Van Gogh, Gauguin e il culto solare

Per carattere Van Gogh era ansioso di trovare un significato nella vita e per lui dipingere era come avventurarsi nel mondo dell’invisibile: era uno spirito religioso. Tutta la sua esistenza deve essere vista alla luce del rapporto simbiotico che aveva con il fratello Theo. Non appena finisce la vita di Vincent, incredibilmente, a sei mesi di distanza, finisce anche quella del fratello, appena trentatreenne. Qui il simbolismo gioca una parte da leone. I nomi sono, come al solito, portatori di grandi significati e valori. Vincent per riuscire ha bisogno di Theo e Theo per vivere ha bisogno di Vincent. Disgiunti non possono stare. In loro c’era un bisogno di assoluto inappagato e inappagabile. Sarà come l’interdipendenza di un uomo e di un dio nella ricerca di un senso, di vita e di vittoria.

Così scriveva Vincent a Theo, a proposito del disegno: “È l’azione di aprirsi un varco attraverso un invisibile muro di ferro, che sembra trovarsi fra ciò che si sente e ciò che si può.” Significa aprire una porta. Sono parole da cui emerge una profonda corrispondenza con una poesia di Montale, In limine, dove si legge: Se procedi t’imbatti tu forse nel fantasma che ti salva: si compongono qui le storie, gli atti scancellati pel giuoco del futuro. Cerca una maglia rotta nella rete che ci stringe, tu balza fuori, fuggi! Va, per te l’ho pregato, – ora la sete mi sarà lieve, meno acre la ruggine…

Attingere alle fonti dell’ispirazione artistica

 Van Gogh riesce ad esprimere, nei suoi dipinti, sentimenti e sensazioni così intense e dolorose che toccano alcune delle corde più profonde del nostro cuore. Egli è conosciuto non solo per il suo stile pittorico ma anche per la malattia mentale che diventava sempre più delirante quanto più la sua sensibilità artistica evolveva verso la morte, ufficialmente per suicidio. Si sparò o gli spararono? Questa risposta forse non cambia le cose. Ci potremmo però chiedere perché una personalità come la sua gradualmente evolve fino al dissolvimento. Perché una percentuale così grande di artisti scivola nella follia e si suicida? La figura di Van Gogh fu esaltata da Artaud, in un saggio intitolato “Van Gogh il suicidato della società” dove scriveva: «Come un’inondazione di corvi neri nelle fibre del suo albero interno», la società suicidò van Gogh.

Artaud parlando di Van Gogh, raccontava la sua «funebre e rivoltante storia di garrottato da uno spirito malvagio», e voleva mettere in luce ciò che significa essere artista: «una di quelle operazioni di oscura alchimia che hanno preso la natura per oggetto e il corpo umano per marmitta o crogiolo». Sarebbe come dire che l’artista, in balia di una potenza superiore, viene messo in grado di trasmutare gli oggetti più semplici della natura, come mosso da una forza esterna soffiata su di lui durante il processo creativo. La grandezza del pittore starebbe nella capacità di evocare all’interno dell’opera d’arte qualcosa che sconfina e apre una dimensione altra rispetto a quel quadro. L’obiettivo da raggiungere, in Van Gogh pienamente raggiunto, secondo l’intendimento di Artaud, sarebbe quello di saper scorgere e far sorgere il mito nelle cose semplici della realtà. Affrontare questo tema significa andare alle fonti originali dell’ispirazione artistica.

 L’emergere del mito

I girasoli, tema ricorrente nella pittura vangoghiana, sono un soggetto mitico, un simbolo eterno. Già Ovidio ne aveva narrata la leggenda nelle Metamorfosi. Apollo, il dio del Sole, si era innamorato di una ragazza di nome Leucotoe e trascurava le altre giovani con cui prima si dilettava. Una di queste, la ninfa Clizia, pazza di gelosia deperiva pian piano. Alla fine si lasciava morire a terra seguendo con lo sguardo i movimenti del Sole, così trasformandosi nel fiore che “segue” il sole, il girasole appunto. Il girasole sarà una figura che ritorna nel Montale degli Ossi di seppia (Portami il girasole ch’io lo trapianti / nel mio terreno…) e anche lì esprime l’aspirazione a sradicarsi dalla condizione terrena volgendosi verso l’alto, confondendosi con l’azzurro del cielo, alla ricerca del varco. Anche in Montale il girasole avrà una forte connotazione simbolica. Nelle Occasioni la donna senhal è appunto Clizia.

Il girasole fu fin dall’inizio un simbolo, un’espressione di riverenza verso Apollo, un implicito inchino al sole e al paganesimo a cui l’arte si dichiarò costantemente debitrice. Gli artisti furono sempre consapevoli di avere accanto le muse, concretissime presenze reali, insostituibile fonte d’ispirazione. In ogni tempo poeti e scrittori componevano in stati psichici particolari, prossimi alla trance. Van Gogh in una lettera [687] scrive: “A tratti ho una incredibile lucidità mentale, come in questi giorni, quando la natura è così bella ed io non sono più consapevole di me stesso e la pittura viene a me come in un sogno.” Egli era però anche consapevole del prezzo che lui stesso avrebbe dovuto pagare: “Sono in un certo senso preoccupato che questo porterà un seguito di malinconia quando verrà la brutta stagione”.

Il tema del doppio

Al momento della morte Vincent teneva in tasca queste parole: “Per il mio lavoro io rischio la vita e la mia ragione vi è quasi naufragata.”  Nell’ultimo periodo dipingeva in fretta, lottando contro la follia, in una trance che lo obbligava ad un lavoro sfibrante e lo esauriva. Gauguin nel suo diari lascia intendere che con Van Gogh avessero parlato dell’Horla di Maupassant. Si era ricordato di quel racconto dopo lo scandalo suscitato dall’affair dell’orecchio tagliato. I due pittori avevano creduto in una possibile reciproca amicizia ma trovandosi poi a condividere lo stesso tetto si accorsero di essere incompatibili. Sta di fatto che il 23 dicembre 1888 la cosa venne fuori in maniera imprevista. A Van Gogh fu reciso un orecchio. Vincent, dopo averlo lavato e impacchettato, lo portò in dono a una ragazza soprannominata Rachel, domestica in un bordello di Arles.

Gauguin e Van Gogh sono artisti che hanno rappresentato il tema del doppio. Vincent ha realizzato molti autoritratti e questi dipinti sono spesso considerati espressione del tema del doppelgänger che ti cammina accanto. Sembrano rappresentare il suo alter ego, il lato inquietante del suo spirito. In essi Van Gogh si rappresenta con caratteristiche ambigue e distorte, come se volesse esplorare la sua identità e la sua relazione con il mondo circostante. Gauguin dal canto suo dipinse un ritratto di Van Gogh a campiture a tinta piatta, in cui l’olandese sembra diviso. Egli ha raffigurato Van Gogh come un pazzo dalla personalità frantumata, un burattino completamente bloccato. Era il 1888 e Gauguin aveva ritratto l’amico Vincent con lo sfondo di un cavalletto mentre costruisce dal nulla, su una tela invisibile, una forma, un vaso di girasoli. Quando Van Gogh vide il quadro, esclamò esterrefatto: “Sono proprio io, ma diventato pazzo”.

Le Horla di Maupassant

La collera di Van Gogh aveva le sue motivazioni. C’erano delle ragioni personali: Gauguin dipinge Van Gogh con gli occhi socchiusi, il volto incassato nelle spalle, il braccio rigido, il busto come ingessato. Il risultato è l’immagine statica di uno spirito alienato, una specie di personaggio panico. Nel girasole più in alto c’è un cuore sorprendente: l’occhio di un inquietante Polifemo. Vincent rimase scioccato di fronte a questa rappresentazione che ne metteva in risalto la pura follia, soprattutto perché eseguita da colui che egli considerava in quel momento il suo più grande amico. Egli ne soffre intensamente e quattro giorni dopo qualcosa succede. Vincent, secondo una certa interpretazione dei fatti, si taglierebbe una parte dell’orecchio sinistro e lo porterebbe poi in un bordello. Gauguin torna a Parigi. Per Van Gogh si apre un calvario che lo porterà alla morte in meno di due anni.

Comprendere i retroscena di questa situazione non è faccenda immediata. Ci si avvicina meglio alla vita di un artista, quando è scritta in prima persona, soprattutto se con penna felice. Perciò bisogna partire dagli scritti, da un paio di lettere di Vincent e dal diario di Gauguin. Anche quest’ultimo era uno spirito intensamente religioso. Egli scriveva: “L’arte è un’astrazione, è un mezzo di salire a Dio, facendo come il nostro divino Maestro, creare. Cercare l’arte e l’astrazione nella natura, sognando alla sua presenza. Dio non è nel saggio, nella logica ma nei poeti, nel sogno, è il simbolo della Bellezza, la Bellezza incarnata.” Gauguin era arrivato ad Arles nell’ottobre del 1888. I due amici in una di quelle sere d’autunno dovevano aver letto e discusso un racconto, diciamo così, di tipo esoterico. Avevano parlato di Maupassant e del personaggio misterioso descritto nelle pagine di Le Horla.

Gauguin vuol tornare a Parigi

Dopo un’iniziale intesa, tra i due erano emerse incolmabili lacerazioni. Già dopo sei settimane di permanenza ad Arles, Gauguin esprimeva l’intenzione di ripartire. “Vincent ed io non possiamo assolutamente vivere insieme per incompatibilità di carattere, ed entrambi abbiamo bisogno di tranquillità. È un uomo di notevole intelligenza, lo rispetto, e mi dispiace dovermene andare; ma, ripeto, è necessario.” Queste le parole che Paul Gauguin scrive a Theo Van Gogh, fratello di Vincent, il 20 dicembre 1888.  [lettera 724] La sera del 22 dicembre Gauguin decise di partire. Questa decisione avrebbe messo Van Gogh in una crisi tale da spingerlo ad auto-mutilarsi tagliandosi l’orecchio sinistro. La polizia lo trovò privo di sensi in un bagno di sangue. Fu immediatamente portato all’ospedale. Il 26 dicembre egli si trovava in uno stato di tale confusione da dover stare in isolamento.

Due studiosi tedeschi, Hans Kaufmann e Rita Wildegans, in un libro dal titolo “L’orecchio di Van Gogh, Paul Gauguin e il patto del silenzio”, hanno ricostruito l’avvenimento di Arles esaminando i rapporti di polizia dell’epoca e vecchi ritagli di stampa, giungendo ad una loro conclusione. Gauguin e Van Gogh quella notte litigarono violentemente, magari perché il francese voleva andarsene mentre l’olandese non accettava l’idea di essere abbandonato. Per difendersi dall’aggressione di Vincent, Gauguin lo avrebbe colpito all’orecchio con un fendente della sua spada. Van Gogh, per una sorta di tacito assenso tacque sempre sulla faccenda per non esporre l’amico al rischio di una condanna, forse perfino capitale. Il taglio dell’orecchio potrebbe essere letto avendo in mente la scena di Giovanni 18:10 quando Pietro sfoderando la spada colpisce Malco all’orecchio. Di Vincent, Gauguin in una lettera scrive: “Possedeva una grande gentilezza, o piuttosto l’altruismo del Vangelo”.

724 (731, 565): To Theo van Gogh. Arles, on or about Tuesday, 11 December 1888. – Vincent van Gogh Letters

Vincent scrive a Paul a Parigi

Nella lettera 739 indirizzata a Gauguin, datata 21 gennaio 1889, Van Gogh scrive: “Ti spedirò le tue cose, ma a volte sono sopraffatto dalla debolezza e non riesco neppure a fare lo sforzo di mandartele. Adesso che ti scrivo sono calmo ma non sono ancora stato in grado di preparare il pacco. Durante la mia febbre nervosa, la mia pazzia, non so quasi come dire, come nominarla, i miei pensieri veleggiavano su molti mari. Ho perfino sognato la Nave del Fantasma Olandese e l’Horla, e a quanto pare cantavo.” Egli era in preda a tremende allucinazioni, incubi e attacchi di panico. [741, 743] Uscito dall’ospedale egli narra di sé: “Ci sono momenti in cui mi dibatto tra entusiasmo, pazzia o profezia come una pizia greca sul suo tripode” [745] Poi riprende le attività ma un mese dopo è nuovamente in preda al delirio.

Nell’autobiografia di Gauguin, Avant et Après (1903), si trovano alcune pagine che potrebbero far luce sulla vicenda. In relazione al tragico incidente Gauguin accenna al fatto che subito dopo quel gesto Vincent prese un gessetto e scrisse sul muro “spirito santo”, giocando sull’ambiguità del doppio significato di sano di mente e spirito divino. Anche Gauguin, in quell’occasione, scrisse sul suo taccuino parole: Incas, Serpente, Mosca sul cane, Leone nero, L’assassino in fuga, Säul Paul, Salvare l’onore (danaro tavola), Horla (Maupassant). E ancora Ictus. Su un’altra pagina disegnava se stesso, un tacchino, un poliziotto e la scritta Mistero alle spalle. Egli scrive: “Tra la verità e la favola non sono mai stato in grado di distinguere e questo vi offro per quel che può valere.” Credo che entrambi agissero sotto l’impulso di una forza trascendente.

 Visionare dal 41’ e seguenti Bernadette Murphy: Van Gogh and Gauguin | National Gallery – Bing video 

23 dicembre 1888

Sulle vicende occorse quella notte poco prima del Natale ‘88 Gauguin racconta e lascia degli appunti. Erano giorni di pioggia e loro due in casa continuavano a bisticciare. Lui esce in piazza a farsi una sigaretta e sente dietro i passi di Vincent. Uno dei due estrae di tasca un rasoio. Difficile sapere quale dei due. Gauguin scrive a Emile Bernard tacendo su questo dettaglio. Entrano nel bar e lì Vincent rovescia la bibita a Paul in testa. Poi mentre quest’ultimo dice: “Io me ne vado. Non ne posso più”, portano dentro un giornale. Vincent ne strappa un pizzino dalla parte alta di una pagina e indica una riga in particolare: Le meurtrier en fuite, l’assassino in fuga. Poi Gauguin trascorre la notte in albergo. Non se la sente di rientrare alla casa gialla. Il giorno dopo dell’accaduto Vincent non ricorderà più nulla.

Nei suoi appunti Gauguin scrive frasi apparentemente insignificanti ma una è proprio le Meurtrier en fuite.  Era la storia di un uomo che a Parigi aveva ucciso qualcuno ed era fuggito. Gauguin tira anche in ballo due personaggi biblici, il re Saul e Paolo di Tarso. Perché? Gauguin si chiama Paul che è la forma latinizzata di Saul. Ora Saulo aveva in sé due nature, una positiva, semplice e modesta ma l’altra era un cattivo spirito che lo metteva contro Davide fino a desiderarne la morte. In un’occasione, mentre Davide suonava l’arpa, Saul ‘cominciò a comportarsi da profeta’. Non che cominciasse a pronunciare profezie, ma evidentemente manifestò una particolare commozione e un turbamento fisico simile a quello di un profeta quando profetizza. In preda a quell’insolito turbamento, Saul due volte scagliò una lancia contro Davide ma fallì il colpo entrambe le volte. Fu Paul a colpire Vincent? Chissà!

L’Horla

Il racconto (1886) è scritto sotto forma di diario a partire dall’8 maggio per finire il 10 settembre. Al 17 agosto il protagonista scrive: “Con un balzo furioso, il balzo di una bestia ribelle, che vuole sventrare il suo domatore, ho attraversato tutta la stanza per afferrarlo, per stringerlo, per ucciderlo… ma la poltrona, prima che la raggiungessi, si è ribaltata come se lui fosse fuggito davanti a me… la tavola ha oscillato, la lampada è caduta e si è spenta e la finestra si è chiusa come se un delinquente sorpreso si fosse lanciato nella notte, chiudendo dietro di sé a mani aperte i battenti. Quindi, si è salvato; aveva paura, paura di me… lui! Allora… allora… domani o dopodomani… o un giorno qualunque potrò tenerlo sotto i miei pugni sul pavimento! Non capita, infatti, che i cani qualche volta mordano o strangolino i loro padroni?”

Il narratore avverte una presenza invisibile, l’Horla, di cui si rende conto per la prima volta mentre si trova in mare a bordo d’un battello. Terrorizzato, egli descrive l’Horla come un doppio che a poco a poco devasta la sua vita. Sempre più in preda alla follia, per eliminare l’Invisibile, l’uomo incendierà la sua stessa abitazione, dove moriranno bruciati vivi i suoi servi. Alla fine, vista l’inutilità di quel sacrificio, il narratore pensa che il proprio suicidio sarà l’unica via d’uscita. Egli scrive: “No, no… senza dubbio, senza dubbio… non è morto. Allora… allora… bisogna che mi uccida io!” Si tratta di una novella misteriosa e simbolica fin dal titolo di cui il significato sembra sfuggire. Si sono tentate diverse spiegazioni, eppure solo una pare soddisfacente: che sia contrazione di hors là e che quindi riporti in sè il concetto di qualcuno/qualcosa che sta fuori, oltre il varco, estraneo, straniero.

La letteratura del fantastico

“Lo sento e lo so… e sento anche qualcuno avvicinarsi, guardarmi, palparmi, montare sul letto, inginocchiarmisi sul petto, prendermi il collo fra le braccia e stringere…stringere a tutta forza per strozzarmi. Io mi dibatto, legato dall’atroce impotenza che ci paralizza nei sogni.” (25 maggio) Le Horla nasce da un breve racconto, La lettera di un folle, pubblicato da Maupassant nel 1885 che sviluppava già il medesimo tema senza che il nome Horla vi fosse preannunciato. La redazione dell’Horla coincide con le prime avvisaglie della follia di Maupassant sempre più vittima di allucinazioni e di sdoppiamento della personalità. Lo scrittore tenterà il suicidio nel 1892. Il fantastico come genere letterario coincide con l’irruzione del soprannaturale nella realtà, è la comparsa di fatti inspiegabili sull’orizzonte razionale del lettore. Tzvetan Todorov inquadra il fantastico in un momento di incertezza tra l’accettazione del soprannaturale e una sua spiegazione razionale.

Gli elementi del soprannaturale e del fantastico fecero parte della letteratura fin dal suo inizio. Il Romanticismo apprezzava molto il soprannaturale, la tradizione, l’immaginazione. Uno dei primi risultati letterari di questa fascinazione fu il romanzo gotico, un genere letterario che ebbe inizio in Gran Bretagna con Il Castello d’Otranto (1764) (1764) di Horace Walpole. Esso è il predecessore sia del genere fantasy moderno sia del moderno horror e soprattutto, portò alla comune definizione di “gotico” come connesso all’oscuro e all’orrido. Tra le caratteristiche principali dei romanzi gotici vi erano terrore, mistero, il soprannaturale, fantasmi, edifici infestati, il fato, la morte, la pazzia, maledizioni ereditarie, e così via. L’atmosfera fantastica e onirica pervase la letteratura romantica come pure la musica e la pittura. Come Maupassant anche scrittori del calibro di Edgar Allan Poe e Oscar Wilde insieme a molti altri hanno sviluppato il tema del fantastico e perfino dell’horror.

 

Gog e Magog

Van Gogh e Gauguin sono nomi legati da una stessa radice, evocativi di Gog e Magog. La radice è allusiva, inquietante, si pensi a Ezechiele Cap 38-39 e ad Apocalisse 20. Siamo in presenza di un doppio, l’individuo e la sua ombra, come dire Gog e Goghino. Su di loro uno spirito negativo incombe, una mortale lotta fratricida. L’Horla, lo spirito, è il vero Doppio antitetico, lo specchio. Gauguin durante il soggiorno Bretone, di poco precedente a quello in Arles, dipinse la lotta con l’angelo, nella celebre Visione dopo il sermone. “L’artista proponeva una forma d’arte capace di tradurre «fenomeni che ci sembrano sovrannaturali, ma di cui abbiamo la sensazione». Tutte le forme visive da lui elaborate, già nei dipinti degli anni bretoni, miravano alla rappresentazione di un dominio extra-percettivo, traendo il loro straordinario potere di suggestione dalla fusione tra naturale e sovrannaturale.” (Nifosì)

Detto in parole semplici Gauguin si muoveva in un ambito affine all’Horla, affine ai temi che l’ottocento aveva esaltato. Entrambi, Gauguin e Van Gogh, esprimevano uno stesso credo nell’invisibile. In una lettera Van Gogh scriveva: “Rembrandt ha dipinto degli angeli. Fa un ritratto di sé [San Matteo e l’angelo, del Louvre], vecchio, sdentato, grinzoso, il capo coperto da un berretto di cotone, quadro secondo natura, in uno specchio. Sogna, sogna, e il suo pennello ricomincia il suo ritratto, ma di testa, e l’espressione ne diventa più straziata e più straziante. Sogna, sogna ancora, e perché e come non so, ma allo stesso modo che Socrate e Maometto avevano un genio familiare, Rembrandt, dietro quel vecchio che ha una rassomiglianza con lui, dipinge un angelo soprannaturale dal sorriso alla Vinci. […] Rembrandt non ha inventato niente, e quell’angelo e quel Cristo misterioso, è che lui li conosceva, li sentiva là.

L’angelo di Rembrandt è figura rassicurante, ispiratrice, l’angelo di Gauguin è ambiguamente allusivo a un sabba, un demonio. Si guardino gli occhi di una delle donne a sinistra della composizione. Sono occhi di strega, di serpente, di drago. Si noti l’espressione di santocchieria nella donna di profilo con le mani giunte. Gauguin scriveva a Van Gogh nel settembre 1888: “Credo di aver raggiunto nelle figure una grande semplicità rustica e superstiziosa.” Proseguendo il discorso su Rembrandt, Van Gogh giunge a scrivere: Delacroix dipinge un Cristo con l’inatteso di una nota limone chiaro: e quella nota colorata e luminosa è nel quadro ciò che è la misteriosità ineffabile e il fascino di una stella in un angolo di firmamento. ([512] a Emile Bernard – Arles, luglio 1888) Queste parole ci aiutano a interpretare il senso di quello che è probabilmente il suo dipinto più famoso, Notte Stellata.

Nell’Horla, 17 agosto, si leggono queste parole: “Non c’era luna. Le stelle avevano sul fondo del cielo nero degli scintillii frementi. Chi abita quei mondi? Quali forme, quali esseri viventi, quali animali, quali piante si trovano laggiù? Coloro che pensano negli universi lontani, cosa sanno più di noi? Cosa possono fare più di noi? Cosa vedono che noi non conosciamo affatto? Uno di essi, un giorno o l’altro, attraversando lo spazio, non apparirà sulla nostra terra per conquistarla, come i Normanni un tempo attraversavano il mare per assoggettare popoli più deboli?” La Notte Stellata di van Gogh presenta due contrapposizioni, il cielo e la terra, i cipressi e la guglia del campanile. Ciò rimanda al rapporto dell’uomo con il divino e alla dicotomia tra Cristianesimo e Natura, tra il Dio della Bibbia e l’animismo panteistico dei filosofi.

Ictus e il culto del sole

Tra le parole che Gauguin inserisce nei suoi appunti in seguito all’incidente dell’orecchio con il serpente, il cane, le mosche, gli inca e l’Horla, c’è il termine Ictus. Come primo significato, si tratterebbe di un attacco improvviso causato dalla chiusura di un vaso cerebrale che colpisce il sistema nervoso. Gauguin poteva però giocare con un’altra parola, Ichthus, greco per pesce, un noto simbolo con cui si è spesso rappresentato il Cristo e il cristianesimo. Si tratterebbe di un doppio senso atto a suggerire lo stato di confusione mentale di Vincent e nello stesso tempo a convogliare un significato esoterico. Il Pesce in greco si dice IXTHYΣ (ichtùs). Disposte verticalmente, le lettere di questa parola formano un acròstico: Iesùs Christòs Theòu Uiòs Sotèr = Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore. Per l’ebraismo il pesce era l’idolo di Dagon. Siamo qui di fronte all’ambivalenza del termine cristianesimo. Il Cristo non è platonico.

Nel corso dei secoli Cristo si vestì sempre più di abiti greci. Il platonismo, rinato verso la fine del XIV secolo, si proponeva il recupero delle concezioni misteriche, astrologiche e sapienziali dell’antichità pagana, andate perdute nel corso dei secoli. Una delle conseguenze più evidenti fu l’ingresso di soggetti mitologici nelle opere d’arte, riletti in chiave cristiana quali portatori di arcane verità, testimoni di una perduta armonia. Con la filosofia platonica si vagheggiava il modello di una società ideale teocentrica fondata sul culto del sole. L’ideale della nuova religione si basava su un ritorno al sentimento religioso pagano a cui si ispirava l’Inno al Sole di Pletone che nel suo Trattato delle leggi aveva recuperato antiche formule del culto solare. Ora il sole è tema cardine della pittura vangoghiana così come in quella di Gauguin che dipinse molte opere che rappresentano il sole come simbolo di vita e di energia.

La Bibbia e la Joie de vivre di Zola

Natura morta con Bibbia è un altro dei dipinti in cui Vincent esprime simbolicamente un conflitto: il dualismo religioso tra cristianesimo e culto solare. Il dipinto fu realizzato nel 1885 dopo la morte del padre, Théodorus, avvenuta nel marzo 1885. Il loro era stato un rapporto difficile, irto di contraddizioni e sentimenti contrastanti: le difficoltà professionali ed umane di Vincent, infatti, avevano incrinato la quiete famigliare dei genitori. Dunque, questo dipinto è anche un tentativo di interpretare un legame complesso come quello intercorrente tra un padre e un figlio. Il quadro fu dipinto a Neunen, il paese dove vivevano i genitori di Van Gogh, presso i quali l’artista stesso aveva convissuto tra il 1883 ed il 1885. Salta immediatamente all’occhio l’enorme Bibbia richiudibile al centro della composizione, con accanto una candela spenta sulla destra ed un libretto giallo in primo piano.

 Ogni singolo elemento è stato messo nella propria posizione perché ha un particolare significato. La Bibbia è aperta su un particolare profeta, sul Libro di Isaia che contiene la profezia messianica relativa al Servo del Signore. Oltre alle candele, accanto alla Bibbia c’era anche un libretto giallo: si tratta di un romanzo, “La Joie de vivre”, scritto da Émile Zola, contemporaneo di Vincent. Il contrasto tra la grande Bibbia ed il libretto allude al difficile rapporto che Vincent aveva con suo padre, pastore protestante. Questo introduce nella dinamica del dipinto un forte elemento di contrasto tra l’oscurità del libro sacro e la solarità del libro profano. L’occhio dell’osservatore viene subito attirato dalla copertina gialla del romanzo moderno, come per sottolineare la tensione ideologica e religiosa presente tra Vincent e suo padre (che detestava Zola ed i naturalisti francesi, ritenendoli «immorali»), il dualismo onnipresente tra il culto biblico e il sole.

La follia di Dioniso

Nella simbologia cristiana il vino rappresenta il sangue di Cristo, che si paragona alla “vite” e i discepoli ai “tralci”. Quando i Cristiani vollero elaborare un proprio linguaggio artistico il vino, la vite, l’euforia dionisiaca e il mondo gioioso che era appartenuto prima a Dioniso/Bacco e al suo corteo, divennero le immagini simboliche più utilizzate dalla nuova religione monoteista. Temi dionisiaci come la follia, l’estasi, la gioia di vivere, il senso panico della natura, il sole, la terra, la vigna, il vino, l’assenzio, l’ulivo, l’edera sono pure simboli tipicamente vangoghiani. Non a caso l’unico dipinto che Van Gogh poté vendere è la Vigna rossa. Questo dettaglio non può essere ignorato. La vita di Van Gogh e la sua vicenda artistica fioriscono sotto l’incantesimo di un dio, e questo dio non è assolutamente il Cristo.

La vicenda dell’orecchio sarebbe da leggere come un momento di esaltazione bacchica. Così pure la vicenda narrata nel vangelo si può leggere in senso profetico. Sarebbe figura del costante dissidio tra Cristo e il paganesimo. L’importanza dell’orecchio come simbolo di ascolto e ubbidienza è sottolineata dovunque nelle Scritture. Anche in Gauguin le due categorie nietzschiane di apollineo e dionisiaco sono sempre presenti. Gauguin si riferiva a questi concetti per descrivere la sua arte e la sua visione del mondo. L’Apollineo ha attinenza con la bellezza ideale, la perfezione formale, mentre il Dionisiaco si riferisce alla passione, all’irrazionalità e all’energia vitale. Queste due categorie artistiche sono evidenti nella rappresentazione delle due sedie, quella semplice e solare di Van Gogh e quella più ricercata e notturna di Gauguin.

Van Gogh. Sedie
La follia nel mondo antico

Come moltissimi dei più grandi artisti Van Gogh si trovò a lottare con la follia. Oggi molti tentativi sono stati fatti per definire di che disturbo mentale egli soffrisse. Ma presso gli antichi chi era colpito da “mania” era un “posseduto”, mosso da una forza invisibile che proviene da una divinità o da un demone. La follia era la conseguenza di una contaminazione, in particolare di una contaminazione “sacra” e il folle contiene in sé una forza ambivalente, positiva e negativa, che esalta e che distrugge al tempo stesso. Nelle Scritture il profeta può rivelarsi falso o veritiero.

Come scrive Giulio Guidorizzi in Ai confini dell’anima. I Greci e la follia: “Per i Greci la follia non fu solo il baratro buio della ragione, ma anche l’incontro con sfere nascoste della mente e con una dimensione dalla quale un essere umano resta escluso finché la mente non lo abbandona; non fu intesa solo come un cedimento della coscienza, ma anche come un mezzo per forzare i suoi limiti e dilatare la personalità. Perciò lo statuto della follia in Grecia oscilla tra due estremi: in parte corruzione dell’anima, in parte profonda esperienza dello spirito, poiché solo attraverso la follia si può giungere a esplorare l’estremo confine della natura umana.” (pag. 11) La follia di Dioniso (milanoplatinum.com)

Vincent van Gogh: The Complete Letters (vggallery.com)

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