Angeli, demòni e il démone socratico

C’è una frase nell’Apologia che Socrate avrebbe detto: “C’è dentro di me un non so che spirito divino e demonico ed è come una voce che io ho dentro sin da fanciullo, la quale ogni volta che si fa sentire sempre mi dissuade da qualcosa che sto per compiere e non mi fa mai proposte.” “τούτου δὲ αἴτιόν ἐστιν ὃ ὑμεῖς ἐμοῦ πολλάκις ἀκηκόατε πολλαχοῦ λέγοντος, ὅτι μοι θεῖόν τι καὶ [d] δαιμόνιον γίγνεται [φωνή], ὃ δὴ καὶ ἐν τῇ γραφῇ ἐπικωμῳδῶν Μέλητος ἐγράψατο. ἐμοὶ δὲ τοῦτ’ ἔστιν ἐκ παιδὸς ἀρξάμενον, φωνή τις γιγνομένη, ἣ ὅταν γένηται, ἀεὶ ἀποτρέπει με τοῦτο ὃ ἂν μέλλω πράττειν, προτρέπει δὲ οὔποτε.” (Apologia di Socrate 31d)

Socrate morì piuttosto che disobbedire alla voce del suo daimon. Infatti nonostante avesse avuto l’opportunità di sottrarsi alla sua condanna a morte decise di non farlo poiché il suo daimon gli aveva intimato di non farlo. Anche Marc’ Aurelio parla del daimon nei suoi Pensieri e scrive: “Rimane la cura di non insozzare il demone che ha preso dimora nel nostro petto, la cura di non turbarlo con impressioni confuse e molteplici, di mantenerlo sereno e benigno, tributandogli rituale e onore come a un dio e non dire nulla che sia contrario al vero, e non fare nulla contro giustizia.”

Il Daimon nei tempi moderni

In tempi più moderni l’idea del daimon è stata ripresa da Jung e Hillman. In particolare quest’ultimo riteneva che il daimon fosse una particolare ispirazione che deve essere messa a frutto per essere felici ed ottenere l’autorealizzazione di sè. Egli riteneva che in ogni uomo ci sia una specie di ghianda che dobbiamo curare, nutrire, far crescere in modo da sviluppare una solida quercia.

All’interno di questo studio volto a rintracciare tracce di totemismo e analogie tra profetismo biblico e sciamanesimo dobbiamo perciò necessariamente entrare nella vasta discussione riguardante la demonologia, cioè lo studio delle credenze popolari negli spiriti e nei demoni. Un momento significativo ed illuminante di questo discorso lo svolge appunto il tema incentrato sul demone di Socrate.

Un genio della natura?

Se, casomai, risulta possibile dubitare di certi aspetti riguardanti il Socrate storico, il demone, insieme ad altre poche basilari informazioni sulla sua vita, rappresenta un tratto fondamentale del filosofo e tutte le fonti, in maniera più o meno estesa, ne hanno fatto cenno. La parola demone oggigiorno non ha più la stessa valenza che aveva per i greci. Per gli antichi il daimon era un genio della natura, rappresentava una fonte di sapere e d’ispirazione che poteva essere sia positiva che negativa.

Davvero il δαίμων rappresenta una delle questioni più importanti che concernono la figura di Socrate. Si narra che imboccando un crocevia, il daimon consigliasse a Socrate una strada diversa da quella che voleva prendere. Così facendo aveva evitato l’assalto di un branco di porci. Per i Greci il daimon è un «essere divino» a metà strada fra gli dei e gli uomini e svolge una funzione intermediaria. Il motivo del demone è strettamente connesso all’accusa di empietà e alla condanna a morte di Socrate. Questo elemento avvicina la morte di Socrate a quella delle streghe bruciate nei roghi durante i processi dell’Inquisizione.

Un’accusa di empietà

A proposito del demone socratico, come dicevamo, Platone scrive nell’Apologia. «C’è dentro di me non so che spirito divino e demonico; quello appunto di cui anche Meleto, scherzandoci sopra, scrisse nell’atto di accusa. Ed è come una voce che io ho dentro sin da fanciullo. Ogni volta che mi si fa sentire, sempre mi dissuade da qualcosa che sto per compiere, e non mi fa mai proposte.» Nell’Apologia platonica, durante il processo, il filosofo si rivolge a Meleto, che lo accusa di non credere alle divinità dello Stato.

Socrate afferma che se i demoni, nella cui esistenza Meleto senza dubbio crede: «sono certi figli spuri di dèi, che sono nati da ninfe o da altre madri di cui si racconta, allora quale uomo potrà mai ritenere che esistano figli di dèi, ma non esistano dèi?» Ap. 27 D). Ciò che il filosofo intendeva dire è che se un uomo è guidato dal daimon non può essere un ateo. Questo perché quell’uomo necessariamente riconosce l’esistenza degli dei, di cui il daimon risulta essere figlio.

Il segno demonico

Ricordiamo che nelle Scritture ci si riferisce alle stesse entità, negative o positive con la stessa espressione, i figli del vero Dio. (Ge 6:2, Gb 38:7) Tuttavia va detto che Platone non parla mai di un daimon ma di un δαιμόνιόν σημεῖόν “segno demonico”. Per esempio, c’è un passo nel Fedro che narra di come, mentre sta parlando, Socrate tronca il suo discorso e sta per andarsene. Ma qualcosa lo trattiene. E Platone scrive: È accaduto che è venuto a me il segno demonico consueto – mi trattiene sempre da quello che sto per fare – e mi è sembrato di udire una voce proprio da lì, che mi proibiva di andarmene prima di essermi purificato, come se avessi errato nei confronti di ciò che è divino. (242b-c) Hegel, nelle Lezioni sulla storia della filosofia (vol. II), scrive che questo “qualcosa di demonico” è una via di mezzo fra l’esteriorità dell’oracolo e la pura interiorità dello spirito. Si tratta di una voce interiore, che viene dalla coscienza di Socrate stesso.

Ma quando egli ne deve parlare, lo rappresenta come avrebbe fatto un uomo della cultura orale, come uno «speciale genio distinto dalla volontà umana». Socrate, d’altra parte, non afferma mai di percepire la presenza di un daimon, cioè di un essere divino. Egli si riferisce a un daimonion (aggettivo sostantivato), cioè a un qualcosa di “demonico”.

Il démone e le sue molte interpretazioni

Margagliotta (Il demone di Socrate nelle interpretazioni di Plutarco e Apuleio), rifacendosi ad A. Timotin osserva: “La fede di Socrate in una forza divina è indubitabile. Tuttavia, che cosa fosse veramente questo «segno divino», non è facile stabilirlo. Gregory Vlastos lo ha descritto come «the gravest of the difficulties we all have to face in our effort to make sense of Socrates». A testimoniare questa difficoltà sta il grande numero di interpretazioni divergenti che sono state elaborate dall’antichità fino ad oggi.

Che cos’è il demone socratico? Dobbiamo intenderlo come un tratto distintivo che appartiene esclusivamente a Socrate o possiamo inserirlo in una demonologia generale? È una spinta all’agire o soltanto un freno? È una caratteristica del vero filosofo o del mago? Non possiamo pretendere di riuscire a rispondere in maniera esaustiva; queste domande forse sono destinate a restare, in parte, aperte. In ogni caso occorrerà cominciare dallo studio e dall’analisi dei testi degli allievi diretti di Socrate: Platone e Senofonte.

Un pasto o banchetto

Ricordiamo al lettore che Plutarco scrisse il De Genio Socratis mentre Apuleio il De Deo Socratis. Frederick E. Brenk afferma: «it is rather difficult to obtain a clear impression of the folk tradition about daimones in the Greek world. Though, these creatures must have formed an important part of that culture from the earliest times». Il termine daimon viene fatto derivare dal verbo daiomai, che significa «dividere, distribuire». Dalla stessa radice deriva il termine dais che significa pasto, banchetto. Il demone sarebbe stato colui che distribuiva le porzioni durante i rituali di un banchetto sacrificale totemico. Quindi, in senso lato, egli è colui che può distribuire sapere, ricchezze, fortune o disgrazie agli uomini. Avrebbe, in altre parole, in mano l’umano destino, l’umana felicità.

I greci avevano un termine particolare per esprimere il concetto di felicità, l’eudaimonia, cioè l’assistenza di un daimon buono. Secondo il mito platonico di Er prima della nascita ad ogni persona viene assegnato un daimon, buono o cattivo. Sarebbe una sorta di genio tutelare che guida in vita nella realizzazione del proprio destino. I demoni, responsabili della sorte degli uomini, potevano perciò essere sia buoni sia malvagi, Eudaimones e Kakodaimones. Eu è prefisso per buono, kakòs per cattivo) anche se per Omero, in particolar modo nell’Odissea, erano collegati a eventi funesti.”

Esiodo

In Esiodo, vissuto tra i secoli VIII e VII a.C., il demone si origina nello stato post mortem degli esseri della prima generazione aurea. Ne Le opere e i giorni si legge:

«Poi, dopo che la terra questa stirpe ebbe coperto,
essi sono, per volere del grande Zeus, dèmoni
propizi, che stanno sulla terra, custodi dei mortali,
osservando le sentenze della giustizia e le azioni scellerate,
vestiti di aria nebbiosa, ovunque aggirandosi sulla terra,
dispensatori di ricchezze: questo privilegio regale posseggono»
(Tradotto dal greco da Cesare Cassanmagnago. Milano, Bompiani, 2009, pag. 185)

Nefilim

Il senso attribuibile a queste parole rientra in un discorso di tipo evemeristico, la divinizzazione degli antenati che una volta morti nel corso del tempo diventano lari, spiriti del focolare, i cosiddetti protettori della famiglia. Essi parlano udibilmente dal sottosuolo, dalle pietre delle fondamenta, dalla bocca degli idoli di casa. Diventano consiglieri e insegnanti tramite la voce dei demoni, voci rese udibili in virtù della primitiva conformazione bicamerale della mente, quando il lato destro del cervello era preponderante. (V. Julian Jaynes, La nascita della coscienza e il crollo della mente bicamerale) Nefilim

Nelle Scritture, va precisato, non si parla di sopravvivenza dell’anima alla morte ma dell’esistenza di spiriti demonici che amano frequentare l’umano consorzio. Genesi al capitolo 6 narra di come i figli del vero Dio, cioè gli spiriti angelici, si mischiassero con le figlie degli uomini dando origine ad una progenie ibrida, “i potenti della terra, gli uomini famosi”. Questo discorso, presumo, risulterà generalmente ostico al lettore moderno che ha perso il contatto con il mondo del divino. Si tratta tuttavia di un argomento che, come mostreremo, emerge in tutta la sua importanza nella cultura di tutti i popoli, sia europei che non. Se non si comprendono queste cose non si potrà mai capire appieno l’origine dell’umana civiltà.

Etimologia del termine Daimon

Qui mi rifaccio ad Andrei Timotin e in parte traduco una interessantissima pagina tratta da La Demonologie Platonicienne. Historie de la notion de daimon de Platon aux derniers néoplatoniciens, (pag. 14-16): Δαίμων è una dérivazione dalla radice i.-e. *da(i)- da cui viene il gr. Δαίoμαι «dividere, ripartire, distribuire, δαίς «pasto (in cui si distribuiscono le porzioni), di lì il senso di potenza distributrice, di un’entità che ripartisce la ricchezza. A partire da Omero daimon acquisisce il valore di potenza divina impersonale o di divinità del destino. Come altri hanno notato ci sono simili radici indo-europee che coniugano il senso di ripartizione, destino e divinità.

In primo luogo la radice bhag – baga nel significato di parte, destino, baga e bogu dio. Pensiamo alla Bhagavad Gita, un dialogo tra Krishna e Ariuna o a Bagdad, capitale dell’Iraq. Questa radice proto-indo-europea bhag entra anche in parole come afagia, esofago, pagoda, sarcofago, etc. Il sanscrito bhaksati “mangiare, bere, rallegrarsi”, corrisponde al greco phagein mangiare. Nell’antico slavo bogatu significa ricco. Sovrano minatore nella teologia vedica, bhaga sarebbe secondo G. Dumezil l’analogo del greco daimon.

Un essere intermedio

Ciò corrisponderebbe anche al greco da cui prende il nome Plutone πλoυτoδόται, datore di ricchezze. Nella Grecia antica con il termine daimon s’intendeva un essere intermedio tra l’uomo e la divinità, di natura benigna o maligna, in sostanza un genio, un’entità invisibile ma collegata al piano materiale dell’essere.

Secondo Apuleio quindi il daimon si trova a metà strada tra gli dei e gli uomini, agisce da intermediario, contribuisce a riempire l’intervallo tra le due categorie facendo in modo che nell’universo tutte le parti siano armoniosamente legate. Il daimon è un’entità a cui normalmente non si dedica culto, senza una propria mitologia e non ha rappresentazioni figurative.

Intermediario tra gli uomini e gli dei

Tuttavia interviene nel culto in quanto intermediario degli dei. L’idea di un demone che fosse il costante compagno di una persona e che se ne prendesse cura era presente già nel V secolo a. C. in Esiodo e il concetto che il demone fosse la causa della felicità o dell’infelicità di una persona ebbe specialmente dal III secolo a. C. una diffusione molto ampia. (Giovanni Silvestri, De Deo Socratis. L’evoluzione del daimon in Apuleio) Tutto questo sembrerebbe corrispondere alle categorie angeliche delle Sacre Scritture. Gesù disse: “Guardatevi dal disprezzare uno di questi piccoli; poiché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nel cielo.” (Mt 18:10) Qualcosa di simile si legge anche in Sl 34:7; 91:11; Eb 1:14.

I démoni, benchè in possesso di un corpo sottile erano ritenuti, secondo gli antichi, come gli uomini, degli animali e questo coinciderebbe con il punto di vista delle scritture che in Ezechiele 1 e 10 definiscono la “creatura vivente” semplicemente zoon, cioè bestia.

Inoltre Paolo, descrivendo la liberazione angelica di Pietro dalla prigione in cui Erode l’aveva rinchiuso, scrive nel libro degli Atti che i suoi fratelli cristiani, avendo sentito che il prigioniero appena liberato stava alla porta dicevano: “È il suo angelo”. Così si legge in Atti 12:15 dove il testo greco usa la parola “angelos”. Il linguaggio usato esprime la comune credenza giudaica che ciascun israelita avesse un custode angelico assegnato personalmente a lui e che poteva apparire in forma umana assumendo l’aspetto della persona che proteggeva. Ciò, come già segnalato, poté verosimilmente accadere nel giardino di Eden relativamente al daimon di Adamo. Questi angeli o daimones nella terminologia dei classici, potevano, secondo Apuleio e la credenza popolare, essere spiriti santi o impuri. Erano ritenuti malvagi se avevano materializzato un corpo per scopi empi.  

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