
Cosmogonia e cosmologia sono scienze divine. I più antichi scritti relativi all’origine della terra e alla forma dell’universo scaturiscono dai racconti del mito, arte divinatoria. Anticamente lo scrittore non creava soggettivamente l’opera, perché il racconto gli veniva trasmesso dalla Musa, e non era frutto di sapienza individuale. Le cosmogonie si svilupparono sempre in ambito religioso, dato che nessun uomo ha mai visto la terra dall’esterno in modo da darne una descrizione fotografica. Per poterne tracciare uno schizzo, per quanto a grandi linee, l’umanità necessita di una visione a 360°, di una guida spirituale che travalichi i limiti dell’umana percezione. Il termine cosmogonia significa letteralmente «nascita del cosmo» e indica la dottrina o il complesso di miti riguardante l’«origine dell’universo». Cosmogonia è in definitiva la “narrazione della creazione”, il racconto di come fu generata la terra. La cosmologia, dal canto suo, studia la struttura del cosmo e le sue leggi.
I greci non parlavano di universo ma piuttosto di cosmo, che significa ordine. Universo, parola latina, cominciò ad essere usato nel primo secolo a.C. Il termine deriva da universus, composto da unus e versus (che gira, da vertere). La contrazione poetica dell’aggettivo unorsum, da cui deriva l’aggettivo universus, fu usata per la prima volta da Lucrezio nel Libro IV, 262 del De rerum natura. Ciò indica qualcosa “che gira come un tutt’uno”. L’espressione può essere considerata traduzione di un’antica parola greca che corrispondeva a universo, περιφορά (periforá, “movimento circolare” che descrive il percorso del cibo fatto circolare lungo la cerchia dei commensali). Περιφορά si riferiva alla volta del cielo secondo l’antico modello delle sfere celesti, che secondo la descrizione di Aristotele erano messe in moto da un unico “essere”, tramite il “Primo Mobile” o “Primo Motore“. I greci, come risaputo, si riferivano all’universo come κόσμος (cosmo) e φύσις (natura).
La cosmologia di Tito Lucrezio Caro
Dall’analisi etimologica del termine Universo emerge chiaramente il concetto originale. La cosmologia antica concepisce la terra come una sfera ruotante nella sua parte superiore, il duomo, che trascina con sé il movimento delle stelle. Lucrezio credeva nell’esistenza di infiniti mondi. Nel libro II, 174-176, il poeta scrive: «necesse est confiteare esse alios aliis terrarum in partibus orbis et varias hominum gentis et saecla ferarum» che tradotto recita: «è necessario riconoscere che esistono altrove nel vuoto altri globi terrestri e diverse razze di uomini e specie di fiere». Il termine latino orbis significa cerchio, giro, circolo, sfera, globo. Dunque Lucrezio crede nella cosmologia delle origini, secondo cui la terra è costituita da una sfera ma abitata solo in quella zona particolare posta sul piano medio secante di quel globo.
Lucrezio ritiene che gli dei, poco interessati alle nostre faccende, vivano fuori del mondo, negli intermundia. Nella filosofia epicurea gli intermundia (in greco metakósmia) si identificano col vuoto, presente fra gli infiniti mondi, dove abitano gli dei. Il dibattito sulla pluralità dei mondi alimenta una speculazione che daterebbe almeno dai tempi di Talete (circa 640-545 a.C.) e che è continuata nel tempo, in varie forme. Talete viene indicato come il primo filosofo greco ad iniziare la ricerca della archè (ἀρχή), ossia del «principio», identificato empiricamente nell’acqua, da cui tutte le cose avrebbero avuto origine. L’importanza dell’acqua è evidente anche in un altro concetto attribuito a Talete e riportato da Aristotele, secondo il quale la Terra poggia sull’acqua e vi galleggia come un pezzo di legno. (De caelo 294 a 28) Questo concetto diventa chiaro solo se prendiamo in considerazione la cosmologia antica, come postulata per esempio dai sumeri.

La cosmogonia sumera e Talete
In principio, per i Sumeri, vi era il Mare Primordiale o Nammu. Dal Mare emerse la Montagna cosmica, che aveva per base quello che sarebbe divenuto l’emisfero inferiore della terra, e per cima il futuro duomo, la sommità del cielo. La Montagna conteneva in principio Cieli e Terra, ancora uniti insieme e non distinti. Il Cielo, nella personificazione di An, e la Terra, nella personificazione di Ki, generarono il dio dell’Aria Enlil. A questo punto avvenne la separazione: An “tirò” il Cielo verso di sé, mentre Enlil “tirava” la Terra. Dall’unione di Enki e Ninhursag nacquero tutti gli esseri viventi, dei, uomini, animali e piante. Inoltre, i sumeri introdussero il concetto di ME, sorta di iperuranio che sembra rappresentasse una potenziale essenza creatrice, sia astratta che concreta, alla base dell’esistenza di tutto il Creato. Ogni oggetto ed ogni concetto ed idea avevano il proprio ME.
Talete pensava che la Terra poggiasse sull’acqua senza affondare: quest’idea si comprende alla luce degli originali concetti cosmologici mesopotamici. Si deve immaginare perciò un duomo vitreo e impermeabile, munito di turbine all’intorno, posto in movimento dall’acqua che lo circonda. L’acqua, in un rapido fluire, mette in movimento le turbine della cupola della Terra, trascinando con sé le stelle. Talete dovette immaginare la sfera della Terra come circondata dalle acque, resa impermeabile e protetta da una cupola superiore che contiene il cielo e le stelle. Alcuni studiosi hanno collegato strettamente le due affermazioni di Talete sull’acqua: Talete postulava l’origine di tutte le cose nella profondità dell’abisso e, poiché la Terra, il cui bacino inferiore risulta stazionario, poggia su una piattaforma d’acque, l’acqua sarebbe l’origine di tutto. Per Talete l’archè era l’acqua poiché egli, come Aristotele suggerisce, notava che il nutrimento di tutte le cose è umido.
Il globo terracqueo di Platone e Aristotele
Il concetto di globo non è per nulla antitetico all’ipotesi geocentrica. Secondo Talete la terra è un disco ondulato, piatto, immobile e circondato dall’acqua del fiume Oceano. Il tutto è posto all’interno di una grande sfera che contiene le stelle fisse e ruota di un giro completo ogni giorno con l’asse di rotazione passante per la stella polare. Anche nel Fedone di Platone (108d-115a) la Terra, nelle parole di Socrate, è una sfera di cui noi abitiamo soltanto una sua parte. Essa è infatti come una grotta sovrastata dall’aria, in cui noi abitiamo all’interno. Ora, sulla terra, a sua volta, esistono cavità e voragini, la principale delle quali è quella che Omero e i poeti chiamavano Tartaro, in cui confluiscono tutte le acque di fiumi e mari e da cui poi fuoriescono nuovamente.
Anche il cosmo di Aristotele è un sistema geocentrico. Il geocentrismo implicito nella sfericità della Terra sarebbe conseguenza della gravitas dell’elemento “terra”: «…E che muovendosi in egual proporzione da ogni punto dell’estrema periferia verso un unico centro, si dovesse necessariamente formare una mole uguale da ogni parte è evidente: infatti se ad un corpo si aggiungono quantità uguali da ogni parte, avranno necessariamente la stessa distanza dal centro. Così la figura che si ottiene è appunto quella di una sfera…». Questa tendenza dei solidi a posizionarsi verso il centro della Terra si spiega proprio perché esso coincide col centro cosmico. Aristotele esclude con precise motivazioni che la Terra ruoti su sé stessa, ma attribuisce il movimento soltanto ai cieli.
Visione interna ed esterna della cupola
«Io, prima di tutto, son convinto di una cosa,» riprese Socrate, «che se la terra è al centro del cosmo ed è rotonda, essa, per non cadere, non ha bisogno né dell’aria, né di alcun altro sostegno del genere; ma ciò che basta a reggerla è l’omogeneità costante dell’universo e il perfetto equilibrio della terra stessa. Infatti, una cosa equilibrata, posta al centro di una sostanza omogenea, non potrà mai inclinarsi da nessuna parte, né poco né tanto ma, risultando essa stessa omogenea, resterà immobile.» … «Poi,» riprese, «ritengo che la terra sia grandissima e che noi, dal Fasi alle colonne d’Ercole, non ne abitiamo che una ben piccola parte, solo quella in prossimità del mare, come formiche o rane intorno a uno stagno; e molti altri popoli vivono anch’essi in regioni un po’ simili alle nostre.»
«Ecco, amico mio, quel che si dice, che per prima cosa questa vera terra, a chi la guardi dall’alto, appare come una di quelle palle di cuoio, divise in dodici spicchi, iridescente e come intarsiata di diversi colori. Di codesti colori perfino quelli che di solito usano i pittori sono immagini appena. E quella terra lassù, tutta di questi colori è dipinta, ma molto più luminosi e più puri dei nostri: ora, infatti, è purpurea, di una meravigliosa bellezza, ora è color dell’oro o tutta bianca, più bianca del gesso e della neve, e gli altri colori, poi, di cui è composta, assai più numerosi e più belli di quanti noi mai ne abbiamo visti. E le stesse cavità della terra, colme corsie son d’acqua e d’aria, assumono una colorazione particolare nella gamma variopinta degli altri colori, così che la terra appare in una sua tonalità cangiante e uniforme insieme
Le pietre che compongono il duomo
Socrate procede nella descrizione della cupola: «Le pietre sono come di smalto, trasparenti, dai vividi colori, di una bellezza estrema; le nostre pietruzze di quaggiù, quelle che teniamo in gran conto, sardonici, diaspri e simili, ne sono i frammenti. Lassù, insomma, non v’è nulla che non sia come queste nostre gemme, anzi tutto è ancora più bello. E la ragione è che lì le pietre sono pure, non corrose, né guaste, come le nostre, dalla putredine e dalla salsedine che son prodotte da tutto ciò che quaggiù confluisce e che apportano deformazioni e malattie alle rocce, alla terra, agli animali e così pure alle piante. E quella terra non è soltanto ornata di tutte queste bellezze ma anche d’oro e d’argento e d’altri metalli del genere. Essi si trovano alla superficie, in gran quantità, dovunque, ed è una visione meravigliosa concessa a spettatori beati.»
Socrate continua il suo discorso visionario descrivendo i beati che vivono insieme agli dei in quelle felici latitudini: «Quello che per noi, per i nostri bisogni, è l’acqua e il mare, per loro è, l’aria e ciò che è l’aria per noi, per loro è l’etere. E le stagioni son così temperate che quella gente non conosce malattie e vive una vita assai più lunga della nostra. Ed è così superiore a noi per la vista, per l’udito, per l’intelligenza, per ogni altra facoltà, come l’aria lo è per purezza rispetto all’acqua e l’etere all’aria. Lì vi sono anche boschi sacri e templi, dove realmente abitano gli dei e si avverano oracoli e profezie, per cui, veramente, quegli uomini hanno contatti visibili e rapporti concreti con le divinità. […] E v’è ogni altra beatitudine che s’accompagna a queste cose.»
La nuova Gerusalemme
Questi luoghi beati, questa palla costituita come di dodici spicchi a che si potrebbe paragonare? Viene in mente la descrizione della nuova Gerusalemme in Apocalisse 21 dove si legge: “Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il vecchio cielo e la vecchia terra erano scomparsi, e il mare non c’era più. E vidi la città santa, la Nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo…Quindi mi portò mediante lo spirito su un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, con la gloria di Dio. Brillava come una pietra preziosa, come una pietra di diaspro cristallino. Aveva mura grandi e alte con 12 porte, e alle porte c’erano 12 angeli; sulle porte erano scritti i nomi delle 12 tribù dei figli d’Israele.
La meraviglia di Socrate di fronte allo splendore della cupola celeste, il platonico iperuranio, ricorda molto la descrizione delle fondamenta della città celeste, il luogo della dimora divina al di sopra della distesa dei cieli. (Eze 10:1) Giovanni in Apocalisse 21 scrive: “Le mura erano fatte di diaspro, e la città era d’oro puro, come vetro trasparente. Le fondamenta delle mura della città erano adorne di ogni genere di pietre preziose: il 1º fondamento era di diaspro, il 2º di zaffiro, il 3º di calcedonio, il 4º di smeraldo, il 5º di sardonica, il 6º di corniola, il 7º di crisolito, l’8º di berillo, il 9º di topazio, il 10º di crisoprasio, l’11º di giacinto, il 12º di ametista. Le 12 porte erano 12 perle; ciascuna porta era fatta di una sola perla. La strada principale della città era d’oro puro, come vetro trasparente.”
Iperuranio
Per Platone le cose concrete non sono che un’ombra delle ideali. Egli attribuisce al mondo iperuranio, il luogo delle idee perfette, un significato oggettivo, concreto. Secondo Platone l’Iperuranio è quella zona al di là della cupola celeste dove risiedono le idee. Dunque l’Iperuranio è quel mondo oltre la volta celeste che appartiene a Dio, è sempre esistito, non tangibile da enti terreni e corruttibili. Nella cultura classica la volta celeste rappresentava il limite estremo del cosmo terrestre. Il termine Iperuranio indica una zona al di là del cielo, un mondo puramente spirituale, metafisico. Le idee stanziate nell’Iperuranio sono indispensabili per l’esistenza del mondo fenomenico. (Fedro)
Nella lettera di Paolo agli Ebrei si legge qualcosa di affine quando dice che le cose della terra sono un’ombra del cose celesti, e anche che la Legge è un’ombra delle buone cose avvenire. (Ebrei 8:5; 10:1) Non a caso anche i padri della chiesa videro in Platone qualche forma di collegamento con le Scritture.
Le acque si raccolgono nel Tartaro
Nonostante l’apparenza fantastica della descrizione che Platone mette nella bocca socratica, il concetto della vera terra ne esce possente. «Vi sono cunicoli profondi per dove molta acqua passa da una regione all’altra come in grandi bacini e fiumi perenni, sotterranei, di enorme grandezza, che portano acque calde e fredde; […] E tutti sboccano, questi fiumi, in quelle regioni e le colmano dove, di volta in volta, la corrente li riversa; e la causa di questo, di tutti questi fiumi che vanno su e giù, è data da un movimento pendolare sotterraneo dovuto al fatto che fra le tante voragini della terra, ce n’è una, la più vasta, che la perfora da parte a parte, quella di cui parla Omero quando dice: ‹molto lontano, dove sotterra c’è un baratro immenso› quella, insomma, che non solo lui, in altri passi, ma anche altri poeti, chiamano Tartaro.
In questo baratro confluiscono tutti i fiumi per poi, nuovamente, defluire e ciascuno di essi assume un proprio aspetto a seconda la natura del terreno che attraversa. Il motivo per cui tutte queste acque correnti piombano in questo baratro e ne tornano a sgorgare è che questa gran massa d’acqua non ha né un fondo né una base ma resta come sospesa e ondeggia, quindi, su e giù. Lo stesso è per l’aria e il vapore che la circonda: esso segue, infatti, il corso delle acque, sia quando precipitano verso la parte opposta della terra che quando ritornano in su verso la nostra: un po’ come quando noi respiriamo, che provochiamo un continuo flusso e deflusso d’aria, così anche laggiù, il vapore, seguendo il moto delle acque, dà origine, quando entra e quando esce, a terribili venti vorticosi.»
Earthmeasured e Le vere misure della Terra (piatta)
È abbastanza sorprendente notare le somiglianze tra le descrizioni della terra del Fedone e la cosmologia che emerge dai vari frammenti scientifico-letterari dei miti mesopotamici. A proposito delle acque cosmiche Platone mette in bocca a Socrate queste parole: «Da qui, nuovamente, tutte quelle acque si inabissano nella terra e, dopo aver percorso giri ora più brevi ora più lunghi e numerosi, si riversano ancora nel Tartaro; alcune molto più in giù del punto da cui erano sgorgate, altre meno, ma sempre tutte si gettano in un punto più basso di quello da cui, prima, scaturirono. Talvolta irrompono dalla parte opposta, altre volte dalla medesima. Ve ne sono, poi, alcune che, dopo aver circondato la terra con uno o più giri, a spirale, come serpenti penetrano così in profondità da sfociare, poi, nel punto più basso del Tartaro.»
Quest’idea di una raccolta delle acque cosmiche in un abisso detto Tartaro corrisponde ad una necessità fisica e teorica. Anche noi di Earth-Measured abbiamo proposto nel nostro libro Le vere misure della Terra (piatta) questa ipotesi. L’idea fondamentale è che nel sottosuolo terrestre, cioè nel bacino di contenimento le acque siano tutte collegate tramite appositi canali in grado di mettere in comunicazione le acque interne e quelle che avvolgono la sfera dall’esterno. Anche le cosmologie antiche, analogamente alla cosmologia biblica, descrivono la presenza di un oceano di sopra o celeste. Gli scrittori antichi avevano immaginato le stelle come pesci dotati di proprietà bioluminescenti. Presso di loro gli astri erano considerati come animali, creature viventi e animate. Per Ovidio le stelle sono liquide e perfino descritte come lucidi pesci. Anche le metamorfosi ovidiane, come la Bibbia, si aprivano con la narrazione delle origini del mondo.
Aristarco di Samo
Anche se la maggioranza dei filosofi antichi individuarono la terra abitata come una certa zona interna ad una sfera, alcuni pensatori introdussero per la prima volta l’eliocentrismo. Aristarco di Samo (310 a.C.-230 a.C. circa) fu uno di questi, così pure Eratostene (267 a.C.-164 a.C.). Quest’ultimo riuscì in un famoso esperimento ricordato ancora oggi e che aveva il merito di misurare con notevole precisione il raggio della Terra. Sul vero significato di questo risultato si legga l’articolo “L’esperimento di Eratostene sulla Terra piatta”. Gli scritti di Eratostene sono andati quasi del tutto perduti ma Cleomede, cosmografo e divulgatore astronomico greco, vissuto forse nella seconda metà del 2º sec. a. C., dedica due pagine alla descrizione dell’esperimento della misurazione della terra. (Περὶ τῆς ἀναμετρήσεως τῆς γῆς) Attribuire alla Terra un movimento eliocentrico era la premessa per dare forma ad un universo infinito con un sole centrale.
Questo artificio sarebbe servito a consolidare nel tempo l’idea di un universo nato dal caso e della vita come frutto di evoluzione. Aristarco prestò il suo personale sostegno all’idea che la Terra subisse un movimento di rotazione attorno al proprio asse, inclinato rispetto al piano dell’orbita. L’obiezione che doveva affrontare era piuttosto impegnativa. Egli dovette spiegare perché le stelle mantengono la loro posizione relativa nel corso degli anni e non si spostano invece l’una rispetto all’altra come dovrebbe accadere a causa del movimento della Terra. Egli cercò di giustificare la sua teoria dicendo che le stelle sono così lontane che non è possibile vedere cambiamenti nelle loro posizioni relative. Molti filosofi vissuti prima avevano rifiutato il modello eliocentrico, ma sembra che dopo Aristarco l’idea cominciasse ad essere accettata almeno per alcuni decenni. Ad esempio, Plinio il Vecchio che finì col ritenere valide le ipotesi di Aristarco.
La distanza del sole e della luna secondo Aristarco di Samo
Aristarco si interrogava circa le dimensioni e le distanze del sole e della luna. A questo proposito Leopardi nella sua storia dell’Astronomia scrive: Egli determinò la distanza del Sole dalla Terra, che egli credé 19 volte maggiore di quella della Terra medesima dalla Luna e trovò la distanza della Terra dalla Luna, di 56 semidiametri del nostro globo. Credette che il diametro del sole fosse non più che 6 o 7 volte maggiore di quello della Terra e che quello della Luna fosse circa un terzo di quello della Terra medesima. Fu dogma di Aristarco il moto della Terra, ed egli, per tale opinione, reputossi da Cleante reo di empietà, quasi avesse turbato il riposo dei Lari e di Vesta» Le intuizioni di Aristarco oggi, in un mondo sempre più propagandato come eliocentrico, sono ritenute come geniali anticipazioni sui tempi.
Oikoumene
Il verbo oikeo in greco significa abitare. Nel caso di una città il verbo ha relazione con il fatto di essere abitata. Quindi il motivo per cui nella Bibbia si parla di terra abitata come oikoumene è perché nella cosmologia antica la terra è concepita come una sfera la cui parte abitata si trova al centro. Non tutta la terra è abitata ma l’oikoumene lo è. Il termine che ricorre in Mt 24:14, Lu 2:1, At 17:6, Ri 12:9 è giustamente quasi sempre tradotto “mondo” ed indica la “terra abitata”. Il termine ebraico corrispondente è tebhel che la versione dei LXX rende come oikoumene. Quindi questi due termini indicano nelle Scritture quella specifica parte del globo che è la terra abitata e coltivata dall’uomo. Per esempio, un famoso passo di 1Cronache legge: “Tremi davanti a lui tutta la terra. È stabile il mondo, non potrà vacillare!” (16:30)
In ebraico, in questo versetto in cui la terra piatta emerge in tutta la sua chiarezza, ricorre il termine tebhel che la Bibbia di Gerusalemme rende come mondo. Qui la Vulgata di Girolamo rende in latino tebhel con orbis. “Commoveatur a facie ejus omnis terra: ipse enim fundavit orbem immobilem.” La LXX dice chiaramente: “La terra non si muove”: φοβηθήτω ἀπὸ προσώπου αὐτοῦ πᾶσα ἡ γῆ, κατορθωθήτω ἡ γῆ καὶ μὴ σαλευθήτω. Il verbo greco σαλευω significa muovere che nel contesto è preceduto dalla negazione, μὴ, quindi non si muove!
La pluralità dei mondi
Per quanto concerne il discorso della pluralità dei mondi, esso emerge anche nelle Scritture, in particolare in Ebrei 11:3 dove si legge: “Per fede comprendiamo che i sistemi di cose furono preparati mediante la parola di Dio, per cui ciò che si vede è venuto all’esistenza da ciò che non si vede.” Πίστει νοοῦμεν κατηρτίσθαι τοὺς αἰῶνας ῥήματι θεοῦ εἰς τὸ μὴ ἐκ φαινομένων τά βλεπόμενα γεγονέναι. Il termine greco αἰῶνας viene anche reso come universi o mondi. Implica fondamentalmente le ere infinite in cui storicamente scorre il tempo dell’umanità. Implica e rende possibile il passaggio da una terra ad un’altra nel corso dei millenni. Il termine ha relazione con il più remoto futuro, ma anche con il più remoto passato.
Non a torto Paolo qui ci dice che è impossibile comprendere completamente la realtà visibile se non si comprende l’invisibile. Molti aspetti spirituali sono imprescindibili per comprendere la realtà fisica. Pensiamo per esempio alla tavola degli elementi di Mendeleev o al modello atomico di Bohr. Questi due fondamentali momenti della chimica e della fisica tra Ottocento e Novecento furono compresi in sogno da due scienziati che non potevano, nonostante i molti tentativi, essere portati a compimento con le sole forze umane. Lo stesso avvenne per la doppia elica del DNA che Francis Crick vide in una visione. Tutta la storia umana è strettamente connessa all’influenza di entità spirituali angeliche che indirizzano i percorsi umani, per il bene e, più spesso, per il male. Tutto il mondo giace nella potenza del malvagio. (1 Gv 5:19)
Conclusione
Comprendere il mondo che ci circonda richiede percezione spirituale così come per comprendere la storia della civiltà umana ci vuole una qualche intelligenza del mistero. Una delle importanti pedine che si muovono sullo scacchiere terreno è proprio un tipo invisibile che escogita e trasmette agli uomini visioni, sogni, intuizioni e pensieri. Se pensiamo al percorso che va dalla scoperta di elementi chimici come l’uranio, i raggi X, il radio, il polonio fino alla bomba atomica ci interroghiamo sul senso di un tale cammino. Questi segreti furono compresi da “scienziati” che si interessavano di occulto, di magia e di spiritismo. Sulla questione dell’eliocentrismo e sulla menzogna da secoli propagandata riguardo alla natura dell’universo che ci circonda vale lo stesso discorso. Keplero e Galilei si appassionarono di astrologia e pur propugnando teorie eliocentriche si affidavano ad una disciplina intrinsecamente geocentrica.
Questa passione del Galilei per i segni zodiacali e gli influssi degli astri sull’uomo è uno dei segni dell’ambiguità di un personaggio privo di autentica onestà intellettuale. Egli non riteneva necessario doversi allontanare fino in fondo dalle precedenti visioni cosmologiche. La sua passione per gli oroscopi mostra come l’immagine mitizzata dell’astronomo come uomo dedito unicamente alla ricerca scientifica sia ingannevole e non tenga conto della realtà. Galilei tracciò oroscopi e guadagnò con essi, come le fonti attestano ripetutamente, e non studiava le costellazioni zodiacali e le congiunzioni degli astri solo per necessità di arrotondare lo stipendio, ma perché ci credeva. L’oroscopo più importante che gli fu commissionato fu quello per il granduca Ferdinando I de’ Medici che si era ammalato nel 1609. L’oroscopo dava speranza, ma Ferdinando morì pochi giorni dopo. Da questo comprendiamo come l’eliocentrismo si fondi sulla menzogna e lasci trasparire origini demoniche.
Earthmeasured e il libro sulla terra piatta
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Sopra: modello della terra piatta elaborato da Earthmeasured
Illustrazione in apertura: Bosch, Trittico delle delizie ad ante chiuse
