Sciamani e magia – I patriarchi e la Bibbia

Si utilizzavano i principi contenuti nel fungo dell’amanita muscaria per vivere l’estasi e il viaggio degli sciamani

Sciamani e sciamanesimo rappresentano l’esperienza religiosa più antica e perciò decisiva per la comprensione della cultura sapienziale e perfino della prima religiosità dei patriarchi biblici. Il carattere sciamanico di capostipiti come Adamo e Noè emerge dalle Scritture in vari modi, rivelando in primis il loro speciale rapporto con gli animali. Questi si presentano all’uomo di propria iniziativa per ricevere un nome oppure un alloggio. (Ge 3:19-20; 7:8-10) La sensibilità dei primitivi per il regno degli animali è tale che gli uomini si identificano in essi riuscendo a vivere esperienze alterne nei due mondi. La capacità di metamorfosi di un uomo in animale e viceversa dovette essere una sorprendente esperienza dei primitivi. Con la disubbidienza dell’uomo anche il regno animale ne uscì devastato. L’armonia cosmica ne risultava infranta. In Eden per la prima volta un animale fu ucciso e gli uomini ne mangiarono la carne e si vestirono di pelli.

Il primo accesso alla conoscenza fu di tipo magico. Fuori dall’Eden i primogenitori si trovarono nella necessità di avere una guida che li aiutasse a comprendere l’ABC della vita. Come addomesticare un animale, coltivare una pianta, distinguere la pianta buona dalla dannosa, curare una ferita o una frattura? Come prendersi cura di un piccolo appena nato? A quanto si comprende studiando il mondo antico, la mente primitiva era capace di udire le voci dal reame spirituale e riceverne le istruzioni. Il mondo umano era inseparabilmente compenetrato con quello divino e il senso del sacro onnipresente. L’accesso alla trance estatica era stimolato dal ritmo della musica, dalla danza, dall’uso di sostanze euforizzanti. La prima volta in cui nelle Scritture si menziona il vino è quella di cui si legge a proposito di Noè reduce da una brutta sbornia. (Ge 9:20-24)

Una prerogativa regal-sacerdotale

Uno scrittore latino vissuto nel nord Africa nel II sec d.C., Apuleio, autore del famoso romanzo Metamorfosi o l’Asino d’Oro, dovette difendersi in tribunale dall’accusa di magia. Egli sosteneva che la conoscenza magica era stata fin dall’alba dei tempi una prerogativa regal-sacerdotale. Questo sapere era accessibile principalmente agli addetti ai lavori, cioè ai detentori del potere. Nel De Magia, che Apuleio redasse come autodifesa, egli spiega l’importanza del mago nell’antica Persia. La pratica della magia era un’indispensabile competenza dei re. Uno dei titoli di cui un sovrano si poteva fregiare era quello di mago. Nella lingua dei persiani definirsi mago significava essere sacerdote e sciamano e sottintendeva la conoscenza delle leggi di cerimonie, precetti dei riti sacri, norme delle pratiche religiose. Nel mondo moderno, p.e., restano tracce delle origini magico-sciamaniche dei re nelle doti taumaturgiche dei sovrani di Francia o d’Inghilterra che guarivano i malati e particolarmente gli scrofolosi.

Abiti e copricapi di re e papi hanno remote origini dagli sciamani. Pensiamo al manto regale o al camauro di velluto rosso, bordati d’ermellino o alla mozzetta papale, accessori simili a quelli indossati da Babbo Natale, figura sciamanica che viaggia nei cieli trainato da renne. Il camauro, dal latino camelaucum, era verosimilmente il berretto di pelo di cammello dei beduini. Le più alte cariche della magistratura, o i membri del senato universitario, sfoggiano ancora mantelli con pelliccia di ermellino. Sciamano è personaggio che nel sistema di credenze arcaico, fa da ponte (di lì il temine pontefice) fra il mondo umano e quello spirituale, dotato di poteri magici, taumaturgici e divinatori. Quella dello sciamano è figura universalmente diffusa, presso tutti i popoli, estesa tanto nel tempo — dalle origini ancestrali della civiltà fino a oggi — quanto nello spazio — dagli sciamani dei popoli nativi nordamericani a quelli aborigeni, a quelli asiatici, agli africani.

Sciamani nel mondo ebraico

Se volessimo cercare figure affini nel mondo biblico le potremmo facilmente individuare in profeti, re o sacerdoti. L’etimologia del termine passa attraverso il germanico shaman e il russo šaman, da šamān, termine tunguso, che a sua volta finisce per risalire al sanscrito śramana ‘monaco’, e forse al cinese Shamen ‘asceta buddista’. Sciamano è colui che è “sconvolto”, “turbato”, “trasportato”, o anche “colui che sa”. Nella Bibbia potremmo trovare tratti sciamanici nei patriarchi, da Noè a Giacobbe, nei condottieri, nei giudici, nei re, passando da Saul a Davide a Salomone, nei profeti, da Samuele ad Elia. A conferma proporrei pochi esempi di stati mentali alterati quali, oltre all’ebbrezza di Noè già citata, le mandragore psicotrope di Rachele, (Ge 30:14-15) la musica, la danza, la finta pazzia del re Davide e la licantropia di Nabucodonosor. (Cfr. 1Sa 8:21; 2Sa 6:14-23; Da 4:33)

Vorrei tentare un’ulteriore chiave etimologica per il termine sciamano a partire dal nome che Lea impartì al figlio Simeone, quando disse: “Il Signore ha udito che io ero trascurata e mi ha dato anche questo”. (Ge 29:33) Il nome Simeone deriva dal verbo shama, udire, che è un epiteto particolare della divinità. Il verbo è legato al rapporto con Dio, colui che “ascolta”, ed ha di conseguenza una diretta relazione con l’ubbidienza dell’individuo che ode ed agisce. (Ge 22:18 [šā-ma‘-tā]) Lo sciamano è un uomo “chiamato”, uno che “ascolta” e comprende le parole degli spiriti, oltre a quelle di animali e di uccelli. Sciamano è anche uno che di solito riceve un nome nuovo, come succede ad Abramo che dopo il patto iniziatico con Geova diventa Abraamo, (Ge 17:5) a Sarai che diventa Sara, (Ge 17:15) a Giacobbe che dopo la lotta con l’angelo diventa Israele. (Ge 32:28)

Canto notturno di un pastore errante dell’Asia

C’è un poeta italiano, Giacomo Leopardi, che scrivendo un Inno ai patriarchi invidiava le condizioni di vita in cui originariamente gli uomini dei primi tempi vivevano in simbiosi con la natura. Egli elabora una visione della storia molto pessimista. Nei bellissimi versi del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia si leggono parole sconsolate: “Dimmi o luna: a che vale/al pastor la sua vita, /la vostra vita a voi? Dimmi: ove tende/ questo vagar mio breve, / il tuo corso immortale? / […] / Questo io conosco e sento, / che degli eterni giri, / che dell’esser mio frale, / qualche bene o contento / avrà fors’altri; a me la vita è male. Questi pensieri tragici segnano lo spartiacque tra lo sciamano-patriarca della Bibbia e quelli appartenenti alle diverse culture. Questa differenza è assolutamente da sottolineare, per non far di ogni erba un fascio.

Assolutamente, ho detto: le debite distinzioni vanno fatte. Anche se in principio la religiosità dei patriarchi appare ancora primitiva e spesso contigua a quella popolare, si giungerà in seguito, con la legge mosaica e i profeti, a proibire alcune delle forme di culto più arcaiche come magia, stregoneria, uso di terafim o il remotissimo culto alle colonne sacre. (Ge28:18; Le26:1; Dt16:22; 1Sa15:23) Chiediamoci allora, qual è la vera distinzione tra lo sciamanesimo di matrice popolare e il “profetismo” biblico? La differenza sta nella speranza messianica del riscatto, del futuro ricupero della situazione perduta con la disubbidienza e il peccato. È, in poche parole, la distinzione tra Cristo e Belial, tra la tavola di Geova e quella dei demoni, il tempio di Dio e gli idoli, tra la salvezza messianica e la Paciamama recentemente elevata agli onori del Vaticano. (1Cor 10:20-21; 2Cor 6:15) Fatta questa considerazione tutto diventa più chiaro.

Prima che io ti formassi nel ventre ti conobbi

Se volessimo individuare i punti di contatto tra profetismo ebraico e sciamanesimo in generale individueremmo i seguenti punti: la chiamata, la trance estatica, la metamorfosi, il viaggio, il combattimento con un essere spirituale. Per quanto concerne il mondo ebraico l’autorità è la Bibbia mentre per il mondo esterno un testo particolarmente documentato, tra gli altri, a cui il lettore potrebbe fare riferimento è Lo sciamanesimo e le tecniche dell’estasi di Mircea Eliade. Portiamo degli esempi. A proposito di Geremia, nella Bibbia si legge che Geova gli disse queste parole: “Prima che io ti formassi nel ventre ti conobbi, e prima che tu uscissi dal seno ti santificai. Ti feci profeta alle nazioni”. (Ge 1.2-5) Qui parte un discorso particolare. La domanda è: nei casi in cui una nascita viene annunciata da un angelo, a che tipo di natività stiamo assistendo?

A somiglianza della nascita messianica anche quella di Sansone viene annunciata a Manoa. Nelle Scritture i casi di nascite simili si ripetono. L’apostolo Paolo in Galati 1:15 era consapevole di essere stato separato dal seno della madre dallo stesso Dio che in seguito l’avrebbe chiamato per farne un apostolo. Anche Davide rivela qualcosa di simile quando dice: “Mi tenesti coperto nel ventre di mia madre”. (Sl 139:13-16) Personaggi di questo genere sono carismatici. Prendiamo Samuele. Sua madre Anna è sterile e si rivolge alla misericordia divina nel tempio in presenza del sommo sacerdote. Quando svezza il figlio lo porta al tempio come nazireo. In seguito Dio si indirizza a lui per farne un profeta. Ancora, Saul in cerca delle asine smarrite di suo padre si rivolge a Samuele per ritrovarle. Anche fuori d’Israele per trovare una persona o un animale smarrito ci si rivolgeva allo sciamano. (1Sa 9:6,20)

Uomini dotati di capacità divine?

È possibile pensare che personaggi straordinari, destinati a svolgere ruoli di particolare rilievo abbiano ricevuto un’impronta spirituale fin dal concepimento? (Cfr Ef 1:4-5) Li potremmo definire come degli avatar, uomini geneticamente superiori, dotati di capacità divine? I profeti beneficiavano di doni speciali arrivando perfino ad operare risurrezioni, guarire malattie come la lebbra, restituire la vista ai ciechi, etc. La mia opinione è che uomini come Noè, Abramo, Paolo o Pietro ricevettero per nascita doni speciali, un DNA modificato. Volendo allargare l’argomento al mondo classico, Aristotele ci informa che Pitagora era un’incarnazione di Apollo, e Giamblico aggiunge che il dio decise di incarnarsi per il beneficio degli umani. Le fonti greche ci parlano di figure quali quelle di Abaris, Aristea, Epimenide, Ermotimo ed altri a cui si attribuivano doti di veggenza, capacità di indurre stati estatici, poteri taumaturgici con cui si esprimevano le loro qualità ‘divine’.

Questi erano uomini ritenuti ‘divini’, sapienti le cui conoscenze potevano essere benefiche per i singoli e per intere città. Ad Aristea si attribuiva un’invulnerabilità alla morte, e un’ascensione diretta al cielo. Egli era morto in una fabbrica per cardare la lana. Ma aperta la bottega, Aristea non venne trovato né morto né vivo. Di questo narra Apollonio Paradossografo: “E si tramanda che Aristea del Proconneso, quando morì in una gualchiera del Proconneso, fu visto in Sicilia nello stesso giorno e nella stessa ora da molte persone, mentre faceva scuola. Per cui, essendogli spesso accaduta la stessa cosa, divenuto famoso lungo molti anni ed essendo apparso più di frequente in Sicilia, i Siculi gli consacrarono un tempio e sacrificarono a lui come a un eroe” (Storie miracolose, 2, 44). Questa ascensione in cielo che sottrae personaggi straordinari al destino mortale era riferita anche ad altri re latini e nella Bibbia.

Noè e gli Anakim

La situazione di Aristea di Proconneso ricorda il trasferimento di Enoc in Ge 5:24, Gda 14,15 e quello di Elia. Enoc, dopo aver camminato con il vero Dio, fu trasferito in modo da non vedere la morte. (Ebrei 11:5) Secondo Strabone, Aristea sarebbe stato maestro di Omero. Per Erodoto sarebbe stato posseduto da Apollo e lo avrebbe seguito sotto forma di corvo fino alle regioni Iperboree. Dunque chi era veramente Aristea? Non si potrebbero individuare in lui i tratti di un antico personaggio biblico, Noè? Nella mitologia greca, un altro personaggio, Aristeo, era figlio di Apollo e insegnò agli uomini la coltivazione della vite e l’apicoltura. A Siracusa egli ebbe una statua nel tempio di Dioniso. Ricordiamo che Noè, finito il diluvio, mandò un corvo a verificare il livello delle acque ed egli è associabile a Dioniso in quanto primo a coltivare la vigna.

Verosimilmente Noè, nel corso del tempo, si stabilì a Ebron ovvero Kiriat-Arba (città-di-quattro), che divenne un centro base dei patriarchi. Lì morì Sara. Abramo e Isacco vi risiedettero e Giacobbe venne lì ad incontrare suo padre e vi rimase (Ge 13:18; 23:2; 35:27; 37:14) Di Chiriat-Arba Giosuè 14:15 legge: “Il nome di Ebron era prima Chiriat-Arba ([tale Arba era] il grande uomo fra gli anachim).” Chi era tale Arba di cui si apprende essere “l’uomo più grande fra gli anachìm”? Suggerirei un nome soltanto: Noè, che con i figli erano quattro. Giosuè aggiunge che “a Caleb figlio di Iefunne diede una parte in mezzo ai figli di Giuda per ordine di Geova a Giosuè, cioè Chiriat-Arba ([essendo tale Arba] il padre di Anac), vale a dire Ebron.  Caleb cacciò dunque di là i tre figli di Anac, cioè Sesai e Ahiman e Talmai, quelli nati ad Anac.” (Gsè 14:15; 15:13-14)

Personaggi di alta statura

Chi erano questi? Essi, vale a dire Anac, Sesai e Talmai, erano probabilmente discendenti di Noè. Finiamo così per associare personaggi mitici a personaggi reali.  In Numeri si racconta di come le spie mandate in esplorazione al paese di Canaan tornarono da Ebron, vale a dire Chiriat-Arba. “Saliti nel Nègheb, arrivarono a Èbron (edificata sette anni prima di Zòan in Egitto), dove vivevano Ahimàn, Sesài e Talmài, gli anachìm. Quando arrivarono alla Valle di Escòl, tagliarono un tralcio con un grappolo d’uva, che due di loro dovettero portare con una sbarra, e presero anche melagrane e dei fichi.  Quel luogo fu chiamato Valle di Escòl a motivo del grappolo che là gli israeliti avevano tagliato.” (Nu 13:22:24) La presenza nel luogo di spettacolari frutti dell’uva è un forte segnale indicativo. L’uva rimanda sempre a Noè. Escòl significa semplicemente grappolo.

I noachidi furono gente più grande e più alta dei semplici mortali? Deuteronomio legge: “Un popolo più grande e più alto di noi, città grandi e fortificate fino ai cieli e anche i figli degli anachim vi abbiamo visto”’. (Dt 1:28; 9:2) Perché mai i discendenti di Noè avrebbero dovuto essere dei giganti? Chi era Noè? Non è facile rispondere a questa domanda, ma supponiamo che fosse un avatar. Suo padre Lamech aveva avuto qualche forma di annunciazione riguardo a questo figlio? Probabilmente, infatti gli diede un nome altamente profetico. Genesi 5:28:29 legge: E Lamec viveva per centottantadue anni. Quindi generò un figlio. E gli metteva nome Noè, dicendo: “Questi ci recherà conforto dal nostro lavoro e dal dolore delle nostre mani derivante dal suolo che Geova ha maledetto”. Poi si legge: “Noè fu uomo giusto. Si mostrò senza difetto fra i suoi contemporanei.” (Ge 6:9) Egli camminava con Dio.

Ebron

La città di Ebron rimase centrale nella storia d’Israele essendo stata la prima capitale di Giuda, costante punto di riferimento di Davide che solo più tardi si trasferì a Gerusalemme. A Ebron Davide fu unto re su Giuda. (2Sa 2:1,4) Quel nome significa confederazione o lega. Da Ebron evidentemente uscirono pure i figli di Sem da cui derivarono i figli di Eber. Da lui nacquero Tera ed Abramo. Che specie di genti furono queste? Difficile rispondere. Erano sorta di predestinati? Questo genere di ragionamento è sostenibile alla luce delle scritture? Efesini 1:4 ben esprime il concetto di elezione quando, a proposito dei “chiamati” dice che Dio “ci elesse unitamente a lui prima della fondazione del mondo, affinché fossimo santi e senza macchia dinanzi a lui nell’amore.” Sappiamo dalle Scritture che i discendenti di Noè presto si allontanarono dalla via prescritta coalizzandosi nella costruzione della torre di Babele.

I Noachidi scelsero alleanze matrimoniali esogamiche, cioè miste. Essi si unirono con popoli preesistenti di grande costituzione, come gli emin, gli orei, i refaim… (Ge 14:5-6) I discendenti di Abramo contrassero invece matrimoni endogamici, all’interno della stessa famiglia. Essi non si mischiarono con popoli nati dai giganti e la loro statura non prese le proporzioni degli anakim. Non sono un’esperta in genetica umana, ma una qualche simile spiegazione dovrebbe prima o poi saltar fuori. Ciò che mi pongo invece è una semplice domanda: i prescelti da Dio nei tempi biblici erano soltanto persone comuni come possiamo esserlo noi? Penso per esempio a Sansone. Evidentemente in lui c’era una prestanza fisica particolare. In Giudici 16:28 si legge che, dopo avere invocato Geova, egli si appoggiò contro le due colonne di mezzo facendo sì che la casa di Dagon crollasse. Sansone non era un tipo qualsiasi. In lui agivano forze poco comuni.

Conclusione

Il libro della Genesi racconta fatti molto lontani da noi sia temporalmente che culturalmente. Ciò che balza alla mia attenzione è il fatto che la costituzione fisica e mentale di certi particolari uomini sembrerebbe molto diversa dall’uomo contemporaneo ordinario. Per comprendere a fondo questi enigmi si deve comprendere la mente primitiva ed arcaica e i processi interni all’elezione divina. Romani 9:8 a proposito della gravidanza gemellare di Rebecca contiene una frase interessante: “I figli della carne non sono realmente i figli di Dio, ma i figli della promessa sono considerati come seme.” Queste parole sembrerebbero allusive del fatto che gli uomini prescelti da Dio non sono semplicemente carne ma Geova infonde in essi speciali poteri. Tra l’altro, questo mi lascia intendere che il Cristo non fosse semplicemente il figlio dell’uomo, come alcuni sostengono, ma che in lui coesistessero le due nature, l’umana e la divina.

 In Colossesi 2:9 si legge che “in lui dimora corporalmente tutta la pienezza della qualità divina.” Il Cristo possedeva facoltà che solo quelli generati da Dio possono esercitare.  Come il Serpente ha generato figli malvagi in grado di stupire il mondo con le loro pratiche, così Geova poté generare uomini in grado di tenervi testa. Pensiamo a Mosè alla presenza di Faraone, quando gli stregoni furono in grado di replicare il prodigio della verga mutata in serpente. In Esodo si legge: “Aaronne gettò pertanto la sua verga davanti a Faraone e ai suoi servitori ed essa divenne una grossa serpe. Comunque, anche Faraone chiamò i saggi e gli stregoni […] Gettarono dunque ciascuno la sua verga, ed esse divennero grosse serpi; ma la verga di Aaronne inghiottì le loro verghe. (Es 7:10-11) In questa scena assistiamo ai prodigi di cui erano capaci gli sciamani d’Egitto e i profeti di Dio.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *