
Esoterismo e magia finirono per sedurre i poeti sempre. Nei Fiori del male Charles Baudelaire, poeta orientato verso la teosofia e l’occultismo di Swedenborg, in un sonetto intitolato Corrispondenze scrive della natura come d’un tempio vivente che l’uomo attraversa. Nella composizione aleggia il senso del sacro e un profumo d’incensi.
È un tempio la Natura ove viventi
pilastri a volte confuse parole
mandano fuori; la attraversa l’uomo
tra foreste di simboli dagli occhi
familiari. I profumi e i colori
e i suoni si rispondono come echi
lunghi che di lontano si confondono
in unità profonda e tenebrosa,
vasta come la notte ed il chiarore.
Esistono profumi freschi come
carni di bimbo, dolci come gli òboi,
e verdi come praterie; e degli altri
corrotti, ricchi e trionfanti, che hanno
l’espansione propria alle infinite
cose, come l’incenso, l’ambra, il muschio,
il benzoino, e cantano dei sensi
e dell’anima i lunghi rapimenti.
Questo sonetto è considerato il manifesto della poesia simbolista. Il titolo rimanda ad una realtà più profonda che si può conoscere attraverso i simboli, che corrispondono a un qualcosa di occulto, ossia all’essenza del mondo. Il poetare viene assimilato ad un atto magico, ed ecco che il poeta è veggente: riesce ad andare al di là delle apparenze per cogliere la realtà. Si scopre che al di là del reale, attorno e dentro di noi, come attorno e dentro alle cose, aleggia un mondo invisibile, impercettibile al pensiero logico e razionale. È un mondo fatto di misteriosi richiami, di profonde risonanze psicologiche. Il poeta è colui che scopre che questi elementi a livello più profondo stabiliscono una fitta rete di relazioni, di occulti legami. Al di là dell’apparenza dei fenomeni, c’è una profonda tessitura che collega il mondo in un’unica totalità. C’è lo spirito, l’anima mundi degli antichi.
Sinestesie
Le corrispondenze tra suoni, colori e profumi sono legami invisibili, voci che svelano l’unità magica dell’universo. Il compito del poeta è quello di penetrare la profondità delle cose per cercare di coglierne gli accordi segreti. E lo può fare attraverso la sinestesia che sarà lo strumento espressivo in grado di cogliere queste corrispondenze. Ad una sensazione olfattiva può corrispondere una componente visiva, come per esempio nell’immagine dei profumi verdi come praterie. La sinestesia ha la possibilità di unificare in un significato comune i vari dati dei sensi. Si tratta di un amalgama di sensazioni, vale a dire che una percezione sensoriale può evocare effetti propri di altri sensi, come un profumo che può richiamare sensazioni tattili, uditive, visive. Toccherà al poeta il compito di decifrare questi simboli nascosti, grazie alla sua sensibilità di veggente. La poesia assume il valore di rivelazione di un mistero.
Queste intuizioni baudelairiane, con le soluzioni stilistiche a cui danno luogo, aprono la strada alla poesia simbolista successiva. L’opera compiuta è una sintesi perfetta di tutti gli elementi psichici, come una sinfonia. Si tratta di una visione del reale di tipo mistico. La natura è paragonata a un tempio. Le varie forme materiali non sono che i simboli di una realtà spirituale che si colloca al di là delle cose. Una rete di legami misteriosi unisce la realtà fenomenica in un’unità occulta. Per decifrare questo linguaggio segreto occorre rinunciare alla visione razionale che si ferma alla superficie e abbandonarsi alle sensazioni che, nella loro essenza non razionale, mettono in comunicazione con il profondo. Infatti, al di là delle apparenze, soggetto e oggetto non sono distinti, ma uniti in una unità profonda, direi religiosa. Per questo sono soltanto le sinestesie che possono cogliere i legami occulti che uniscono tutto il reale.
Magia: corrispondenze e sinestesia
Anche in magia le corrispondenze svolgono un ruolo importante e sarebbero evidenti in tutto l’universo. Per esempio ad ogni colore vengono tradizionalmente associati una serie di valori corrispondenti. Per esempio il bianco viene associato alla purezza, all’energia attiva, il nero al male, a sortilegi malefici. Il rosso all’elemento fuoco, il verde all’elemento terra, il viola alla spiritualità e via dicendo. Ci sarebbero poi le corrispondenze planetarie con il corpo umano, le corrispondenze in riflessologia, e tra le corrispondenze fondamentali, la regola del “così in basso come in alto”, o del “simile che risponde all’opposto”. Si tratta di conoscenza intuitiva del mondo naturale, dove la natura è intesa come vivente, un’entità dotata di pensiero. Discorso simile varrebbe per le sinestesie che, in magia, si fondano sulla teoria che ci siano particolari associazioni tra parole, colori e suoni, proprio come teorizzato da Baudelaire.
Nel Rinascimento era il mago colui che poteva conoscere questo complesso sistema di corrispondenze che rimandavano al tutto. La magia rinascimentale era una grandiosa costruzione che univa e mescolava neoplatonismo, astrologia, alchimia, ermetismo ed esoterismo. La conoscenza magica era considerata un modo per raggiungere la perfezione individuale. Nel Medioevo si pensava che il potere magico derivasse dal potere dei demoni e S. Tommaso nella Summa dichiarava apertamente che la pratica della magia era opera demonica. Tuttavia nel Rinascimento tale concezione veniva ribaltata. I filosofi vedevano la magia come un modo privilegiato di portare la natura umana alla sua perfezione e raggiungere traguardi non raggiungibili in altro modo. I maghi rinascimentali potevano vantare una vasta cultura esoterica che proveniva loro dal paganesimo classico e dall’ermetismo. Il mago era considerato un vero e proprio filosofo.
La magia come fenomeno trasversale
I grandi libri della magia rinascimentale si presentano ai nostri occhi come il frutto di una strana mescolanza. Troviamo in uno stesso libro pagine di meccanica e di chimica, ricette di medicina, codificazione di scritture segrete, squarci di metafisica, riflessioni di teologia nonché riferimenti alla magia egiziana e ai profeti biblici, riflessioni di carattere astrologico e riferimenti ai grandi filosofi del medioevo in sintesi. Gli autori rinascimentali fingono, o quantomeno sembrano non percepire, il baratro esistente tra la loro visione magico-astrologica del mondo e la visione cristiana dell’Universo e non avvertono barriere tra la magia e la scienza. La figura del mago è posta su un piedistallo, è considerato come un uomo che ha saputo raggiungere un livello di sapienza superiore e si pone su un piano inaccessibile ai profani. Per tale ragione egli non può e non deve rompere il segreto iniziatico.
È impossibile isolare completamente la storia della magia dalle altre discipline dato che la magia tende al dominio della natura che è un tutto. Nella vita reale le distinzioni vengono meno e la magia svolge una funzione unificatrice. Ha influenzato la religione, l’arte, l’agricoltura, l’industria, la scienza, la politica e le istituzioni. La chimica nasce dall’alchimia, che era magia. Le stesse modalità di pensiero legano i cacciatori primitivi che creavano le pitture parietali nelle caverne, al mago del Novecento, intento a tracciare il cerchio magico nel silenzio delle foreste o nella confusione delle grandi metropoli. In tutte le civiltà e in tutte le epoche storiche la magia è stata una presenza costante, un mezzo attraverso cui l’uomo ha cercato di dominare gli aspetti più inquietanti della realtà. Naturalmente la Bibbia condanna sempre tale pratica. Ma questo non ha impedito ai maghi di perseverare nei loro intenti.
Occultismo e letteratura
Soltanto da poco gli accademici hanno incominciato a investigare con rigore scientifico i rapporti intercorsi tra il mondo letterario e quello dell’occulto, superando infine una lunga diffidenza. Gli studiosi in genere finiscono per ignorare il vero sfondo su cui le più grandi opere letterarie affondano le proprie radici. L’occulto è un sostrato di conoscenze rifiutate e ipocritamente tenute nascoste che hanno come nucleo centrale una variegata raccolta di dottrine di tipo magico-ermetico. Questo insieme culturale è stato largamente diffuso tra le élites intellettuali d’ogni tempo. Fu in ambienti permeati di cultura esoterica che si formarono i protagonisti della scena letteraria mondiale. Consideriamo per esempio il tema del poeta vate o veggente. Questo fenomeno non potrebbe sussistere senza la percezione di un substrato spirituale insito nel mondo e nello spirito umano. Si tratta di ammettere un concetto di base: l’ispirazione come proveniente dal mondo del soprannaturale.
Una mentalità completamente data all’ateismo difficilmente potrebbe seguire il filo di questi discorsi. Già tra i romani i poeti erano vati, che significava indovini, visionari e profeti. Il mito e la poesia furono fin dall’inizio legati al culto. Le tragedie di Eschilo, Sofocle o Euripide costituivano momenti liturgici. Il teatro nasce dal mito, che è religione. Anche Arthur Rimbaud si proponeva come un poeta-veggente, era uno dei poètes maudits, come Baudelaire e Verlaine o come tanti altri che frequentavano i circoli artistici di Montparnasse, nella Parigi di metà Ottocento. Poeti immorali e maledetti, che avendo compiuto un lungo percorso esoterico, si erano ribellati al cristianesimo e alla morale cristiana. Giovanissimo, Rimbaud legge Baudelaire, si nutre di filosofia e di occultismo, e si accende in lui la vena poetica, la furia antiborghese e anticlericale. Comincia a comporre poesie e concepire la funzione del poeta come quella di veggente.
Il poeta si fa veggente
“Dico che bisogna essere veggente, farsi veggente. Il Poeta si fa veggente mediante un lungo, immenso e ragionato sregolarsi di tutti i sensi. Concepisce la poesia come raggiungere l’ignoto, scrutare l’invisibile, udire l’inaudito: il poeta è veramente un ladro di fuoco… Ha l’incarico dell’umanità, degli animali addirittura … di trovare una lingua, un linguaggio universale! Questa lingua sarà anima per l’anima, riassumendo tutto, profumi, suoni, colori, pensiero che aggancia il pensiero e tira.” Scrive a Verlaine, che abita a Parigi. “Vieni, cara grande anima, ti chiamiamo, ti aspettiamo”, gli risponde il più maturo e affermato poeta. I due letterati iniziarono una vita di sregolatezze, ricorrendo abbondantemente all’alcol, all’assenzio, alle droghe. La loro relazione omosessuale scandalizza la Parigi letteraria, e rovina il matrimonio di Verlaine. La loro relazione si fa sempre più tormentata. Fino a che Verlaine, in un eccesso d’ira, spara a Rimbaud due colpi di rivoltella. Finisce in carcere.
Contemporaneamente Rimbaud, nascosto nel granaio di una casa di campagna, compone uno dei suoi poemi più celebri, Una stagione all’inferno: “Oggi credo d’aver terminato la relazione del mio inferno. Era proprio l’inferno; l’antico, quello di cui il figlio dell’uomo aprì le porte. Dallo stesso deserto, nella stessa notte, sempre i miei occhi stanchi si ridestano alla stella d’argento… Quando mai andremo, al di là dei lidi e dei monti, a salutare la nascita del lavoro nuovo, la saggezza nuova, la fuga dei tiranni e dei demoni, la fine della superstizione, ad adorare – per primi! – Natale sulla terra!” Poi, compiuti i diciannove anni, abbandona la poesia. Il genio precoce si mette in silenzio. La sua vita diventa distacco, fuga: forse una scelta consapevole di annullarsi, di autodistruggersi. L’esempio di questo sedicenne non è che un modello che ci permette di capire il destino tragico di molti artisti.

Vocali
A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu: vocali,
io dirò un giorno i vostri ascosi nascimenti:
A, nero vello al corpo delle mosche lucenti
che ronzano al di sopra dei crudeli fetori,
golfi d’ombra; E, candori di vapori e di tende,
lance di ghiaccio, bianchi re, brividi di umbelle;
I, porpore, rigurgito di sangue, labbra belle
Che ridono di collera, di ebbrezze penitenti;
U, cicli, vibrazioni sacre dei mari verdi,
quiete di bestie ai campi, e quiete di ampie rughe
che l’alchimia imprime alle fronti studiose.
O, la suprema Tromba piena di stridi strani,
silenzi attraversati dagli Angeli e dai Mondi:
– O, l’Omega, ed il raggio violetto dei Suoi Occhi!
Il sonetto «Vocali» è una delle poesie di Rimbaud più discusse. René Etiemble l’ha definito «un capolavoro magicoalchimisto-kabbalisto-spiritualisto-psicologico-erotico-megaïco-strutturalista». Le ipotesi sulle fonti d’ispirazione di Rimbaud sono varie. L’autore fu certamente sedotto dalla teoria delle corrispondenze e della sinestesia di Baudelaire, ma poté anche risentire dell’influenza della cabala e dell’alchimia. La cabala è una dottrina che si fonda sull’idea che tra i nomi e le cose che essi designano ci sia un legame non casuale. Le lettere dell’alfabeto fungono da intermediari tra il mondo della materia e quello spirituale. In ebraico, per esempio, alef rappresenta il bue, beth la casa, ghimel il cammello, Dalet la porta, etc. L’alchimia, dal canto suo, era considerata la scienza per eccellenza contenente i principi di tutte le altre. Per suo tramite si cercava l’oro e l’elisir di lunga vita. Gli alchimisti usavano un linguaggio criptato, impenetrabile ai profani, che loro soltanto potevano capire.
La fonte del genio
Virginia Woolf non lascia dubbi sul vantaggio di avere una fonte d’ispirazione affidabile, e afferma che “L’ispirazione è quando dalla tua penna esce fuori la scrittura di qualcun altro più bravo di te.”. Anche un premio Nobel disse qualcosa di simile. Il tedesco Hans Spemann (1869-1941) condusse importanti osservazioni nel campo della embriologia. Attraverso varie fasi, dalla formulazione di Spemann, si giunse alla clonazione della pecora Dolly. Egli comprese che il tessuto embrionale di tritone, trapiantato in quello di rana, rimaneva tessuto di tritone, e viceversa. Egli resta una figura di spicco nel campo dell’embriologia, e può quasi essere definito “l’inventore della tecnica della clonazione”. Fu il primo nel 1938 ad elaborare l’idea del trasferimento di nucleo di una cellula somatica in una cellula uovo privata del proprio nucleo, che si poté applicare però solo parecchi anni dopo per l’assenza, a quei tempi, di mezzi adeguati.
Lo scienziato avrebbe detto: “Durante i miei esperimenti mi impegno in una sorta di dialogo e mi sembra che il mio interlocutore sia molto più intelligente di me. La sensazione di profonda sorpresa abbraccia il ricercatore che è in contatto con questa incredibile realtà.” Non riusciva a capire di dove venisse quel pensiero brillante ma sapeva che veniva da fuori. Si era semplicemente imbattuto nel lavoro di esseri superiori che agivano in lui e si chiedeva perché fossero così intelligenti. Qui si sfora nel tema del doppelgänger, il doppio, (letteralmente colui che ti cammina accanto), tema comunissimo in letteratura, pittura, musica, scienza. Si pensi a Schumann e ai suoi alter-ego, Eusebio e Florestano. Si pensi ai molti premi Nobel nelle varie discipline, (scientifiche e non solo), che ricevettero ispirazione di tipo paranormale. Per esempio, i Curie erano spiritisti, frequentavano i medium e le sedute in cui ballavano i tavolini, etc.
Montale
Nelle poesie di Montale si avvertono le influenze del Simbolismo francese. Egli resta particolarmente suggestionato dalle avanguardie, dalla lirica di Baudelaire, Rimbaud, Verlaine o Mallarmè. Naturalmente, come molti altri, Montale fu sempre in dialogo col mistero. Disse anche di aver scoperto la poesia grazie alla musica. Era di fatto portatore di ambedue le vocazioni: sia quella musicale, sia quella poetica. Ma una sola delle due giunse a maturità, anche se non abbandonò mai completamente l’altra. Scrisse Accordi, un insieme di sette liriche pubblicate nel 1922, dedicate ognuna a uno strumento musicale diverso, di cui una fondamentale fu Violoncelli. L’intenzione era quella di imitare attraverso metriche, strumenti fonetici e strutture poetiche, quel che è il suono proprio a ciascuno degli strumenti da cui le liriche prendono il titolo. Escluse poi sei delle sette poesie dagli Ossi di seppia e ne parlò sempre con reticenza. Perché?
Violoncelli
Ascolta il nostro canto che ti va nelle vene
e da queste nel cuore ti si accoglie,
che pare, angusto, frangersi: siamo l’Amore, ascoltaci!
Ascolta il rosso invito del mattino
che rapido trascorre come ombra d’ala in terra;
assurgi dal vivaio dei mortali
d’opaca creta, ignari d’ogni fiamma,
e seguici nel gurge dell’Iddio
che da sé ci disserra,
echi della sua voce, timbri della sua gamma!
Come l’esagitato animo allora
esprimerà scintille che giammai
avresti conosciute! La tua forma
più vera non capisce ormai nei limiti
della carne: t’è forza di confonderti
con altre vite e riplasmarti tutta
in un ritmo di gioia; la tua scorza
di un dì, non ti appartiene più. Sarai
rifatta dall’oblio, distrutta dal ricordo,
creatura d’un attimo. E saprai
i paradisi ambigui dove manca
ogni esistenza: seguici nel Centro
delle parvenze: (ti rivuole il Niente!)
L’iniziazione di Montale alla poesia
Questa composizione, Violoncelli, segna un momento iniziatico. Ecco il perché… Contiene l’invito che gli rivolgono le Muse affinché il poeta ascolti il loro canto. Saltano agli occhi, in Violoncelli, i numerosi imperativi, i quali compongono una serie incalzante in apertura del componimento, a cominciare proprio dalla prima parola: Ascolta il nostro canto…Ascolta il rosso invito del mattino…assurgi dal vivaio dei mortali…seguici nel gurge dell’Iddio, echi della sua voce. (vv 1, 3, 4, 6, 8, 22). Poi ancora le muse incoraggiano l’adolescente (ovvero il poeta) insistendo su una prospettiva di risveglio, perché il suo “esagitato animo allora esprimerà scintille” che giammai avrebbe conosciute! C’è ormai una prospettiva numinosa, un transumanar, se vogliamo dirla con Dante, uno spiritualizzare, un trascendere la carne: “La tua forma più vera non capisce ormai nei limiti della carne…la tua scorza di un dì non ti appartiene più”.
Gli inviti si rivolgono a un solo “tu” sottinteso, l’adolescente o poeta (allora ventenne) a cui l’Amore si rivolge. Accordi contiene un sottotitolo tra parentesi che non è casuale: (Sensi e fantasmi di una adolescente). La ragazza qui non è più il soggetto assoluto della poesia, bensì l’oggetto di forze esterne che la corteggiano esercitando su di lei notevole pressione. Sembra di ritrovare l’antico Amore di trovatori e stilnovisti, che però qui appare più minaccioso e i paradisi sono ambigui… Il canto dell’amore ha voce di violoncelli: non una, ma molte sarebbero le muse… Il loro canto si insinua nelle vene della giovane protagonista prima di colonizzarne il cuore, di prenderne possesso. L’amore è dunque una forza esterna: non si irradia dall’interno, ma parte da un’entità esterna. È in corso una metamorfosi. L’atteggiamento del poeta nei confronti di queste presenze ammiccanti appare però incerto, titubante, dubbioso. Eppure alla fine accondiscende.
L’incertezza sul destino
Ne “Il sogno del prigioniero”, entrato già nell’ambiguità di quel paradiso ma cessato l’abbaglio degli inizi, quando, credendosi ai piedi del suo “Amore”, la paglia gli sembra oro e la lanterna vinosa è focolare, il poeta è ancora incerto sul proprio destino finale. Scrive “e ancora ignoro se sarò al festino / farcitore o farcito”, perché “L’attesa è lunga, / il mio sogno di te non è finito.” Pensiamo al finale del Faust di Goethe. Margherita alla fine sembra graziata e sale in alto, nonostante l’infanticidio commesso. Evidentemente Goethe sperava ancora nel valore salvifico della magia. L’esoterismo suo non era trascendenza ma percorso di uscita dal mondo attraverso una fessura nel tempo circolare. È semplicemente la speranza di poter raggiungere una dimensione più alta. Un Montale più maturo invece si chiede: “Ed ora che ne sarà / del mio viaggio?”, cioè che ne sarà della mia vita?
È palese la ricerca di un senso all’esistenza perché “troppo accuratamente l’ho studiato / senza saperne nulla. Un imprevisto / è la sola speranza. Ma mi dicono / ch’è stoltezza dirselo.” È evidente che il poeta si scopre incapace di dare una spiegazione alla vita, tanto che non ne sa dare un giudizio. Del diavolo egli scrive che a lui va dato il rispetto che si deve al più forte. È qui che spunta il solito tema del doppio che si può trovare in tanti romanzi che si rispettano.
L’immagine del diavolo può sembrare
malvagia ma non è. A lui dobbiamo
forse non la Maiuscola ma il rispetto
ch’è dovuto al più forte. Ormai non si presenta
come cane barbone o frate grigio. È un amico,
un buon amico che ci trae dai guai,
un padrone di casa che tratta a meraviglia
i suoi contubernali.
La ricerca del varco
Montale è alla costante, continua ma insperata ricerca di un varco, della maglia rotta nella rete… Così si legge nel testo introduttivo degli Ossi di seppia, In limine:
Se procedi t’imbatti tu forse nel fantasma che ti salva:
si compongono qui le storie, gli atti
scancellati pel giuoco del futuro.
Cerca una maglia rotta nella rete
che ci stringe, tu balza fuori, fuggi!
Va, per te l’ho pregato, – ora la sete
mi sarà lieve, meno acre la ruggine…
Qui la presenza di un’entità salvifica è incerta e di natura fantasmatica, certamente inaffidabile, ingannevole dato che “t’imbatti / tu forse nel fantasma che ti salva”. Il tema centrale rimane comunque la ricerca di un improbabile senso nell’esistere. Ufficialmente Montale vorrebbe appartenere alla schiera dei poeti non dichiaratamente religiosi, tuttavia poche esperienze poetiche come la sua possono essere indicate come profondamente mistiche.
Il suo è un colloquio con un interlocutore muto, assoluto. È un continuo dialogo tra l’io e l’altro, tra l’anima e lo spirito. Nella seconda edizione degli Ossi di seppia ci sono due testi fondamentali che sono fra di loro in qualche maniera gemellati. Sono per la parte maschile, Arsenio (Lupin, un ladro, quindi Mercurio: Sul corso in faccia al mare tu discendi) e per la parte femminile l’Arletta della lirica Incontro, che in un primo momento s’intitolava appunto Arletta. Arsenio è anche uno degli pseudonimi di Eugenio Montale, che amava chiamarsi Eusebio. Arsenio ed Eusebio sono un po’ la faccia cattiva e la faccia buona, insomma le due anime che in lui convivono. Eusebio è il nome con cui gli amici chiamano il poeta. Perché Eusebio? A quanto pare per il fatto che Montale, spesso cantava un’aria di Schumann, il tema sul nome Eusebius, che significa pio, religioso.
