Il tabù di quel Nome

L’evoluzione del nome “orso”.

Tabù: di discorsi, nomi e parole tabù la Bibbia ne è piena. L’ultimo versetto di Genesi 46 riferisce il consiglio di Giuseppe a Giacobbe che suggerisce cautela nel rivelare il proprio mestiere al faraone: “Poiché ogni pastore di pecore è detestabile per l’Egitto”. (Ge 46:34) Questa frase sembrerebbe difficilmente giustificabile in rapporto a ciò che sappiamo dell’Egitto, e proprio per questo costituisce un palese invito ad indagare un campo semantico poco esplorato. Perché l’essere pastore sarebbe risultato offensivo per gli egiziani? Faraone stesso aveva il proprio bestiame e pastori che se ne prendevano cura. Genesi 47:6 riporta esattamente le sue parole a Giuseppe: “Fa dimorare tuo padre e i tuoi fratelli nel meglio del paese. Falli dimorare nel paese di Gosen, e se sai che fra loro ci sono uomini coraggiosi, li devi costituire capi del bestiame su ciò che è mio”. Le motivazioni di quell’antipatia erano di tipo rituale.

L’ariete aveva in Egitto una forte valenza religiosa. Il paese era diviso in 42 nomoi o regioni ognuna legata a una differente divinità. Tutti gli dei avevano la loro località e un periodo di speciale influenza. Era quella una società totemica. Come in gran parte delle culture primitive vi si praticava una religione zoolatrica, si adorava cioè un animale sacro. Gli dei egizi incarnavano le forze della natura e svolgevano in essa una funzione di sacralità immanente espressa nel concetto più astratto di Neter Neteru, dio degli dei. Il dio supremo cioè racchiudeva in sé tutti gli dei ed era connesso con la natura. Era Amon, il nascosto, ma anche Ra, luce e Ptah, sostanza. Le divinità criocefale, cioè a testa d’ariete, erano forme sincretiche fra diversi dei. Banebdjedeb era raffigurata con quattro teste d’ariete rappresentative di Osiride, Geb, Shu e Ra-Atum. Anche Amon, il nascosto, era rappresentato come ariete.

Il montone in Egitto

Montone ed anima suonavano nello stesso modo nella lingua Egizia. Ciò dipendeva dalla stretta parentela tra uomini e animali, tipica del totemismo. Non c’era un netto confine tra i due. Nelle Bibbia c’è un passo dove si legge: “Io, sì, io, ho detto nel mio cuore riguardo ai figli del genere umano che … essi stessi sono bestie. Poiché c’è un’eventualità circa i figli del genere umano e un’eventualità circa la bestia, e hanno la stessa eventualità. Come muore l’uno, così muore l’altra; e tutti hanno un solo spirito, così che non c’è superiorità dell’uomo sulla bestia, poiché ogni cosa è vanità. Tutti vanno a un solo luogo. Tutti sono venuti dalla polvere, e tutti tornano alla polvere. Chi conosce lo spirito dei figli del genere umano, se sale verso l’alto; e lo spirito della bestia, se scende verso il basso alla terra?” (Ec 3:18-21)

Perciò sacrificare un ariete in Egitto era “detestabile”. Il termine ricorre spesso nella Bibbia e coinvolge temi tabù come l’adorazione o il sacrificio, il sangue, il sesso, le mestruazioni, il parto, la nascita e la morte. In generale tutto ciò che è santissimo crea tabù. Per gli antichi il nome è uno degli aspetti più significativi e segreti dell’intera realtà. Rivelazione 2:17 scrive: ‘A chi vince darò…un nuovo nome scritto che nessuno conosce tranne colui che lo riceve’. In Rivelazione 3:12 “‘Colui che vince, lo farò colonna nel tempio del mio Dio, e non ne uscirà mai più, e scriverò su di lui il nome del mio Dio e il nome della città del mio Dio, la nuova Gerusalemme che discende dal cielo, dal mio Dio, e quel mio nuovo nome.” Di Gesù si legge: “Egli ha un nome scritto che nessuno conosce se non lui solo.” (Ri 19:12)

Origine etimologica del termine tabù (dall’ebraico)

Tabù è una forte proibizione, relativa ad una certa area di comportamenti e consuetudini, dichiarata “sacra e proibita”. Infrangere un tabù è solitamente considerata cosa ripugnante e degna di biasimo da parte della comunità. La parola ebraica resa “detestabile” può ben essere considerata etimologica per il concetto di tabù. In Genesi 43:22 apprendiamo che gli Egiziani non potevano mangiare con gli ebrei perché ciò costituiva qualcosa di detestabile per loro. La parola ebraica usata qui è תוֹעֵבָ֥ה  tō-w-‘ê-ḇāh, termine che deriva da “toebah”, (forma verbale ta’ab) e che significa abominio, abominevole, cosa detestabile. Il termine coinvolge un senso di inadeguatezza rituale.  [Ta’ab significa aborrire, in senso rituale, etico-morale, perfino fisico (detestare il cibo in Sl 107:18)] Si consultino a questo proposito le seguenti indispensabili scritture: Esodo 8:26, Le 18.30, Dt 12:321, e Dt 14:3-21 sui cibi puri e impuri.

Mircea Eliade scrive: “Il cosiddetto tabù – parola polinesiana adottata dagli etnografi – è precisamente la condizione delle persone, degli oggetti e delle azioni isolate e vietate per il pericolo rappresentato dal loro contatto. In generale, sono o diventano tabù tutti gli oggetti, azioni o persone che recano, in virtù del modo di essere loro proprio, o acquistano, per rottura di livello ontologico, una forza di natura più o meno incerta”. Tutto ciò che è sacro può diventare pericoloso. Ci sono tabù di azioni (sui rapporti coi forestieri, sul mangiare e bere, sul lasciare avanzi di cibo, etc.) e tabù di parole (di nomi di persona, di parenti, dei nomi di morti, di nomi di re, di nomi di dei). (Per comprendere ciò che Eliade vuole intendere con l’espressione “rottura del livello ontologico” si veda l’interessante articolo di Marco Maculotti riportato in junger eumeswil 2021)

 Origine del termine tabù

Ufficialmente la parola “Tabù” viene fatta risalire al polinesiano “tàpu” che significa sia sacro che proibito. Questa parola fu registrata la prima volta dal capitano James Cook nel 1777 per averla sentita nelle isole Tonga. Letteralmente significa “marchiato con un segno”. Cook notava che era usata per indicare sia il sacro che l’impuro. Sono tabù i sacerdoti o i capi che non possono essere toccati da tutti; sono tabù i luoghi dedicati alle cerimonie che non possono essere visitati sempre; e sono tabù gli oggetti consacrati. Ma sono tabù anche i cadaveri, lo sperma e il sangue mestruale; e sono tabù le persone che toccano una di queste impurità e vengono contaminate. Non esistono dunque tabù oggettivi: ma è in seguito a una cerimonia o a un rito religioso che un oggetto o una persona o un’area diventano tabù. (Il peccato è conseguente alla legge, cfr Ro7:7)

In realtà questo termine tabù è antichissimo e implicito nell’ebraico “toebah”, nella forma verbale ta’ab da cui per vie del tutto ignote la parola poté diffondersi nel mondo. Anzi dovremmo immaginare la presenza di un termine originario ancora più antico da cui presero le mosse parole di simile contenuto semantico poi diffusesi su tutta la terra. Non è un caso che la parola polinesiana “tàpu” significhi marchiato con un segno visto che nella Bibbia il marchio della bestia di Ri 13:18 rappresenta “la cosa disgustante” per eccellenza. E’ questo l’abominio che si è presentato recentemente nella forma della vaccinazione di massa, un idolo.  

In nome dell’Orso

Presso gli antichi cacciatori i nomi degli animali pericolosi non potevano essere pronunciati a voce alta. Gli slavi credevano che gli animali, se fossero stati chiamati per nome, avrebbero teso l’orecchio e in poco tempo si sarebbero presentati. Le parole svolgevano un ruolo magico, erano intrise di un potere evocativo reale, nominare qualcuno era un invito alla manifestazione, una richiesta di contatto. Fu per questo motivo che molti animali persero il loro nome originale, e ora noi conosciamo solo quelli che erano sostitutivi. Si escogitarono tantissimi modi ingegnosi per fare dei riferimenti allusivi. Una delle bestie più terrificanti era l’orso divinizzato fin dall’inizio come totem e chiamato con tanti nomi diversi: Arktos, Lomak, Shaggy, Toptygin, Bear Barefoot, Mikush, Michail Potapych. Tuttavia alcuni linguisti ritengono che il nome più antico di un orso fosse “rus”, metatesi di “urs”, da cui deriverebbe il nome della Russia. (cfr. latino ursus da uro, danneggiare)

Nella lingua inglese la parola “bear”, orso, viene dal protogermanico bero, che letteralmente significa “marrone”.  In quelle slave l’orso è chiamato medved, ovvero “mangiatore di miele”, mentre in gaelico irlandese a volte gli indigeni si riferiscono a lui come mathgamain, “il vitello buono”. In lingua lituana, ci si riferiva all’orso come lācis, che in origine probabilmente significava “quello che colpisce”. Gli ucraini hanno un orso chiamato “Vedmid”, perché sa dov’è il miele. La gente credeva a quel tempo che un orso nella foresta segua sempre le tracce di un uomo. Le persone talvolta trovavano cavità con miele di api selvatiche. Tali ritrovamenti erano di solito casuali, così la gente pensava di tornare in seguito con gli strumenti giusti. Ma, tornando il giorno dopo, non c’era più nulla, perché l’orso aveva immediatamente trovato l’alveare e mangiato il miele. Da lì il nome Vedmid, perché l’orso sa dov’è il miele.

Il nome segreto di una città

Secondo una tradizione antica, Roma aveva tre nomi: uno sacrale, uno pubblico e uno segreto. Il nome pubblico era Roma, mentre quello religioso Flora o Florens, era usato solo nei sacrifici. Quello segreto restava sconosciuto. Anche la Nuova Gerusalemme, in base a Ri 3:12 (scrittura menzionata sopra), avrà un suo nome particolarmente segreto. Nell’antichità il nome esprimeva l’essenza e l’energia dell’ente/oggetto che definiva. Nominarlo equivaleva a renderlo vivo ed esistente e la conoscenza del nome significava potere. Voleva dire esercitare influenza, positivamente o negativamente, sull’oggetto conosciuto. Nel caso di una città il nome segreto corrispondeva, di solito, al nome segreto del nume tutelare.

A Roma, solo il Pontifex Maximus conosceva quel nome segreto e lo comunicava al successore al termine del suo mandato, ogni volta modificandolo, per quanto impercettibilmente, e nelle invocazioni si rivolgeva comunque a “Giove Ottimo Massimo o con qualunque altro nome tu voglia essere chiamato”. Macrobio, un funzionario imperiale vissuto tra il IV ed il V secolo d.C., nei suoi Saturnalia, riporta che il nome arcano era scritto in libri antichissimi, però ognuno di essi citava un nome un po’ diverso, quasi a voler rendere impossibile una conferma definitiva. Un antico commentatore di Virgilio, Servius, in una nota all’Eneide scrisse: «Nessuno, nemmeno nei sacrifici, ripete il vero nome della città. Ché, anzi, un tribuno della plebe, Valerio Sorano (come disse anche Varrone), fu messo in croce per aver ardito pronunciare quel nome».

Nomi cinesi proibiti

 
Esempi di caratteri cinesi modificati per effetto del tabù sui nomi.

In passato in Cina secondo la tradizione popolare c’era la regola di proibire l’uso di alcuni nomi personali nello scritto e nel parlato, specialmente se appartenenti agli antenati, agli imperatori o ad altre figure di rilievo. I nomi proibiti avevano valore di tabù, e la trasgressione (anche involontaria) di questa regola comportava punizioni severe, spesso la pena di morte. In India le donne avevano il divieto di chiamare per nome il marito. Quella del nome tabù non è una tradizione solo romana o cinese, poiché anche nel libro dell’Apocalisse si legge che alla fine gli eletti saranno premiati con una pietra bianca, sulla quale è scritto il loro nome segreto. Quello che svela la vera identità: «A chi vince io darò da mangiare della manna nascosta, e una pietruzza bianca; sulla pietruzza sta scritto un nome nuovo che nessuno conosce, se non colui che lo riceve.» (Apocalisse 2:17)

Qualcosa di simile si riscontra ancora in alcune tribù indigene, o, per esempio, negli Indiani d’America, i quali possiedono un nome segreto che li caratterizza anche nel loro rapporto con la natura e con l’universo. Può essere utile, a questo punto, ricordare il secondo comandamento, che dice: “Non nominare il nome di Dio invano”. Al di là del suo significato letterale, di rispetto della grandezza divina, anche gli ebrei ritenevano il Nome importantissimo. Conoscere il nome di Dio era un segreto iniziatico, riservato a pochi, anzi, forse, a nessuno. In Esodo 6: 2-3 è scritto: “E Dio parlò a Mosè dicendogli: “Io sono Geova. E apparivo ad Abraamo, Isacco e Giacobbe come Dio Onnipotente, ma rispetto al mio nome Geova non mi feci conoscere da loro.” (Es 6:2-3) O come rende uno studioso, James Washington Watts nel 1977: “col mio nome Yahweh non mi ero reso loro completamente comprensibile”.

L’intraducibile tetragramma

È noto che nell’ebraico il tetragramma è יהוה, in italiano variamente tradotto da Geova a Yahweh. Secondo alcuni, però, questo nome sarebbe intraducibile, in quanto le vocali inserite in Y.H.W.H. rimangono ignote. D’altronde, come qualcuno potrebbe osservare, sarebbe inspiegabile che Dio affermasse di aver rivelato solamente ad alcuni il suo nome, salvo poi riportarlo e renderlo noto a tutti. Ricordiamo inoltre che pronunciare il nome di Dio significa entrare in contatto con Lui, l’essere più sacro dell’universo, il nostro Creatore. Egli si fa conoscere, è vero, tuttavia rimarranno sempre molti aspetti di Lui assolutamente inconoscibili, anche in base alla dichiarazione espressa in Isaia 45:15 che dice: “Veramente tu sei un Dio che si tiene nascosto”. Tutto ciò rafforza quanto appena detto. La questione del Nome di Dio è estremamente complessa e se Dio avesse voluto renderla più chiara l’avrebbe fatto lui stesso.

 Se non l’ha fatto è perché Gli sta bene così. Ci dobbiamo accontentare dato che questa è la Sua volontà. Il fatto però di conoscere almeno qualcosa di quel Suo preziosissimo Nome ci riempie di meraviglia. Come scrisse Cartesio in una lettera alla principessa Palatina nel 1646: “Oso credere che la gioia interiore disponga di un potere segreto con cui propiziarsi maggiormente la fortuna. Non vorrei scrivere questo a persone mentalmente deboli, nel timore di indurle ad una qualche superstizione… Tuttavia mi posso avvalere di un’infinità di esperienze per confermare la mia opinione…” Conoscere quel nome è una porta che apre a una grande felicità. Come scrive Gioele 2:32 “chiunque invocherà il nome di Geova sarà salvato”.

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