
(Rembrandt, Il giuramento di Giulio Civile)
Il pasto totemico dove prende origine? In tutto ciò che è rituale le origini sono fondamentali. Freud, in Totem e Tabù, sostiene che alla base di ogni concezione dell’orda primitiva c’è un padre prepotente che tiene per sé le donne e allontana i figli maschi man mano che crescono. Fino a quando questi lo uccidono ma lui, una volta morto, diventa nella loro vita psichica più forte di quando era in vita; da allora il pasto totemico sarebbe la ripetizione dell’azione criminosa. Questa è una situazione che da sempre viene indagata ma senza che si portino alla luce le vere ragioni del misfatto. Nel suo ultimo lavoro “L’uomo Mosè e la religione monoteistica: tre saggi” Freud tenta di spiegare l’origine dell’orda primitiva immaginando che Mosè fosse un seguace di Akhenaton e che si ponesse in aperto contrasto con i sacerdoti al venir meno delle mire del faraone monoteista.
Infatti, la classe sacerdotale, contraria ai tentativi di Akhenaton in senso monoteistico, intendeva ripristinare il pantheon egizio tradizionale. Freud, seguendo gli studi di Ernst Sellin, piuttosto curiosamente, ipotizza che Mosè perisse di morte violenta, ucciso dal suo stesso popolo nel corso di una sommossa. L’uccisione di Mosè da parte del suo popolo era importante per Freud che poteva così ricostruire nella vicenda mosaica quanto egli aveva affermato in Totem e Tabù a proposito dell’orda primitiva: uccisione del padre, da parte dei figli in precedenza sottomessi, ricostruzione della cultura paterna sulla base del senso di colpa e dell’identificazione col padre, conseguente al pasto totemico, inizio del processo religioso con la rinuncia pulsionale (tabù dell’incesto – proibizione di mangiare le carni dell’animale totemico) e la fratellanza religiosa. Mose e Freud.doc (live.com)
Un pasto totemico in Eden
In netto contrasto con Freud, – la morte di Mosè nelle Scritture è assai ben documentata in Deuteronomio 34, – tenterò di dare un’interpretazione dell’origine del totemismo a partire dall’Eden, analizzando meglio il racconto della Genesi. Per dare una spiegazione attendibile del concetto di cui ci stiamo interessando, il sistema totemistico, dobbiamo risalire alle origini della storia dell’uomo. Questo ci porta, come estrema conseguenza, a formulare l’ipotesi che in Eden, con la trasgressione adamica, venisse commesso un parricidio. Il Dio Creatore, accusato nelle insinuazioni di Satana, di posticipare l’unione carnale della prima coppia, veniva, per così dire, immolato. (Per comprendere questo concetto si legga l’articolo “Il primo adulterio” qui postato.) Ed Egli, da vero animale totemico, rivestiva gli uomini della sua pelle. Genesi 3:21 legge: “E Geova Dio faceva lunghe vesti di pelle per Adamo e per sua moglie e li vestiva.”
Evidentemente in quel momento degli animali furono uccisi. Fintanto che il peccato non fu entrato nel mondo non ci furono sacrifici ma, dopo la trasgressione, la prima coppia presumibilmente mangiò alla presenza di Yahweh Elohim il cosiddetto pasto totemico. Fu subito spiegato che senza versamento del sangue non poteva esserci remissione del peccato, e che, tuttavia, Dio avrebbe condiviso con la loro discendenza un pasto di comunione sacrificale. Nel suo stato innocente Adamo aveva osservato gli animali, aveva dato loro un nome, se li era resi amici. Adesso però era sopraggiunto un momento in cui ad essi venivano imposte sofferenze e la morte. In questo primo sacrificio si ponevano le fondamenta di tutta la disposizione mosaica relativa a genesi 3:15 e alle norme sacrificali. Di lì in poi, in particolari circostanze ogni membro di un clan cerca di accentuare la sua parentela con il totem, rendendosi esternamente simile a lui, coprendosi con la pelle dell’animale.
Carne sacrificale consumata in famiglia
Fuori dall’Eden, il sacrificio da parte di Abele dei primogeniti del gregge, i loro pezzi grassi, porta necessariamente a concludere che la carne sacrificale era mangiata dall’offerente e dalla sua famiglia. Nei tempi antichi questa fu ovunque la regola. Mangiare carne animale non era l’abitudine – nessuna autorizzazione in tal senso era ancora stata data – ma mangiarne faceva parte di un rituale in cui, in certe ben definite occasioni, certe parti dell’animale erano offerte a Dio e bruciate sul suo altare mentre il resto era consumato dai partecipanti al banchetto. Questo doveva prefigurare il grande sacrificio messianico. Infatti il primo animale ucciso divenne figura del Cristo. Quindi dobbiamo immaginare che fino al diluvio i discendenti di Adamo mangiavano carne animale soltanto in occasioni speciali, durante un banchetto sacrificale. Solo dopo il diluvio fu consentita maggiore libertà nel consumo di carne animale.
Ecco dunque che tutte le società, primitive e non, sono passate attraverso il totemismo. Si pensi per esempio ad alcuni dei diversi banchetti che ancora sopravvivono, al banchetto di Natale in occasione del solstizio d’inverno o al pranzo del Ringraziamento in America il quarto giovedì di novembre. Il principale divieto totemico (non uccidere l’animale totem) trova nel pasto totemico una solenne deroga. Il totemismo è una specie d’intima alleanza tra un clan di uomini ed una specie animale o vegetale. Quest’alleanza può definirsi come una forma di discendenza da un comune antenato totemico, e di una fratellanza di sangue. Il clan si considera come progenie del totem, di modo che, ad esempio, il lupo è considerato il padre degli Indiani californiani; o i membri della tribù si consideravano fratelli o sorelle dell’animale totemico, come con il tacchino per gli Amerindi, che ne consumavano la carne solo in occasioni rituali.
Sacrifici e libagioni
Nelle antichissime culture il banchetto serviva per condividere un pasto con gli dei, i quali potevano essere implorati e resi benevoli per mezzo di un’offerta a loro gradita. Gli dei, di antica origine zoomorfa, erano nutriti con libagioni di sangue, il liquido che racchiude l’anima vivente. La libagione si effettuava versando il liquido (dapprima sangue animale, in certe culture anche umano) in una fossa praticata nel terreno. Bisogna tenere a mente questa tradizione quando si studiano gli antichi sacrifici, per esempio il rito del taurobolium. La libagione era parte di un atto sacrificale attraverso il quale si nutrivano gli dei. Il vino venne poi usato come sostituto del sangue versato con il sacrificio di un toro. Il banchetto ben innaffiato del vino non costituiva solo una componente di piacere ma anche una necessità culturale. Dal sacrificio si sperava un effetto catartico: l’impurità veniva trasferita sull’animale sacrificato.
Nelle culture totemiche tuttora sopravvive il cosiddetto “pasto di comunione”, in cui il totem è fatto a pezzi e mangiato ritualmente. Questo rito ha la funzione di moltiplicare la specie totemica e rinnovare il patto di comunione sacra, perché il totem, fatto a pezzi e distribuito all’assemblea, è una disseminazione ierofanica, una sorta di moltiplicazione della specie. Inoltre l’atto di divorare l’animale o la pianta totemica (pasto totemico), provoca una comunione mistica mediante l’ingestione del sangue divino, che entra in circolo nell’uomo riproducendo la filiazione originaria, e dando origine al processo di consacrazione del singolo. Il pasto totemico significava condivisione con la divinità e nutrimento sacro. La parola francese viande per carne e la parola italiana corrispondente, vivanda, (latino vivenda, derivato da vivere) fanno riferimento alla vita, suggerendo che la parte nobile e nutritiva della carne sia un alimento principe per la vita.
Se non mangiate la mia carne e il mio sangue…
Non a caso Gesù disse: “Io sono il pane della vita. I vostri antenati mangiarono la manna nel deserto eppure morirono. Questo è il pane che scende dal cielo, affinché chiunque ne mangi e non muoia. Io sono il pane vivo che è sceso dal cielo; se uno mangia di questo pane vivrà per sempre; e infatti il pane che darò è la mia carne a favore della vita del mondo”. Queste parole suonavano offensive. “I giudei contendevano perciò fra loro, dicendo: “Come può quest’uomo darci da mangiare la sua carne?” Quindi Gesù disse loro: “Verissimamente vi dico: Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete vita in voi. Chi si nutre della mia carne e beve il mio sangue ha vita eterna, e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.
Poiché la mia carne è vero cibo, e il mio sangue è vera bevanda. Chi si nutre della mia carne e beve il mio sangue rimane unito a me, e io unito a lui. Come il Padre vivente mi ha mandato e io vivo a motivo del Padre, così chi si nutre di me vivrà anche lui a motivo di me. Questo è il pane che è sceso dal cielo. Non è come quando i vostri antenati mangiarono e morirono. Chi si nutre di questo pane vivrà in eterno”. Queste cose le disse insegnando in un’assemblea pubblica a Capernaum. Perciò molti dei suoi discepoli, avendo udito questo, dissero: “Questo discorso è offensivo; chi lo può ascoltare?” Ma Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano di ciò, disse loro: “Vi fa inciampare questo?” (Gv 6:48-59) I discepoli di Gesù avevano dimenticato completamente le origini totemiche dei loro sacrifici.
L’ultima cena
Il motivo per cui alcuni dei discepoli di Gesù inciampavano sentendo le sue parole è che non avevano più idea di quali fossero state in fase primitiva le pratiche rituali attraverso cui ogni gruppo umano e ogni civiltà erano passati. Il cannibalismo appartiene alla sfera degli istinti più remoti della nostra specie che l’evoluzione storico culturale ha combattuto e addomesticato, ma non del tutto cancellato. Nelle società primitive anche l’uomo veniva considerato, come in effetti è, un animale, pur se di rango elevatissimo. Per tale motivo la carne umana era considerata un cibo superiore, assai prelibato. Un importante principio del cannibalismo è quello della metamorfosi. Gli uomini potevano trasformarsi nell’animale totem e viceversa, senza che ciò fosse regolato da alcuna legge, ma solo dal fatto che ognuno è cibo per l’altro. In principio non c’erano confini tra corpo e corpo e tra uomo e animale.
Nelle fasi primitive delle varie civiltà le pratiche cannibaliche rimasero ristrette alla sfera rituale. Lo stretto legame tra antropofagia e religione aveva la sua ragion d’essere in uno scopo essenziale: appropriarsi delle forze superiori dei nemici uccisi e trattenerle nel corpo tramite l’ingestione. Nel corso di una lunga evoluzione storico-culturale le pratiche cannibaliche vennero proibite come qualcosa di appartenente alla barbarie primitiva. La carne umana si trasformava lentamente in uno dei tabù più forti dell’uomo. Ecco dunque che, a ragion veduta, possiamo comprendere le parole di Gesù che nel corso dell’ultima cena, spezzando il pane, disse: “Questo è il mio corpo che è dato per voi.” […] E dopo aver cenato fece lo stesso con il calice dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi.” (Luca 22:19-20) Queste parole diventano chiarissime alla luce del comune passato totemico presente in tutte le civiltà.
Il concetto di transustanziazione
Il principio che regolava il totemismo arcaico e le basi del cristianesimo coincidono, per quanto in maniera sublimata. A questo proposito James Frazer nel libro Il Ramo d’oro scrive: “L’uso di mangiare sacramentalmente il pane come corpo di un dio era praticato dagli Aztechi prima ancora della scoperta e della conquista del Messico da parte degli spagnoli. Due volte l’anno, in maggio e in dicembre, si faceva con la pasta un’immagine del dio Huitzilopochtli che veniva rotta in pezzi e mangiata solennemente dai suoi fedeli. […] Da questo apprendiamo che gli antichi messicani, prima dell’arrivo dei missionari cristiani, conoscevano pienamente la dottrina della transustanziazione […] Tale dottrina circa la trasformazione magica del pane in carne era familiare anche agli antichi ariani dell’India molto prima che apparisse il Cristianesimo. I Bramini insegnavano che le focacce di riso offerte in sacrificio sostituivano esseri umani.
Nella festa del solstizio d’inverno gli Aztechi uccidevano in effige Huitzilopochtli e poi lo mangiavano. L’immagine del dio in forma umana era formata da varie specie di semi impastati con sangue di bambini. Le ossa della divinità erano rappresentate da pezzi di legno d’acacia. L’immagine veniva posta sull’altare principale del tempio e nel giorno della festa il re le offriva incenso. La mattina del giorno dopo veniva tolta dall’altare e messa in piedi in una grande sala. Poi un sacerdote scagliava nel petto dell’immagine un giavellotto, passandola da parte a parte. Ciò si chiamava uccidere il dio affinché si potesse mangiarne il corpo. L’immagine veniva divisa in minuti frammenti e distribuita a tutti i maschi, grandi e piccoli. La cerimonia si chiamava teocalo cioè “dio è mangiato”. (Da Il Ramo d’Oro, J. Frazer, pag 764-767, passim)
Sacrifici umani nelle culture precolombiane
I sacrifici umani furono un aspetto importante della cultura e della religione azteca, nonostante le proporzioni di questa pratica siano tuttora in discussione tra gli studiosi. Gli spagnoli che per primi ebbero contatti con gli indigeni dicono chiaramente nei propri scritti che il sacrificio umano era largamente praticato. Esistono numerose fonti secondarie scritte dai frati che narrano di sacrifici umani, storie raccontate loro dagli stessi nativi americani. Le fonti esistenti descrivono il modo in cui gli Aztechi sacrificassero uomini durante ognuna delle loro 18 festività, una per ogni mese di 20 giorni. Il sacrificio umano diventava il più alto grado di offerta tramite la quale gli Aztechi ripagavano il proprio “debito” nei confronti degli dei. Infatti il nextlahualli (pagamento del debito) era una metafora comune per riferirsi al sacrificio umano.
Per la riconsacrazione del Templo Mayor di Tenochtitlàn del 1487, gli Aztechi affermarono di aver sacrificato circa 80.400 prigionieri durante i quattro giorni di celebrazione. Nondimeno, secondo il codice Telleriano-Remensis, i vecchi Aztechi che parlarono con i missionari citavano un numero di vittime decisamente minore, circa 4.000 totali. Michael Harner, nel suo articolo del 1977 intitolato The Enigma of Aztec Sacrifice, stima il numero di persone sacrificate nel Messico centrale durante il XV secolo fino a 250.000 l’anno. Fernando de Alva Cortés Ixtlilxochitl, discendente dei Mexica, disse che ogni anno un bambino su cinque dei Mexica veniva ucciso. Victor Davis Hanson afferma che la stima di 20.000 persone l’anno fatta da Don Carlos Zumárraga è “più plausibile”. Altri studiosi ritengono che, dato che gli Aztechi tentavano sempre di intimidire i propri avversari, è probabile che le cifre venissero gonfiate come strumento di propaganda.
Lo strano adempimento di un vaticinio
Un fatto particolare relativo alla conquista spagnola delle popolazioni autoctone del centro-America emerge dagli antichi racconti. Inizialmente i popoli indigeni accolsero gli spagnoli come divinità, Aztechi e Inca credettero che le divinità Qetzalcoatl e Viracocha un tempo scomparsi al di là del mare sarebbero tornati per portare a un supremo compimento le loro civiltà. Essi dopo aver insegnato agli uomini a sopravvivere, avrebbero preso il mantello, ne avrebbero fatto una barca e sarebbero salpati. Il loro ritorno, secondo le profezie, sarebbe avvenuto sotto forma di “nuvola bianca” nell’anno Ceacall del Messico e durante il regno del XII Inca Atahualpa, in Perù. Tale periodo corrispondeva grosso modo all’arrivo degli Europei in America. Cortez arrivò in una città di circa 300.000 abitanti, più grande di Londra e Parigi in quel tempo.
Proprio nel 1519, anno dello sbarco di Cortez, secondo le antiche credenze Azteche, era predestinato il ritorno del dio Qetzalcoatl. Montezuma era stato turbato da alcuni sogni premonitori, presagi dell’arrivo di un disastro. Gli Aztechi decifrarono la conquista in chiave magica e nell’ottica profetica del ritorno dal mare del dio Qetzalcoatl. L’8 novembre, nonostante Montezuma disponesse di un grande esercito, Cortés riuscì ad entrare a Tenochtitlán. Una serie di funesti presagi precedette l’arrivo dei conquistadores in città, secondo alcuni predizione della conquista:
- Una cometa apparve in cielo in pieno giorno e una colonna di fuoco di notte.
- Il tempio di Huitzilopochtli venne distrutto dalle fiamme.
- Un fulmine colpì il tempio di Tzonmolco.
- Tenochtitlán subì un’inondazione.
- Si sentì la voce di una donna intonare un canto funebre per gli Aztechi.
- Venne catturato uno strano uccello. Quando Montezuma guardò nei suoi occhi, che erano come specchi, vide uomini che sbarcavano sulla costa.
Sacrifici umani e torture dell’Inquisizione
Al loro arrivo a Tenochtitlán gli spagnoli e Cortés furono accolti con tutti gli onori. Parte della popolazione azteca credeva, come Montezuma, che gli spagnoli fossero degli dei, o messaggeri divini. L’imperatore azteco omaggiò Cortes con ricchi doni e secondo le cronache del tempo gli offrì il suo regno rivolgendosi a lui come se fosse Qetzalcoatl. Tuttavia un’altra parte della popolazione, capeggiata dal fratello di Montezuma, Cuitlahuac, credeva che gli spagnoli non fossero che uomini ambiziosi e violenti. Il colonialismo è pertanto uno dei tanti esempi della prevaricazione in nome del potere e della ricchezza. Autogiustificandosi sul piano morale col pretesto di esercitare una specifica funzione civilizzatrice, ha apportato tremende sofferenze e stragi indifferenziate. Tuttavia il mondo che i conquistadores riuscirono a conquistare era esso stesso corroso da vizi e difetti, “perché tutti gli uomini hanno un cancro che li rode, un escremento giornaliero, un male a scadenza” (Cesare Pavese)
Incredibilmente un impero che poteva disporre di 100.000 soldati solidamente addestrati fu conquistato in poco tempo da uno sparuto gruppo di 700 stranieri arrivati su 11 vascelli equipaggiati con 16 cavalli e 10 cannoni. Ma gli indigeni attribuirono un valore divino a quel gruppo di uomini. Quando arrivarono gli spagnoli con il preciso compito di salvare le anime pagane e porre fine all’obbrobrio dei sacrifici umani, fecero largo uso di brutalità e sottomissione forzata. Avvenne, nel nuovo continente, qualcosa di simile a quanto avvenuto 3000 anni prima in terra di Canaan. Anche gli Israeliti, come gli spagnoli, esercitarono il loro diritto di sottomettere popoli di giganti depravati e crudeli. Ma in definitiva crudeli furono tutti. Il cattolicesimo imperante condannava senza appello i sacrifici umani senza rendersi conto di dover recitare il mea culpa per il terrore dell’inquisizione che usava torture, roghi e assassini per imporre il suo dogma religioso.
