un popolo dal collo duro” espressione che lascerebbe immaginare delle affinità tra queste genti. (Es 32:9; 33:3; 33:5; 34:9; De 9:6, 9:13 etc.) Nei pressi di Ebron muore Sara e viene seppellita nella caverna di Macpela.

La guerra di Troia e quella contro Sodoma

Noè compare nella genealogia di Gesù e tra gli uomini di fede in Ebrei 11:7. “Per fede Noè, dopo aver ricevuto divino avvertimento di cose non ancora viste, mostrò santo timore e costruì un’arca per la salvezza della sua casa; e per mezzo di questa [fede] condannò il mondo e divenne erede della giustizia che è secondo la fede.” “E se in mezzo a esso si trovassero questi tre uomini, Noè, Daniele e Giobbe, a motivo della loro giustizia essi stessi libererebbero la loro anima’, è l’espressione del Sovrano Signore Geova”. (Eze 14:14) I suoi discendenti, Sem, Cam e Iafet e i loro figli dovettero essere partecipi nella guerra dei quattro re confederati contro i cinque della pentapoli, come riferito in Genesi 14. Quella fu la prima guerra nel racconto delle Scritture.

La guerra di Troia fu combattuta probabilmente tra i noachidi da poco insediati e le genti che da tempo erano stanziate in quell’area. Nella mitologia greca la guerra fu combattuta tra gli Achei e la potente città di Troia. Secondo l’Iliade la guerra ebbe inizio a causa del rapimento di Elena, regina di Sparta, per mano di Paride, figlio di Priamo, re di Troia. Menelao, marito di Elena, e il fratello Agamennone radunarono un esercito muovendo guerra contro Troia. Stante una simile ineludibile mitologia è giocoforza immaginare gli avvenimenti inquadrandoli sullo sfondo degli eventi successivi al diluvio. Per collocarci nel tempo prenderemo in considerazione il cosiddetto tesoro di Priamo, un insieme di oggetti preziosi scoperti da Heinrich Schliemann nel sito dell’antica Troia e attribuiti a quel re. Gli oggetti apparterrebbero alla seconda metà del terzo millennio, in un’epoca compatibile con l’avvento dei noachidi successivamente al diluvio avvenuto nel 2370 a.C.

Il rapimento di Lot e il riscatto di Priamo

Ora ci potremmo chiedere perché gli uomini di Chedorlaomer ovvero Nimrod e quelli di Abramo si dovessero scomodare per un personaggio come Lot. Da parte di Nimrod e dei Noachidi, però, avanzare pretese su Lot sembrerebbe normale. Dopo tutto era uno del loro sangue. Essi potevano rivendicarne l’origine comune. Lot sembra qui muoversi come un astro uscito dalla propria rotta. Egli probabilmente, pur appartenendo alla parentela di Noè, era sposato con una donna di Sodoma, per cui era come se preferisse stare più con i Cananei che con il suo sangue. Tuttavia Abramo lo rivendica come suo e lo recupera. Melchisedec arriva a mettere pace tra i contendenti offrendo pane e vino. Il simbolo continua ad esercitare il suo ruolo.

Dopo la distruzione di Sodoma, Lot vivrà l’incesto con le figlie, rientrando in questo modo nello schema matrimoniale endogamico. Il suo nome significa velo, copertura, come in Isaia 27:5. Si possono notare degli interessanti collegamenti tra Priamo, “il riscattato” e Lot che dopo essere stato rapito viene riscattato da Abramo.  Priamo detto anche Podarce, “il piè veloce”, (nome che evidentemente richiama quello di Edipo “dal piede gonfio”) essendo prigioniero di Esione, sua sorella, venne da lei riscattato e come prezzo del riscatto diede il velo che le copriva la testa. Gli agganci tra i fatti narrati dalla Genesi e quelli del mito sono stupefacenti. Anche il nome stesso di Omero significa “ostaggio”. Nel caso di Priamo e sua sorella si comprende chiaramente come il mito registri con abbondanza di indizi il passaggio, nella società del post diluvio, dal matrimonio endogamico a quello esogamico.

La storia di Priamo

Sullo sfondo della guerra di Troia incombe l’intenzione di Zeus di distruggere l’umanità con fulmini e inondazioni. Tale intenzione resta sospesa ma con il matrimonio di Teti e Peleo si gettano le basi della guerra. A quel matrimonio vennero invitati tutti gli dei, eccetto Eris, la dea della discordia. Sentendosi offesa, Eris getta in mezzo della tavolata una mela d’oro con la scritta: alla più bella. Era, Atena e Afrodite pensavano spettasse loro di diritto possedere la mela e cominciarono a litigare. Nessuno osava pronunciarsi per non farsele nemiche. Zeus ordinò di condurre le tre dee al pastore Paride perché decidesse. Le tre divinità promisero al giudice dei doni, e Afrodite gli promise l’amore della donna più bella, Elena di Sparta. Paride diede la mela ad Afrodite.

La più bella donna del mondo era Elena, figlia di Leda. Zeus l’aveva sedotta sotto forma di cigno. Il mito della nascita di Elena e Clitennestra insieme ai fratelli Castore e Polluce introduce il discorso delle nascite ibride di cui in Genesi capitolo 6. L’altro tema fondamentale legato alla figura di Elena è il discorso relativo alla possibilità di sposarsi all’interno del proprio clan di origine o preferire l’opzione di matrimoni misti tra clan diversi. Il ratto di Elena rappresenta il divieto imperante nel sistema del totemismo, di sposarsi all’interno del proprio clan. Achei e troiani prefigurano questo genere di scontro, tra la volontà del capostipite Noè circa la volontà di mantenere pura la stirpe tramite matrimoni all’interno della stessa discendenza e la preferenza dei suoi figli verso matrimoni di tipo misto. Ciò diede origine al sistema del totemismo in base al quale ogni clan si sarebbe identificato con il proprio animale totem.

Ancora un’etimologia legata al mondo del totemismo

L’etimologia di questa città, Troia, è davvero singolare. Il nome deriva dal porco, nel senso di scrofa gravida. Con il termine porcus troianus i Romani designavano un maiale che si imbandiva in tavola, pieno di polli e di uccelli a somiglianza del cavallo troiano, pieno di uomini armati. L’episodio del cavallo di Troia non appartiene a Omero ma all’Eneide di Virgilio. Enea, esule troiano riferisce la storia del cavallo alla regina Didone. Ora Enea, nome dalla radice eno, è una raffigurazione mitologica di Noè, il primo a coltivare la vite.

Sara e Rebecca alla corte di Faraone e da Abimelec

Per ben tre volte il contrasto tra matrimonio endogamico ed esogamico spunta fuori nel racconto di Genesi, in particolare ai capitoli 12, 20 e 26. In queste occasioni Sara con il marito Abramo e Rebecca con Isacco si recano da Faraone e da Abimelec per cercare sostentamento in tempo di carestia. Sia Abramo che Isacco fanno passare le mogli come sorelle. In tutti questi casi il re desidera prendere le donne nel proprio harem. Le Scritture narrano che ogni volta Geova intervenne impedendo che Faraone o Abimelec violasse le due donne. Questi racconti si comprendono bene alla luce del dualismo fin qui descritto tra matrimoni nella stessa linea di discendenza e matrimoni estranei al proprio clan di origine.

Il tema della colpa legata all’incesto fu superbamente trattato anche da Sofocle nelle tragedie di Edipo Re ed Edipo a Colono. Questo sta ad indicare quanto il tabù dell’incesto inquietasse la mente degli uomini di quel tempo.

Un pensiero riguardo “Troia, Achei, Anachin e Noachidi

  1. Già, tra i matrimoni ibridi e gli incroci con bestie, a quei tempi circolavano strani esseri, per nulla frutto della fantasia greca, in quanto i demoni avevano violato il vincolo riproduttivo della stessa specie manipolando pure il DNA degli animali al fine di ottenere dei furiosi mutanti che li compiacessero e che disorientassero gli umani convogliandoli verso l’estinzione da snaturamento, come prima del diluvio, una lotta di prevaricazione territoriale tra angeli caduti ed anime viventi tutt’oggi in vigore, cercano di transumanizzarli tutti.
    I caduti dal cielo vedono nell’umano un essere piuttosto monotono e noioso, che male si addice alle loro voglie stravaganti, e pertanto se non riescono a trasformarlo cercano di eliminarlo, lo fanno da sempre.

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