La lotta di Giacobbe con l’angelo

Giacobbe e l’angelo – Delacroix

La lotta fu aspra. L’uomo, dopo lunga assenza, stava tornando a casa, in Canaan, direzione Ebron. (Ge 31:3; 35:27; 37:14) Era per Giacobbe un momento di estrema incertezza, a causa dell’incontro con suo fratello Esaù ormai imminente. (Ge 32:7) Si rivolse a Dio con suppliche. Poi fece attraversare alla famiglia e agli armenti il torrente Iabbok e, ultimate le operazioni necessarie, si trovò solo. Allora “un uomo venne alle prese con lui fino a che ascese l’aurora.” In seguito Osea annota: “E Geova ha una causa con Giuda, anche per chiedere conto a Giacobbe secondo le sue vie; secondo le sue azioni lo ripagherà. Nel ventre afferrò suo fratello per il calcagno, e con la sua energia dinamica contese con Dio. E continuò a contendere con l’angelo e gradualmente prevalse. Pianse, al fine di implorare per sé favore”. (Osea 12:2-4) Queste parole echeggiano imponenti, ma impenetrabili.

Cerchiamo di inquadrare la vicenda. Intanto vorrei individuare una prima chiave di lettura. La lotta con l’angelo potrebbe rappresentare una prova iniziatica di passaggio? Prendiamo per esempio il combattimento dei Sumo giapponesi. Siamo al corrente del fatto che i Sumo, uomini dal corpo gigantesco, si esercitano tuttora in combattimenti ritualistici di origine shintoista. Era in principio una danza in cui si simulava il combattimento tra un uomo e uno spirito. Si trattava di un combattimento di derivazione sciamanica accompagnato da preghiere per ottenere raccolti abbondanti. Questa disciplina marziale ritornò in auge agli inizi del VI secolo d.C. come forma di intrattenimento per le divinità e la classe regnante, ossia come un revival di tradizioni antichissime.

La lotta come prova iniziatica

La maggior parte delle prove iniziatiche implica una morte rituale seguita da una resurrezione o nuova nascita. I novizi sono isolati in capanne che rappresentano il corpo di un mostro o di un animale acquatico da cui sono ingoiati e da cui usciranno quando saranno rinati o resuscitati. Si pensi al caso di Giona. Colui che ritorna alla vita è un uomo nuovo, in quanto la morte iniziatica rappresenta il passaggio a una nuova fase di vita, a un nuovo modo di essere. Le esperienze sciamaniche sono di tipo estatico e a volte avvengono in sogno. Sono visioni, rapimenti, acquisizione di tecniche e conoscenza dei nomi e delle funzioni degli spiriti da invocare. È in sogno che si raggiunge il sacro per eccellenza e che si stabiliscono i rapporti diretti con il divino. Noi non sappiamo se la lotta di Giacobbe avviene nella realtà o nel sogno.

Si tratta di un momento di angoscia, in cui il patriarca, lontano dal padre ormai da vent’anni, ritorna alla terra di partenza. Non sappiamo se sua madre Rebecca viva ancora. Giacobbe teme l’incontro con il fratello Esaù a cui ha carpito la primogenitura e la benedizione paterna, teme per la propria incolumità e per quella delle mogli e dei figli. È lì che emerge dall’ignoto un uomo con cui egli si trova necessitato a lottare di una lotta impari, una lotta a cui è impossibile sottrarsi. Egli vive quindi una prova di tipo iniziatico. Uno dei temi più frequenti presente in tali esperienze è quello dello smembramento del corpo seguito da un rinnovamento degli organi interni e dei visceri. Non a caso Giacobbe ne esce menomato nella sfera più sacra, il nervo sotto la coscia. Sarà a quel punto che egli entrerà a far parte del pantheon degli antenati totemici. Mangiare quel nervo diventa tabù.

Geova chiederà conto a Giacobbe secondo le sue vie

Osea 12:2 nel passo citato sopra legge “E Geova ha una causa con Giuda, anche per chiedere conto a Giacobbe secondo le sue vie; secondo le sue azioni lo ripagherà” e qui usa un’espressione quantomeno ambigua. È vero che Giuda e Giacobbe sono rappresentative dei due regni, quello meridionale e quello a settentrione, eppure il giudizio divino sul patriarca non sembra del tutto scontato. La Scrittura letteralmente dice: “Geova punirà Giacobbe” Perché mai usare un’espressione così forte? Geova conosceva la buona volontà di Giacobbe tuttavia ne vedeva anche l’imperfezione. Egli sa che nell’intimo del genere umano c’è una macchia indelebile che per quanto un uomo si sforzi non potrà mai cancellare. Tuttavia Geova ama Giacobbe e odia Esaù. (Ro 9:13; Mal 1:2-3) Osea scrive che Giacobbe “con la sua energia dinamica contese con Dio”.

Chi era l’uomo con cui Giacobbe ingaggiò lotta quella notte? Uno scrittore osserva: “Giacobbe sta fuggendo davanti al fratello Esaù e deve attraversare lo Iabbok, un affluente del fiume Giordano. Il guado di un fiume è cosa difficile e faticosa, soprattutto quando non si è soli, ma si ha con sé una carovana imponente: mogli, figli, servi, bestiame grosso e minuto… Giacobbe lavora tutto il giorno e alla fine è stanchissimo, spossato. Ma il pericolo persiste: il fratello è alle calcagna con un piccolo esercito. Che cosa succederà? Sarà per lui la fine? Ha trascinato i suoi cari in una avventura senza uscita?” Allora lo scrittore si chiede: perché mai Giacobbe, anziché seguire i suoi al di là dal fiume, si trattiene solo nel buio della notte così da trovarsi di fronte a quello sconosciuto? La lotta di Giacobbe con l’Angelo di Dio | Opus Mariae Matris Ecclesiae

Lutero

In merito alla contesa tra Giacobbe e l’uomo con cui egli si scontra quella notte, Lutero scrive parole degne di menzione. Ne presento qui una traduzione. “Diversi punti di vista devono essere considerati circa la natura di quella lotta. Il racconto illustra una circostanza in cui Giacobbe si trovò a rischiare la propria vita, quando fu assalito da un antagonista sconosciuto. Egli perciò ce la mise tutta per uscirne vivo. Tuttavia egli non reagì solo con la forza fisica, ma anche la fede ne risultava implicata: prima di tutto in quel momento di pericolo, egli sapeva che Dio gli aveva imposto l’ordine di tornare alla terra di Canaan [e verso quella terra egli si stava muovendo in obbedienza.]

Allora egli con tutto il cuore si aggrappò alla promessa che il Signore gli aveva fatto in Bethel, dove gli era stata assicurata la protezione divina. Perciò quando si trovò nello sconforto e assalito da un nemico sconosciuto che lo attaccava con tanto vigore, egli pur opponendosi con tutta la propria forza, tuttavia più vigorosamente confidava nella fede, ricordando la promessa, e arrivando a concludere che certamente quello stesso Dio, secondo la sua promessa, l’avrebbe salvato. E con questa fede, per così dire, egli prevalse su Dio. E benché Cristo mettesse alla prova Giacobbe in questo conflitto, tuttavia non poté fare niente in opposizione alla propria parola, nella quale Giacobbe confidava.”

Categorie morali antiche e contemporanee

Siamo abituati a semplificare, tentati di valutare i personaggi e gli avvenimenti delle Scritture secondo le categorie morali a noi contemporanee. Ma queste non sono affatto le categorie di quella cultura e di quel tempo. Noi applichiamo il nostro concetto del bene e del male che non coincide affatto col punto di vista di Dio, né di quegli uomini arcaici. Quando facciamo questo nei riguardi dei fatti storici del passato sbagliamo completamente giudizio. Questo succede così spesso che alla fine ci troviamo del tutto fuori strada. Ricordiamo che le Scritture sono un libro trasversale interno alla storia della psiche umana, che racconta di una mentalità che si evolve a partire dall’Eden per giungere al primo secolo d.C., dalla Genesi all’Apocalisse. Sono oltre 4000 anni condensati in circa 1500 pagine. Spesso fatti di enorme rilevanza sono dati per scontati e non vengono chiariti al lettore. Toccherebbe a lui farli emergere.

Nel nostro chiacchiericcio banalmente quotidiano adottiamo i nostri miopi criteri nei confronti di un libro sapienziale antichissimo. Naturalmente finiamo per dire sciocchezze, per rigettare tutto ciò che si discosta dal nostro poco lungimirante punto di vista. Così facendo finiamo per escluderci dalla comprensione di fatti fondamentali a livello cosmico e universale. C’è una frase di Einstein che voglio citare e che dice: “C’è sempre una soluzione facile per un problema complesso ed è quella sbagliata.” Ecco la Bibbia è un problema complesso, irriducibile, inconfrontabile con le nostre limitate categorie. Quindi dare un giudizio stroncatorio e unilaterale sulle Scritture è una soluzione facile e quindi sbagliata. Bisogna collocare i fatti narrati nelle Scritture nel loro contesto, bisogna conoscere quali erano gli istituti sociali di quel tempo. Per comprendere tutto questo è utile fare riferimento a scienze molteplici, non solo l’ermeneutica o la linguistica ma l’antropologia, le fiabe, il mito, il folklore.

Le tentazioni di sant’Antonio Abate

Sulle tentazioni del demonio affrontate da Gesù nel deserto molto è stato scritto. Sulla scorta di tale racconto evangelico fiorirono nel corso del tempo storie e leggende di tentazioni affrontate da eremiti ed asceti in solitudine nelle selve. Per esempio si narrano le tentazioni di sant’Antonio sperimentate nel deserto e la persecuzione dei diavoli nei suoi confronti. Numerose interpretazioni artistiche sono state elaborate su questo tema. Nel ‘400-‘500 nacquero rappresentazioni da incubo in cui gli artisti raffiguravano storie piene di mostri e figure spaventose, vere e proprie rappresentazioni dell’orrore. Tra questi vi è la rappresentazione delle tentazioni di sant’Antonio. Per esempio Grünewald, (1450-1580? – 1528), pittore tedesco noto per la drammaticità con cui ha trattato scene di carattere religioso, eseguì su questo tema una tavola feroce. Le tentazioni cui l’abate era stato sottoposto dal demonio, erano rappresentate sotto forma di bestie ibride e mostruose.

Il santo viene rappresentato a terra, mentre un essere spaventoso lo trascina per i capelli; altri mostri lo tormentano con bastoni, prendendolo a calci e morsi, ispirando un dolore fisico rappresentativo di un altrettanto crudele dolore spirituale. In primo piano è visibile un uomo che presenta sulla pelle bubboni e segni evidenti di una malattia tipo l’herpes zoster, per la cui cura il santo veniva invocato. È una figura antropomorfa, che funge da richiamo al bruciore spasmodico che i malati avvertono quando affetti dal fuoco di sant’Antonio. Similmente funge da richiamo al fuoco sacro la casa che brucia in secondo piano, circondata da esseri demonici che volano in cerchio. E se poi volessimo considerare l’Antonio abate di Bosch scopriremmo anche lì notevoli agganci. Quelle tentazioni assumono di diritto un valore iniziatico. La storia umana fin dagli albori è stata una storia di sangue. L’uomo dagli inizi imparò a ubbidire agli spiriti per mezzo della violenza.

Aspetti della psicologia primitiva

Il resoconto delle battaglie di Antonio abate contro il demonio ci viene narrato dal vescovo di Alessandria, Atanasio, che scrisse una biografia dell’anacoreta da lui conosciuto personalmente. Atanasio scrisse: «Il posto sembrò esser sconquassato da un terremoto, ed i demoni, quasi abbattessero le quattro mura del ricovero sembravano penetrare attraverso esse, ed apparire in forma di bestie e di cose striscianti. Il posto si riempì improvvisamente di forme di leoni, orsi, leopardi, tori, serpenti, aspidi, scorpioni, ed ognuna di esse si muoveva in accordo alla sua natura». Si è giustamente osservato che nei cosiddetti secoli bui le prediche sui demoni costituiscono un grandioso esempio di psicologia cristiana. Per comprendere queste espressioni dobbiamo entrare nel loro significato psicologico tenendo presente che il tempo di questi personaggi non è il nostro tempo, il loro spazio non è il nostro spazio e quindi per capirli dobbiamo entrare nella loro logica.

Non si possono capire molti aspetti dell’Antico Testamento e in particolare la Genesi se non si conoscono i principi basilari del totemismo e dello sciamanesimo. Questi due sistemi costituirono il fondamento delle società tribali e il substrato da cui emersero le religioni. Furono strumenti necessari per compattare insieme le società primitive, prima e dopo il diluvio. In modi davvero brutali quegli uomini impararono la sopportazione al dolore e alla fatica, a esercitare pazienza, a vivere nella schiavitù, nella violenza, nella sopraffazione, caratteristiche che noi difficilmente sappiamo ancora esprimere o anche solo comprendere. C’era solo la forza, non c’erano istituzioni democratiche che partivano dal basso ma pesanti forme d’imposizione dall’alto. Certi aspetti di questa mentalità sopravvivono nelle fiabe, storie raccontate di generazione in generazione intorno al falò nelle grotte o intorno al focolare. Bisogna perciò capire la religione antica, l’origine magica della conoscenza, l’aspetto visionario ed onirico della psicologia arcaica.

La capanna sulle zampe di gallina di Baba Jagà

La Baba Jagà è una vecchia strega che vive nei boschi delle fiabe e che divora quelli che giungono a lei. Della Baba Jagà si racconta che è il tramite tra il regno dei morti e quello dei vivi. È una casa terrificante, si muove su due zampe di gallina e chi si avvicina viene trattato assai male: le betulle gli sferzano il viso, i cani cercano di azzannarlo, i gatti gli graffiano gli occhi. Ma se gli eroi conoscono le parole magiche e hanno i mezzi giusti vi possono entrare. Udite le parole giuste il gioco è fatto, la casetta farà una giravolta e aprirà agli ospiti i suoi battenti. Nella fiaba Ivan Bovino tre eroi si avventurano nel bosco e ad un certo punto si trovano di fronte la capannuccia su zampe di gallina.

Pronunciano le parole magiche ed entrano senza alcun impedimento: “Casetta, casetta, volta a noi il visetto, al bosco il culetto, facci strisciare dentro, mangiare a piacimento. La casetta fece una giravolta ed i bravi giovani entrarono”. A quella casetta, un vero antro maledetto, affluivano i giovani puberi per affrontare le prove iniziatiche preliminari all’ingresso al mondo degli adulti e al matrimonio. Erano prove durissime che prevedevano varie forme di tortura e di sacrificio fisico che portavano il giovane allo stremo delle proprie forze e alla sensazione della morte. Lo stesso genere di prove era consueto per accedere ai doni sciamanici di conoscenza, visione e capacità taumaturgiche nella cura della malattia fisica o spirituale. Queste prove legate al tormento fisico sperimentato nella capannuccia sono ben espresse nei quadri di Grünewald e Bosch sulle tentazioni di sant’Antonio.

L’anatra e il viaggio iniziatico

Qui intendo applicare al racconto biblico criteri interpretativi che di solito si applicano ai testi letterari e alle fiabe. Numerose opere letterarie narrano di viaggi iniziatici in svariati luoghi, ad esempio per mare nel caso di Giona o di Pinocchio, oppure nel bosco. È lì nel bosco che si svolgono riti magici e iniziatici. Infatti per una lettura iniziatica di un testo è di notevole importanza prendere in esame il paesaggio poiché partecipa in modo attivo alla trasformazione dei protagonisti. La fiaba è strettamente collegata con i riti iniziatici. Dividendolo in scene il racconto prende questo andamento: 1) si parte dalla casa paterna in cui ha inizio la storia 2) si giunge al luogo dove l’eroe vaga prima di poter tornare al luogo d’origine 3) c’è un fiume da attraversare prima del ritorno 4) ritorno all’origine. Questi passaggi sono ben documentati nella storia di Giacobbe. L’attraversamento dello Iabbok rappresenta lo spartiacque, la divisione tra due mondi: quello dei morti e quello dei vivi. Lo Iabbok corrisponderebbe al Lete dei greci e dei latini.

Nella fiaba di Hansel e Gretel si legge:

… Ma dopo aver camminato per due ore, giunsero ad un largo fiume […] “Non possiamo attraversarlo” disse Hansel, “non vedo l’ombra di un ponte”. “E’ non c’è nemmeno una barchetta” disse Gretel “ma guarda là quell’anatra bianca: proverò a chiederle che ci aiuti”. E cantò: “Cara anatrina, cara anatrella, Hansel e Gretel son fermi qua: non c’è barchetta né passerella, vuoi tu portarli presto di là?”

Udite queste parole, l’anatra (rappresentazione di uno spirito ultraterreno) si avvicina e li trasporta dall’altra parte del fiume, luogo di rinascita. Il fiume è un ostacolo da superare, un mezzo per raggiungere un altro luogo, l’altra sponda. L’attraversamento è un momento decisivo per ritornare alla casa dei genitori. Quando vi arriveranno saranno persone nuove, più mature e pronte per vivere una nuova vita. Quando poseranno il piede sulla nuova terra, il viaggio di trasformazione sarà concluso.

L’angelo di Satana nelle Scritture

Paolo in 2Co 12:7-9 accenna ad un angelo di Satana che gli ha impresso una spina nella carne affinché non si esaltasse per l’abbondanza delle rivelazioni ricevute. “Perciò, affinché non mi sentissi troppo esaltato, mi fu data una spina nella carne, un angelo di Satana, che mi schiaffeggiasse, perché non fossi troppo esaltato.  A questo riguardo supplicai tre volte il Signore affinché essa si allontanasse da me; eppure realmente mi disse: “Ti basta la mia immeritata benignità; poiché la [mia] potenza è resa perfetta nella debolezza”. Lietissimamente, perciò, mi vanterò piuttosto delle mie debolezze, affinché la potenza del Cristo rimanga come una tenda su di me.” Anche gli scrittori e filosofi pagani presupponevano l’esistenza di creature soprannaturali intermedie tra gli uomini e gli dèi, ma le chiamavano demoni (δαίμονες), non angeli (ἄγγελοι).

L’imperatore Giuliano l’Apostata nomina questi esseri “angeli del sole” (τῶν ἡλιακῶν ἀγγέλων), manifestazioni di quella somma divinità che per i pagani era il Sole. Nel racconto della Genesi si legge “E il sole cominciò a rifulgere su di lui appena passò vicino a Penuel, ma zoppicava sulla coscia”. Dunque come intendere l’identità dell’uomo che di notte entra in combattimento con Giacobbe? Probabilmente si tratta di un essere ctonio, uno spirito demonico. Per questi esseri dal contorno sfuggente non si hanno termini corrispondenti nel lessico latino: Cicerone, traduttore del Timeo platonico, propone, con qualche dubbio, la resa con Lares (cap. 38): Reliquorum autem, quos Graeci δαίμονας appellant, nostri, opinor, Lares, si modo hoc recte conversum videri potest, ovvero «Delle altre creature, che i Greci chiamano daimones, e i Latini Lari, se questa traduzione può sembrare corretta».

Gli spiriti dei morti liberi una volta all’anno dal tramonto all’aurora

 Giacobbe lottò fino all’aurora. L’uomo gli disse: “Lasciami andare, perché è ascesa l’aurora”. Presso i celti alla fine di ottobre ricorreva la notte magica in cui si pensava che un esercito di spiriti, (eroi trapassati e dei dell’oltretomba) vagassero sulla terra dei viventi. Era prevista in quel giorno la visita delle anime morte nelle case dei vivi. In quella notte la separazione fra il mondo dei morti e quello dei vivi si faceva meno netta, sino a permettere agli spiriti di tornare sulla terra, cosicché dal tramonto all’alba, il regno dei vivi diventasse possesso del regno dei morti. Per i romani questa era la festività del Mundus patet, quando l’apertura del mundus, una fossa circolare che Romolo aveva scavata come rito di fondazione, il perimetro delle mura cittadine, veniva aperto mettendo in comunicazione il mondo dei vivi con quello dei morti.

Dunque l’uomo che si intrattenne con Giacobbe quella notte chi era? La sua identità non è rivelata ma il risultato di quella lotta rimase impresso nella carne di Giacobbe. Egli divenne in quell’occasione un antenato-totem, uno che sarebbe entrato a far parte del mondo dei Lari, secondo il concetto di quella famiglia uno dei terafim. Sappiamo che questo punto di vista fu in seguito condannato dalle Scritture che dichiarano la non esistenza dei morti che sono inconsapevoli. (Ec 9:5) Tuttavia noteremo che Giacobbe aveva aperto ai demoni una porta pericolosa in quanto tollerava nell’accampamento i lari di Labano, i terafim, che Rachele aveva sottratto al padre di nascosto e lasciava inoltre che i servitori tenessero nell’accampamento idoli stranieri. (Ge 35:2,4) La conseguenza di questo genere di idolatria non si fece troppo aspettare in quanto sua figlia Dina prendendo parte a una festa iniziatica portò sul padre amarezza e vergogna.

Una storia dei mostri – L’INDISCRETO

Simbologia del Trittico delle Tentazioni di sant’Antonio di Hieronymus Bosch – I SIMBOLI NELL’ARTE – Bing video

1.pdf (unam.mx) Angelus, angelo. Profilo storico di una parola. Moreno Morani

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