Paganesimo e cristianesimo: un primo scontro

Paganesimo e cristianesimo si incontrano e si scontrano nel viaggio dei magi. Eliot di tutto questo scrive in una composizione densa di simbolismi:

1]

“Fu un freddo avvento per noi,
proprio il tempo peggiore dell’anno
per un viaggio, per un lungo viaggio come questo:
le vie fangose e la stagione rigida, nel cuore dell’inverno.
E i cammelli piagati, coi piedi sanguinanti, indocili,
sdraiati nella neve che si scioglie.
Vi furono momenti in cui noi rimpiangemmo
i palazzi d’estate sui pendii, le terrazze,
e le fanciulle seriche che portano il sorbetto.
Poi i cammellieri che imprecavano e maledicevano
e disertavano, e volevano donne e liquori,
ed i fuochi notturni che s’estinguevano, mancando i ricoveri,
e le città ostili e i paesi nemici
ed i villaggi sporchi e tutto a caro prezzo: ore difficili avemmo.
Preferimmo alla fine viaggiare di notte,
dormendo a tratti,
con le voci che cantavano agli orecchi, dicendo
che questo era tutto follia.

2]

Poi all’alba giungemmo a una valle più tiepida,
umida, sotto la linea della neve, tutta odorante di vegetazione;
con un ruscello in corsa ed un mulino ad acqua che batteva buio,
e tre alberi contro il cielo basso,
ed un vecchio cavallo bianco al galoppo sul prato.
Poi arrivammo a una taverna con l’architrave coperta di pampini,
sei mani ad una porta aperta che giocavano a dadi per dei pezzi d’argento e piedi che davano calci agli otri vuoti.                 
Ma non avemmo alcuna informazione, e così proseguimmo
ed arrivati a sera non solo un momento troppo presto
trovammo il posto; cosa soddisfacente (voi direte).

3]

Tutto questo fu molto tempo fa, ricordo,
e lo farei di nuovo, ma considerate
questo considerate
questo: ci trascinammo per tutta quella strada per una
Nascita o una Morte? Vi fu una Nascita, certo,
ne avemmo prova e non avemmo dubbio. Avevo visto nascita e morte,
ma le avevo pensate differenti; per noi questa Nascita fu
come un’aspra ed amara sofferenza, come la Morte, la nostra morte.
Tornammo ai nostri luoghi, ai nostri Regni,
ma ormai non più tranquilli, nelle antiche leggi,
fra un popolo straniero che è rimasto aggrappato ai propri idoli.
Io sarei lieto di un’altra morte”.

(da Ariels Poems in Thomas S. Eliot, Poesie, Milano 1971, pp.277-279)

La nascita di Gesù come momento di fusione/scontro tra due mondi

Il monologo di uno dei partecipanti ad un viaggio verso la Giudea costruisce la trama della narrazione. La poesia è l’opera di un poeta americano, premio Nobel per la letteratura, che la scrisse nel 1927 in occasione del suo passare dall’adesione al modernismo (che fu paganesimo) all’anglo-cattolicesimo. In questo brano Eliot racconta le peripezie dei magi in visita al piccolo Gesù. È un racconto messo in bocca a uno dei viaggiatori che segna il momento di transizione di un mondo pagano che sta per trasformarsi in qualcosa di diverso. È un viaggio che necessariamente coinvolge forze contrapposte, paganesimo e cristianesimo, potenze angeliche o demoniche. Il narratore e portavoce del racconto si chiede se quel viaggio debba essere inteso come una nascita o piuttosto una morte. E in effetti fu entrambe le cose. “Tornammo ai nostri luoghi, ai nostri Regni, ma ormai non più tranquilli, nelle antiche leggi, fra un popolo straniero che è rimasto aggrappato ai propri idoli.” Come intendere queste parole? Non alludono forse ad un momento di crisi?

In effetti la Tradizione antica non fu mai veramente sconfitta e ancora oggi sopravvive. A molti può non far piacere dover ammettere che grandi capolavori dell’arte nei vari campi, un po’ tutti, letteratura, poesia, pittura, scienza, chimica o astronomia debbano essere studiati come prodotti del paganesimo, ricomposizione di frammenti di un’antica fede radicata nel paganesimo e nell’occulto.

Il restyling del mondo pagano

Il mondo che venne fuori dall’editto di Costantino nel 313 era un mondo pagano che si era fatto semplicemente il restyling. Le antiche pratiche pagane, le arti occulte, le magiche, la stregoneria, l’astrologia, l’alchimia continuarono ad essere coltivate e influenzarono uomini come Keplero, Galileo, Spinoza, Newton per arrivare fino ad Einstein e ai nostri giorni. Quest’ultimo, Einstein, credeva in una ragione superiore che si rivela in un universo multiforme, nella religione degli antichi, che espresso nel linguaggio corrente significa panteismo. Einstein si riferiva a Dio come «intelligenza cosmica» e «magnificenza della ragione incarnata nell’esistenza».

Egli concepiva Dio come il definitivo fondamento spirituale di tutto l’ordine razionale ma, diversamente dalla religione ebraico-cristiana, egli non lo pensava in modo “personale”, cioè come un Dio secondo la cui immagine era fatto l’uomo, ma in modo “sovrapersonale” liberato dalle catene del “solo personale”. Egli definiva il proprio credo “religione cosmica”, che si rivela con potenza nelle forze e nelle leggi della natura.

Un concetto sì eretico che…

Durante tutto il Rinascimento grandi artisti come Leonardo, Raffaello, Michelangelo furono sospettati di eresia e molto del loro pensiero affonda le radici nella religione degli antichi greci. Tra le pagine vasariane, oltre alle lodi compare anche un acuto giudizio su Leonardo. Vi si legge: «Tanti furono i suoi capricci, che filosofando de le cose naturali, attese a intendere la proprietà delle erbe, continuando et osservando il moto del cielo, il corso de la luna e gli andamenti del sole. Per il che fece ne l’animo un concetto sì eretico, che è non si accostava a qualsivoglia religione, stimando per avventura assai più lo essere filosofo che cristiano». Leonardo faceva studi sulla trasformazione dei metalli e a Roma fu anche sospettato di magia nera. Non a caso Raffaello, tra il 1508 e il 1512, affrescando le pareti della Stanza della segnatura in Vaticano, nella composizione raffigurante la Scuola d’Atene, volle ritrarre Leonardo nelle vesti di Platone. Platone era considerato idealmente il capostipite di concezioni filosofiche appartenute anche ad autori successivi e cristiani, come Agostino o Boezio.

Come Leonardo furono influenzati dai temi neoplatonici artisti del calibro di Sandro Botticelli, Antonio e Piero del Pollaiolo, Perugino, Luca Signorelli, Leon Battista Alberti e tutti i grandi nomi del Rinascimento. Nella filosofia platonica, erede di quella zoroastriana, era tratteggiato il modello di una società ideale teocentrica fondata sul culto del sole. Di lì comprendiamo il substrato ideologico da cui proveniva l’esigenza di intraprendere una rivoluzione come quella eliocentrica galileiana. Questo ribaltamento di pensiero si radicava in un sistema ideologico dichiaratamente pagano.

Le accademie neoplatoniche

Il platonismo, rinato attraverso l’umanesimo, verso la fine del XIV secolo, puntava al recupero delle concezioni misteriche, astrologiche, sapienziali dell’antichità, rimaste nell’ombra ma vitali per molti secoli. Giuliano de’ Medici e Lorenzo il Magnifico ne furono i fedeli sostenitori. Prima ancora che a Firenze già altre città avevano dato vita ad accademie platoniche, come Napoli, Roma, Rimini o Ferrara. Quella di Firenze, che doveva significare simbolicamente la riapertura dell’antica Accademia di Atene, costituì un importante cenacolo di artisti, filosofi e intellettuali, che intendevano attuare una riforma spirituale della civiltà.

Secondo Ficino esisteva una tradizione filosofica antichissima, un sostrato di sapienza comune ad ogni epoca e luogo, che andava da Pitagora all’orfismo, passando per Socrate, Platone e Aristotele, fino a giungere al neoplatonismo.

«Vi era in ogni nazione antica degna di chiamarsi civile, una Dottrina Esoterica, un sistema designato con il nome di Saggezza, e coloro che si erano votati alla sua prosecuzione furono dapprima denominati uomini saggi o dotti […] Pitagora chiamava questo sistema ή γνώσις τών όντων [hé gnòsis tòn ònton], la Gnosi o Conoscenza delle cose che sono. »
(Alexander Wilder, New Platonism and Alchemy, pag. 6, Albany, N.Y., 1869)
Tutto il mondo nel potere del malvagio

Ancora nel XX secolo Rudolf Steiner, discepolo della Blawatsky, con la fondazione della Società antroposofica, si prefiggeva esplicitamente un rinnovamento degli antichi misteri. Perciò portare avanti un discorso incentrato sui culti dell’antico paganesimo è stato l’obiettivo generalmente consapevole e condiviso di tutti i pensatori, poeti o scienziati, perfino cantanti ed attori, piccoli o grandi, fino ad arrivare ai nostri giorni. Non a caso le Scritture avvisano che tutto il mondo giace nel potere del malvagio. (1 Gv 5:19)

I magi nell’arte

Fin dalle origini la visita dei magi e la loro offerta di doni fu variamente rappresentata ed il racconto ebbe una straordinaria fortuna artistica. Già nel VI secolo a Ravenna i magi si ritrovano nel mosaico della chiesa di sant’Apollinare Nuovo in numero di tre. Essi indossano pantaloni maculati, leopardati, a chiazze, abiti tipici della rappresentazione mitologica dei cieli e portano in capo dei rossi berretti frigi, tipici dei sacerdoti del sole. Nel Rinascimento molti artisti rappresentarono nei loro dipinti i magi prostrati di fronte al Fanciullo. Anche Leonardo da Vinci si cimentò nell’impresa. La sua raffigurazione contiene simboli e allusioni esoteriche.  L’episodio è centrato in un momento ben preciso, cioè nell’istante in cui il Bambino, facendo un gesto di benedizione, rivela la sua natura divina, secondo il significato originario del termine “epifania”, ovvero “manifestazione”.

Ciò è chiaro nella reazione degli astanti, presi in un vorticoso rutilare di gesti ed espressioni di sorpresa e turbamento. L’effetto è quello di uno sconvolgimento interiore di fronte al manifestarsi della divinità. Di Leonardo Vasari scrive: “Veramente mirabile e celeste fu Lionardo, figliuolo di ser Piero da Vinci, e nella erudizione e principii delle lettere arebbe fatto profitto grande, se egli non fusse stato tanto vario e instabile. Perciò che egli si mise a imparare molte cose e, cominciate, poi l’abbandonava. […] Vedesi bene che Lionardo per l’intelligenza dell’arte cominciò molte cose e nessuna mai ne finí, aprendoli che la mano aggiungere non potesse alla perfezione dell’arte nelle cose, che egli si immaginava, conciò sia che si formava nell’idea alcune difficultà suttili e tanto meravigliose, che con le mani, ancora che fussero eccellentissime, non si sarebbero espresse mai.”

La manifestazione divina come epifania

L’adorazione dei magi di Leonardo, opera incompleta, è un’adorazione particolarissima e piena di misterioso fascino. Poiché concetto fondamentale del pensiero neoplatonico è l’illuminazione come grazia divina concessa a pochi spiriti superiori, il dipinto getta luce sul modo leonardesco e rinascimentale di intendere la religione. Egli elimina il tradizionale simbolismo della rappresentazione sacra che generalmente si esprime con aureole o croci (simboli solari) e va dritto al nucleo filosofico. Leonardo interpreta il tema in chiave allegorica e dipinge la manifestazione divina come fenomeno sensibile piuttosto che astratto. È il sacro che, manifestandosi fenomenicamente nel reale, mette in moto tutta la realtà. Il sacro si rivela e ciò sorprende, emoziona, turba: perfino i cavalli imbizzarriscono di fronte all’epifania del divino. C’è un furore bacchico che anima la scena, tipico del neoplatonismo, dato che Dioniso è il dio dell’ebbrezza.

Un personaggio bicefalo in mezzo ai due alberi

Qui dimostrare l’irreligiosità di Leonardo è esercizio perfino facile. Esamineremo alcuni particolari del dipinto che ci permettono di rivelarne la chiave di lettura. Cominciamo ad esaminare i due alberi del dipinto. Quello in primo piano sovrasta il secondo, un albero di palma. I libri ci spiegano di solito che l’albero maggiore sarebbe un alloro. Tuttavia le foglie non sono di alloro ma piuttosto si tratterebbe di un carrubo, detto anche l’albero di S. Giovanni. Ai piedi di quest’albero c’è una figura sacerdotale con in mano un falcetto. Questo dettaglio alluderebbe al sogno di Nabucodonosor narrato in Daniele 4. “Tagliate l’albero, e stroncatene i rami… Tuttavia, lasciatene il ceppo stesso con le radici nella terra, pure con un legame di ferro e di rame, […] e passino su di esso sette tempi.” Il senso sarebbe che con la nascita del Messia l’albero di carrubo, il paganesimo, starebbe per essere reciso.

Alle radici dell’albero (avvinghiate ad una pietra angolare, il masso di roccia che rappresenterebbe Gesù (Mt 21:42, 1Pt 2:7) ma anche simbolico della massoneria) disposti come in un ordine concentrico, ci sono diversi personaggi che sembrano assorbiti in un atto di adorazione. Tra i due alberi emerge un personaggio per così dire bicefalo, una sorta di Giano bifronte che a destra del tronco in primo piano protende una mano con l’indice puntato. L’indice al cielo è per Leonardo il gesto di S. Giovanni. Ci potremmo chiedere come mai nel corso del tempo questo santo (sia egli il Battista oppure l’Evangelista) divenne rappresentazione del paganesimo. Probabilmente fu l’assonanza di Giovanni con Giano, la più antica divinità romana, dio del cielo e del mondo di sotto, dei morti, a offrire lo spunto. Questa scena, questo gesto così caratteristico cosa rappresenta?

San Giovanni

San Giovanni divenne con il cristianesimo l’alter ego di Dioniso-Bacco e il dito che punta in alto è da intendersi, probabilmente, come un invito a trascendere, a cercare di comprendere il significato allegorico del dipinto.

Gli affiliati alle Logge massoniche si intitolavano un tempo Fratelli di S. Giovanni. La loro corporazione era anche designata col nome di “Confraternita di S. Giovanni”. Essi continuavano, sotto quel nome, l’antico culto di Giano, protettore, nell’antichità pagana, dei collegi degli architetti e dei muratori, le cui feste si celebravano nei solstizi. Infatti la festa di Giovanni Battista ricorre il 24 giugno mentre quella di Giovanni l’Evangelista il 27 dicembre. Johannes è forse corruzione del vecchio Janus bifronte, che ha in mano le chiavi, con le quali apre o chiude le porte dei cieli, le “ianua coeli” di antica memoria. Giano ritornerebbe anche sotto il nome di Pietro, al quale furono attribuite le tre chiavi per aprire e chiudere tempi particolari della grazia divina.

Il solito dualismo: un tempio e una loggia

Nel dipinto di Leonardo il dualismo gioca un ruolo significativo. I doni offerti dai magi non sembrerebbero tre ma due soltanto: due sono le coppe offerte da due personaggi biancovestiti in primo piano. Il bianco segnala l’invisibile: la divinità e la morte. Il coperchio di una terza coppa, che conterrebbe l’oro e potrebbe alludere al potere temporale che Gesù ancora non deteneva, è in mano ad un personaggio in ombra in secondo piano, in quel momento rappresentato da Erode. Dietro e tutt’intorno alle figure centrali della Vergine e del Bambino, c’è un tempio in costruzione, una scala di 14 gradini, ci sono archi, colonne, costruttori, tutta una simbologia templare. Sulla scalinata emerge un demone oscuro che tiene in mano un lungo pastorale e porta in testa un accenno di corna che lo rendono simile a Pan, il demonio a forma di capro. La scala è nelle tradizioni templari simbolo per eccellenza delle relazioni che intercorrono tra cielo e terra, intendendo con tale dizione i diversi stati che l’essere si trova a percorrere nel corso del proprio divenire e, principalmente, durante il cammino di realizzazione iniziatica.

Dante vede la Scala in Paradiso, dopo aver superato non solo l’Inferno e il Purgatorio, ma altresì i sette pianeti, l’ultimo dei quali è Saturno:

vid’io uno scaleo eretto in suso
tanto, che nol seguiva la mia luce.
Vidi anche per li gradi scender giuso
tali splendor, ch’io pensai ch’ogni lume
che par nel ciel fosse diffuso
(Paradiso, XXI, 28-34)

Nel dipinto di Leonardo c’è tutta una congerie di simboli che alludono a divinità “altre”, precedenti la nascita di Gesù che nelle Scritture fu chiamato Nazareno, ramoscello o germoglio, e da ciò deriva la rappresentazione di alberi nel dipinto. (Mt 2:23; Isa 11:1; Isa 53:2; Ger 23:5; Zac 3:8) A destra c’è una loggia con sotto la sagoma appena abbozzata di un toro, simbolo pagano.

La Loggia

Il termine “loggia” nasce dal nome di quelle costruzioni che i muratori delle cattedrali addossavano alla costruzione maggiore come laboratorio o alloggio. Questi maestri muratori costituivano delle corporazioni molto organizzate e rispettate, i cui membri condividevano alcuni segreti di mestiere, difesi gelosamente. Confraternite di tal genere, nate dall’esercizio di diverse arti, esistevano sin dall’antichità più remota. Molte corporazioni muratorie, dal Medioevo in avanti, asserivano di discendere direttamente dai costruttori del tempio di Salomone. La mistica del tempio attraversava da secoli la cultura ebraica e cristiana: il tempio biblico era visto come costruzione perfetta che, attraverso le sue proporzioni matematiche, esprimeva verità mistiche. La mistica del tempio si univa così alla tradizionale mistica pitagorica, di origine egizia e greca.

La Vergine delle Rocce

Ecco perché nel dipinto di Leonardo ci sono due alberi, uno, la palma raffigurante Gesù, l’altro il carrubo di Bacco. I due personaggi divennero nei secoli quasi interscambiabili anche sespesso il paganesimo finì per prevalere sul cristianesimo. I due pargoli, Gesù e Giovanni, sono anche presenti nel dipinto della Vergine delle Rocce e anche lì sono come interscambiabili, nel senso che non c’è modo di stabilire quale dei due sia Giovanni e quale Gesù. La Vergine diventa un’immagine della Gran Madre che tiene i due bambini sotto la sua protezione mentre l’angelo sembra suggerire con il dito puntato orizzontalmente una corrispondenza identificativa tra i due putti.

Ci troviamo dunque di fronte alla sintesi di un cristianesimo strettamente connesso all’antico paganesimo in cui è oramai difficile distinguere l’uno dall’altro, dato che sono divenuti la stessa cosa. Si pensi per esempio al dipinto del Pontormo sulle Storie di Giuseppe in Egitto in cui sono raffigurate, oltre al fondamentale simbolo della scala con i 14 gradini, due statue che svettano accanto ad un certo edificio non proprio “egiziano” e che allude a una chiesa con tanto di croce. Non sono forse le statue rappresentazioni paganeggianti di Gesù e di Giovanni con le  braccia che puntano in alto?

Pontormo – Giuseppe in Egitto (1517-18)

Arte criptica

Edgar Wind in Misteri pagani nel Rinascimento (1958) scrivendo su pittori rinascimentali come Botticelli o Tiziano, osserva che certe opere erano concepite per gli iniziati e quindi, per essere comprese richiedevano un’iniziazione, in quanto possiedono un significato nascosto ed occultato. Egli nota che i pittori rinascimentali erano in possesso di un patrimonio dottrinale e filosofico che il lettore moderno stenta a comprendere. Quei capolavori sono “arte criptica” che richiede da parte nostra un complesso lavoro di decodifica. Il discorso su cui si costruiscono opere quali il Giudizio Universale di Michelangelo ha un senso sia esoterico che essoterico, sia privato che pubblico. Esteticamente parlando, per lo spettatore medio, la presenza residua di significati irrisolti costituisce un ostacolo al pieno godimento di un’opera d’arte. Per quanto grande sia la soddisfazione estetica generata, il sospetto che permangano significati inesplorati lo lascia nell’imbarazzo.

Lo stesso avviene in letteratura quando si legge Shakespeare, Spencer o Chapman. Il lettore ne viene avvertito: se anche non riesce a capire tutto riga per riga l’importante sarebbe lasciarsi prendere dal ritmo e dalla musicalità della poesia. Viceversa lettori e spettatori preferirebbero comprendere con chiarezza. Al contrario lo scopo dell’artista è di parlare di preferenza con chi è in grado di capire senza rivelare i misteri a chi non è nella situazione di farlo. Pico della Mirandola nel suo commento sulla Canzona d’amore di Beniveni scrive che gli argomenti divini e i sacri misteri non devono essere divulgati frettolosamente e che la conoscenza deve essere nascosta da veli ed enigmi e poetica dissimulazione. Pico riteneva che ci fossero misteri simili anche nella Bibbia. La legge era data ai molti ma la sua comprensione spirituale apparteneva a pochi.

Oscurità d’espressione ed autorevolezza

In verità l’oscurità dell’espressione, il mistero che circonda e dissimula l’idea è di per sé il più bell’ornamento, una potente fonte di attrazione. (Marrou) il senso del mistero e l’oscurità conferiscono profondità e quindi autorevolezza. Più una verità è nascosta e più diventa potente. (Festugières) Questo stesso modo di procedere lo troviamo nelle Scritture dove la composizione dell’eloquio è spesso criptica e destinata alla meditazione. La profezia si esprime con parole dette e non dette, dette a metà, ambigue, difficili se non impossibili da comprendere pienamente. Ciò fa venire in mente il gioco di parole di Apuleio che descrivendo la sua esperienza come neofita dei misteri di Iside scriveva: “Vedi, ti ho fatto conoscere ciò che tu non dovresti sapere per quanto tu stesso lo abbia udito” (Metamorfosi 11:23)

Un lato del pensiero di Leonardo generalmente poco conosciuto, è il forte contrasto che aveva con gli insegnamenti tradizionali della Chiesa Cattolica. Spesso, la sua narrativa pittorica nascondeva elementi non proprio “ortodossi”, che anzi in alcuni casi potevano anche passare per eretici. Insomma, nei suoi quadri, non solo rappresentava scene religiose, ritratti, battaglie o altro, ma dietro una superficie esteticamente perfetta egli inviava messaggi più o meno occulti. Molti furono i soggetti sacri dipinti dal grande artista i quali però, spesso, erano intrisi di contenuti simbolici a partire dal quadro di Giovanni Battista che lo raffigura con un dito puntato verso l’alto. Come mai? Cosa vuole dire? Quella postura della mano definita “il gesto di Giovanni”, ricorre in molte opere leonardesche ed è a tal punto un suo segno distintivo che nel dipinto della Scuola di Atene, Raffaello, ritraendo Leonardo nelle vesti di Platone, gli fece puntare il dito in alto in quel particolarissimo modo.

La Vergine e il bambino con Sant’Anna

Lo stesso gesto della mano, che appare ne “l’Adorazione dei Magi” spunta ovunque nei lavori di Leonardo. Pensiamo al bellissimo cartone per “La Vergine e il Bambino con Sant’Anna” in cui la sagoma appena sbozzata di una mano grande e sproporzionata, un evidente tratto simbolico, indica il cielo in alto. Anche qui ci troviamo di fronte ad un’antica divinità bicefala, un Giano bifronte al femminile, e quel dito che punta in alto è un invito ad astrarre. Ci troviamo di fronte alla trasformazione dell’antica Dea Madre e di Bacco-Dioniso-Osiride in una Madonna e in Gesù. Capire questo rappresenta, a mio modo di vedere, un risultato notevole, una vera illuminazione perché significa possedere la chiave di lettura di un grande periodo artistico e letterario.

I Magi nel Vangelo di Matteo

Di questo viaggio dei magi che costituisce il punto di partenza per le considerazioni contenute in questo articolo si legge in Matteo 2:1-12. “Essendo Gesù nato a Betleem di Giudea ai giorni del re Erode, ecco, degli astrologi vennero da luoghi orientali a Gerusalemme, dicendo: “Dov’è il re dei giudei che è nato? Poiché vedemmo la sua stella [quando eravamo] in oriente e siamo venuti a rendergli omaggio”. Udito ciò, il re Erode si agitò, e con lui tutta Gerusalemme. Radunati tutti i capi sacerdoti e gli scribi del popolo, domandava loro dove doveva nascere il Cristo. Essi gli dissero: “A Betleem di Giudea; poiché così è stato scritto dal profeta: ‘E tu, Betleem del paese di Giuda, non sei affatto la [città] più insignificante fra i governatori di Giuda; poiché da te uscirà un governante, che pascerà il mio popolo, Israele’”. Allora Erode, chiamati in segreto gli astrologi, si informò accuratamente da loro circa il tempo della comparsa della stella.

Mandandoli a Betleem, disse: “Andate e fate un’attenta ricerca del bambino, e quando l’avrete trovato fatemelo sapere, affinché anch’io vada a rendergli omaggio”. Udito il re, se ne andarono; ed ecco, la stella che avevano visto [quando erano] in oriente andava davanti a loro, finché venne a fermarsi sopra il luogo dov’era il fanciullino. Vedendo la stella, si rallegrarono moltissimo. Entrati nella casa videro il fanciullino con sua madre Maria, e, prostratisi, gli resero omaggio. E aperti i loro tesori, gli offrirono doni, oro, olibano e mirra. Comunque, avendo ricevuto in sogno divino avvertimento di non tornare da Erode, si ritirarono nel loro paese per un’altra via.” (Mt 2:1-2)

Erodoto

Il viaggio dei magi raccontato nelle Scritture rivela aspetti enigmatici che hanno portato alcuni a chiedersi se la vicenda possa essere considerata come reale o semplicemente allegorica. Naturalmente la narrazione evangelica non corrisponde esattamente alla comune tradizione popolare. Il testo non specifica quanto tempo dopo la nascita di Gesù fossero arrivati a Betlemme i Magi, né indica che Gesù e i suoi si trovassero ancora nel ricovero di pastori dove era avvenuta la nascita. Non si dice né che i Magi fossero re, né quanti fossero né come si chiamassero.

 Fu però grazie ai Magi che Erode fu informato della nascita di Gesù. I magi secondo Erodoto (1.101) erano originariamente membri di una delle tribù dei Medi investiti del ruolo del sacerdozio e istruiti nell’arte della divinazione. Erodoto (1.132) scrive che “nessun sacrificio può essere offerto senza la presenza di uno dei magi”. Padroneggiavano pure l’arte di interpretare i sogni (Erodoto 1.107, 1 20, 128). Strabone e Senofonte nella Ciropedia riferiscono che i magi officiavano di fronte al fuoco degli altari e offrivano libagioni. Il sommo sacerdote era detto magupat magupatan, cioè mago dei maghi.

Zoroastro

La loro relazione con Zoroastro è complessa e controversa. Infatti i magi sembrano essere stati politeisti. (Senofonte, Ciropedia 3.3.22; 8.3.11-12) mentre le dottrine di Zoroastro riguardo ad Auramazda (il cui nome significa “spirito che crea con il pensiero”) erano di tipo monoteista o dualista. Di fronte allo zoroastrismo i magi costituirono forse un elemento di resistenza. Dopo che Ciro nel 546 a. C. ebbe conquistato con il suo esercito l’Asia Minore un certo numero di Medi e Persiani accompagnati dai loro sacerdoti/magi si stabilirono nell’Asia occidentale, regione dell’odierna Turchia.

Il termine mago negli Atti degli Apostoli

Scrittori classici come Platone, Plinio il Vecchio e Plutarco sostenevano che Zoroastro stesso era un magos termine che in greco acquistò il significato di stregone. Anche i romani associavano i magi e le loro arti alla stregoneria (Tacito, Annali 2.27; 12.22, 59). Nel libro di Atti 8:9-24 troviamo il termine μαγεύω (mageuo cioè l’essere mago, associato a Simone, un samaritano. Egli vedendo i miracoli compiuti dagli apostoli ne avvertiva la potenza e la superiorità. Perciò offrì del denaro per ottenere le stesse capacità. Questo racconto mostra come il miracolo di un cristiano potesse passare magia agli occhi di un pagano. Mentre il libro degli Atti descrive Simone semplicemente come mago i primi padri della chiesa attribuivano a lui l’origine dell’eresia gnostica. Quando Apuleio fu accusato di magia egli sostenne che mago in Persia significava sacerdote.

Apuleio citò Platone per sostenere che i re persiani studiavano l’arte magica di Zoroastro. In Atti 13:6,8 si legge di uno stregone giudeo detto Elima Bar-Gesù, personaggio influente in Cipro alla corte del proconsole Sergio Paolo. Giuseppe Flavio nelle Antichità Giudaiche (20.1421) menziona un altro mago ebreo di origine cipriota grazie alle cui arti, Felice, governatore della Giudea, ottenne la mano di Drusilla (Cfr. Atti 24:24-25). Nel Nuovo Testamento il termine mago assume sempre connotazione negativa. Ancora in epoca ellenistica i magi avevano la reputazione di saper pronosticare il futuro. Cicerone nel De Divinatione 1.47 ricorda che alla nascita di Alessandro i magi interpretarono l’improvvisa apparizione di un fuoco nel tempio di Artemide ad Efeso come presagio di una grande calamità per l’Asia. Il nome di Caldeo assunse diversi significati in periodi diversi. Presso gli assiri e i Babilonesi poteva indicare gli abitanti della bassa Mesopotamia.

I Magi venuti a omaggiare il bambino Gesù

In epoca ellenistica mago poteva indicare un prete babilonese o uno studioso di astrologia. In epoca cristiana venne ad indicare un astrologo. Secondo Strabone in Babilonia i cosiddetti Caldei erano anche filosofi e studiosi di astronomia. Un fattore che potrebbe aver contribuito ad identificare i magi con gli astrologi Caldei è la loro associazione con Zoroastro. In questo nome i greci sottolineavano la presenza del termine astro, stella. Zoroastro era inteso nel senso di “adoratore delle stelle”. Legata a questo genere di associazione una quantità di materiale astrologico circolava sotto il nome di Zoroastro. G. Gnoli alla voce “The Magi,” in The Encyclopedia of Religion, ed. M. Eliade, New York: Macmillan, 1986 afferma che “la dottrina zoroastriana di un futuro salvatore, Saoshyant, fu alla base del viaggio dei magi a Betlemme raccontato nel vangelo di Matteo.

Un altro studioso, Giuseppe Messina (Der Ursprung der Magier, 1930) considera i magi seguaci di Zoroastro, e per questo uomini potenzialmente sensibili allo sviluppo della profezia ebraica del Messia. Anche alcuni dei padri della chiesa, per esempio Clemente di Alessandria, credevano la stessa cosa. Saoshyant è una figura di salvatore della religione zoroastriana. Egli doveva nascere da una vergine nella discendenza di Zarathustra, l’originale profeta dello zoroastrismo. Nella finale redenzione cosmica, a capo delle schiere del bene, egli affronterà nella suprema battaglia quelle del male e il suo trionfo segnerà il principio del rinnovamento del mondo. L’immagine ricorda il Messia ebraico e cristiano. La maggior parte dei Padri della Chiesa riteneva che i magi venissero dalla Persia. Ovviamente la stella andrebbe interpretata come un fenomeno soprannaturale, una forma di visione e non come un fenomeno celeste.

Fuga in Egitto

Arrivati a Gerusalemme cercarono informazioni circa il re appena nato. Erode venne a saperlo e segretamente li fece venire da lui. Informatosi della faccenda pregò i magi di portargli notizie del bambino dopo che lo avessero trovato. Nel partire da Gerusalemme verso Betlemme i Magi videro nuovamente la stella, che «li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino» (Mt 2,9). Questa descrizione, se interpretata alla lettera, è la più stringente e difficile da associare ad un fenomeno naturale. Si sta dicendo innanzi tutto che la “stella” si vede da Gerusalemme verso sud (cioè nella direzione di Betlemme), e che poi «si ferma sopra» una casa, che può indicare una posizione sulla verticale, in alto, oppure in basso avanti, traguardando l’edificio da lontano.

Sta di fatto che in quel momento i magi si rallegrarono di essere finalmente arrivati. Offrirono i loro doni, si resero conto della divinità regale del fanciullo e avvisati in sogno di non passare più da Erode tornarono alle loro terre. Giuseppe fu avvisato in sogno di portare il bambino in Egitto dato che Erode cercava di metterlo a morte. Da parte sua Erode, vedendosi tradito, mandò a sterminare i bambini della zona che erano sotto i due anni.

Allegoria

Il racconto di Matteo può essere letto come un’allegoria di ciò che sarebbe accaduto al cristianesimo in conseguenza del suo incontro/scontro con il paganesimo. Ne sarebbe scaturita ogni forma di amore ma anche grande odio e feroce persecuzione dell’uno nei confronti dell’altro e dell’altro nei confronti dell’uno e questo avrebbe percorso la storia nei successivi due millenni. “In Rama si udì una voce, pianto e gran lamento; era Rachele che piangeva i suoi figli, e non voleva esser confortata, perché non sono più”. (Mt 2:18) Ne seguirono stragi, roghi e ogni sorta di sopraffazione.

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