
L’amore platonico è concepito come pura esperienza spirituale. Il celebre Amor Vincit Omnia è un olio su tela che, secondo gli studiosi, è l’opera caravaggesca in cui più emergono i messaggi rosacruciani. Nella tela un Eros sorridente emerge da uno sfondo di tenebra. E infatti il compasso e la squadra ai suoi piedi si devono leggere in chiave ermetica. Si intuiscono anche, accanto a tali strumenti, allusioni alle fonti ispiratrici della musica, rappresentate da liuto, violino e spartito, questioni circa l’origine divina del potere regale, (corona e scettro), circa le fonti che ispirano alla guerra e alle sue strategie (rappresentazione di parte di un’armatura), circa le fonti che ispirano la scienza e la comprensione dell’universo (l’immagine della cupola celeste che emerge dalla coscia destra di Eros), interrogativi sull’ispirazione nello scrivere (la piuma macchiata d’inchiostro ai piedi dell’eros).
Tutta questa stratificazione di significati si riassume nell’immagine di una corona d’alloro, simbolo principe di tutte le arti, nonché delle scienze. Tuttavia, se si guarda con attenzione, si potrà notare che ciascuno di questi oggetti variamente affastellati presenta imperfezioni e manchevolezze: al liuto ed al violino mancano delle corde, c’è solo un frammento dell’armatura completa, la cupola celeste è quasi del tutto nascosta, la corona e lo scettro sono minimali. Sottolineando queste diverse limitazioni, Caravaggio rappresenta il mistero, l’infinito inesprimibile e suggerisce come non si possa far altro che abbandonarsi all’amore per avanzare in ogni genere di conoscenza. Il sorriso di Cupido è a metà tra l’innocenza di un bambino e la furbizia di un ragazzo. Questo, insieme al dettaglio delle ali nere, caratteristica demoniaca, non è un particolare insignificante, poiché la grande attenzione per l’espressività suggerisce l’idea che Caravaggio si sia addentrato in segreti propri alla cultura iniziatica rinascimentale.
Uno schema d’amore platonico in Shakespeare
Platone e i suoi epigoni rinascimentali stabilirono uno stretto legame tra eros e creazione artistico-poietica riconducendo l’arte nell’ambito del trascendente. Nel Simposio, dialogo platonico dedicato alla discussione di eros, il personaggio Socrate, riecheggiando le parole della sacerdotessa Diotìma, distingue due tipi di amore: l’eros tra uomo e donna, generatore di un “parto del corpo”, e l’eros tra due uomini, generatore di un “parto dell’anima”. È a tale secondo tipo di eros che Socrate/Diotìma attribuisce la genesi delle opere più grandi in ambito poetico, politico e filosofico. Le opere generate secondo tale modello andrebbero da quelle poetiche a quelle legislative (e istituzionali) fino ai discorsi scientifici o filosofici. Anche i Sonetti shakespeariani rivelano lo spirito e il linguaggio del neoplatonismo. Nel sonetto 78, per esempio, emerge il tema dell’ispirazione, perché, come dice il poeta al Giovane Amore, “tua è l’ispirazione e da te è nata”.
Ti ho invocato così spesso come Musa
ottenendo tal favore alla mia poesia,
che ogni altra penna ha seguito il mio costume
e diffonde i suoi versi in tuo servigio.
I tuoi occhi che insegnarono al muto a spiegare il canto
e alla crassa ignoranza il volo sublime,
hanno aggiunto penne alle ali dei sapienti
e conferito doppia maestà alla grazia.
Però sii maggiormente fiero di quanto io compongo
perché tua è l’ispirazione e da te è nata:
nei versi altrui tu non migliori che lo stile
e l’arte loro è favorita dalle tue dolci grazie.
Per me tu solo sei tutta la mia arte
ed elevi a sapienza la mia rude ignoranza.
Questa esperienza dell’ispirazione artistica è comune a tutti gli scrittori, dall’antichità ai tempi nostri.
L’identità di Mr. W.H.
Quello di Sonetti è il titolo di una collezione di 154 sonetti di William Shakespeare, che spaziano su temi come l’amore, la bellezza e la sua caducità, lo scorrere del tempo, la morte. I primi 126 sono indirizzati a un uomo, gli ultimi a una donna, la Dark Lady o Dama Nera. L’opera fu pubblicata da Thomas Thorpe nel 1609. La dedica non fu scritta da Shakespeare ma dal curatore. Tradotta essa recita: All’unico ispiratore di/questi seguenti sonetti/Mr. W.H. ogni felicità/e quella eternità/promessa/dal/nostro immortale poeta/augura colui che con buon augurio/si avventura nel/pubblicare. La reale identità di “Mr. W.H.” non è mai stata chiarita, e ha generato un gran numero di ipotesi. Gran parte della critica ritiene che tale sigla si riferisca all'”ispiratore”, il fair friend, (“l’amico biondo”) a cui sono dedicati i primi 126 sonetti. Chi sarebbe dunque questo amico?

In tutta la mitologia antica nessuno è mai stato più bello e più biondo di Apollo e del sole. The onlie begetter (l’unico generatore) richiama ad un orecchio sensibile alle Scritture un altro personaggio che si presenta invece come the onlie begotten, ovvero l’unico generato, Gesù. Tra il Cristo Gesù e Apollo che rapporti si stabiliscono? Apollo nel Rinascimento poté ben essere additato come l’alter ego del Cristo, la sua controfigura pagana, il suo doppio. Oscar Wilde in The portrait of Mr W.H. propone una fantasiosa ipotesi riguardo al dedicatario dei Sonetti identificandolo in un tale W(illie) H(ughes) del quale lo stesso Shakespeare si sarebbe invaghito. Wilde conclude con questa osservazione: “I sonetti rivelano l’anima e il linguaggio del neoplatonismo.” Wilde intravede ed elabora un ampio paradigma omoerotico che partendo da Platone permea di sé il Rinascimento europeo manifestandosi perfino nei sonetti di Michelangelo a Tommaso Cavalieri.
Mr. W.H. e l’alchimia
Dunque questo Mister a cui i sonetti vengono dedicati in quanto ispirati da lui, andrebbe inteso come un dio? In alchimia la lettera H potrebbe essere intesa come Saturno? Il simbolo di Saturno sembra una lettera h minuscola stilizzata, con una stanghetta in alto a croce, anche noto come plumbum, (ħ). Saturno è certamente il “pianeta dell’alchimia” perché i suoi simboli accompagnano l’Opera alchemica dall’inizio alla fine, dalla prima fase della Nigredo dove si simboleggia la Prima Materia, grezza e da purificare, fino alla creazione della Terza Materia, la Pietra Filosofale o Rubedo, che sancisce l’avvenuta trasformazione dei metalli vili in oro e quindi, a livello psicologico, il compiersi del percorso d’individuazione dall’Io al Sé. Saturno in alchimia è legato alla pietra, al piombo, al sale. È la pietra che dà il via all’intero viaggio di ricerca del Sé.
Questo “Mr Double Hue” (doppia tinta) corrisponderebbe, nel sonetto 20, alle parole del verso 7 che legge: “un uomo in colore, che in sé controlla ogni colore”. Caratteristica dei due personaggi del canzoniere è esattamente il colore contrastante, l’oro per il Fair Youth, il nero per la Dark Lady. Il colore corrisponde alle fasi peculiari dell’alchimia che si propone di ottenere la Rubedo a partire dalla Nigredo, attraverso l’Albedo e la Citrinitas. L’uomo “in tinta” è perciò anche un buffone multicolore, una sorta di giullare, termine che designa tutti quegli artisti, attori, mimi, musicisti, ciarlatani che si guadagnavano da vivere esibendosi davanti ad un pubblico di strada. I buffoni dovevano divertire la corte e soprattutto il re e sono spesso presenti nel teatro shakespeariano. Il giullare di per sé è anche paradigma allegorico del paganesimo e delle sue molte sfaccettature.
L’amore innominabile di Oscar Wilde
Secondo l’interpretazione di Wilde, i Sonetti shakespeariani lasciano trasparire un modello culturale più vasto. Nel romanzo The picture of Dorian Gray egli fa riferimento a “quell’affetto profondo e spirituale […] che detta grandi opere d’arte […] e che in questo secolo viene […] talmente frainteso che per esso mi trovo dove sono adesso,” alludendo al carcere a cui era stato condannato con un processo per atti osceni. Tanto per definire brevemente gli antefatti, bisogna sapere che Wilde aveva incontrato Lord Alfred Douglas nel 1891 e iniziato una relazione con lui. Quando il padre di Alfred aveva scoperto quel legame aveva insultato pubblicamente Wilde lasciando in bella vista un biglietto accusatorio al club frequentato dallo scrittore. Wilde, su istigazione di Alfred, querelò il marchese per diffamazione. Il confronto divenne inevitabile e Wilde fu condannato a due anni di carcere e lavori forzati.
Alfred nel 1892 aveva scritto una poesia dal titolo Two Loves (“Due Amori”) che fu usata contro Wilde al processo per il famoso verso che definisce il suo amore come “the Love that dares not speak its name” (“l’Amore che non osa pronunciare il proprio nome”). In questo componimento, all’interno di un giardino paradisiaco, si presenta nudo e sognante un giovane bellissimo, capelli sparsi al vento, incoronato di fiori, in mano un grappolo d’uva, occhi di cristallo che lo bacia e gli dice: “Caro amico, vieni che io ti mostri ombre del mondo e immagini di vita. Vedi giungere dal Sud il pallido spettacolo che non vede mai fine.” A quel punto, nel giardino dei sogni emergono due amori, uno gioioso, biondo e fiorente che canta di belle fanciulle e di amori felici di giovani e ragazze, tenendo in mano un liuto d’avorio.
L’amore che non ardisce pronunciare il suo nome
Ma un altro amore cammina accanto a quello spensierato ed è triste e sospira. Indossa un abito di porpora con un grande serpente. A lui il poeta stesso rivolge la domanda: “Ti prego di dirmi il tuo nome.” Gli risponde dicendo: “Il mio nome è Amore”, ma viene contraddetto. Il compagno gioioso dichiara: “Lui mente, perché il suo nome è Vergogna.” Allora lui sospirando ammette: “Sono l’amore che non osa pronunciare il suo nome.” Ora, al di là delle implicazioni fisiche e delle vicende personali, il vero senso di un tale amore è del tutto letterario e platonico. Fu a suo tempo il commento di Marsilio Ficino al Simposio che inaugurò la nozione di amore platonico come un particolare concetto di eros basato sull’amore di Dio, che fu di grande ispirazione per la letteratura del tardo Rinascimento.
Platone tratta il tema dell’amore principalmente nel Simposio, dialogo che mira a determinare i gradi gerarchici attraverso i quali l’uomo dall’amore per la bellezza fisica si solleva fino all’amore per la bellezza in sé e per sé, per cui amore è desiderio di conoscenza e si identifica con la filosofia. La cornice del Simposio, è letteralmente un banchetto dove alcuni invitati decidono, a fine pasto, di conversare sull’amore, dando inizio ad una sorta di gara in cui sono tutti chiamati a tenere un discorso su Eros. Quando giunge il suo turno, Socrate racconta come sul significato filosofico di amore fosse stato a suo tempo istruito da Diotima di Mantinea, sapiente sacerdotessa. Diotima aveva definito l’amore come il desiderio del bello e del bene e delineava quindi l’amore come un sentimento di tensione che pervade i corpi e le anime, passando dagli uni alle altre.
Sonetto 53
L’amore platonico coinvolge spiritualità e sfera del divino. Platone spiega la bellezza esteriore come un richiamo, lo specchio della bellezza perfetta ed eterna della verità. E questa verità consiste in tutto ciò che è divino, buono, sapiente e giusto: la compagnia dell’amato, la sua frequentazione, le sue parole e la sua bellezza rappresentano un incentivo ad abbandonare il lato oscuro dell’essere per rivolgersi al suo lato più luminoso, quello che si nutre di bene, sapienza e giustizia. Addirittura, nella sua dimensione puramente intellettuale, l’amore platonico si propone come un amore più elevato dell’amore semplicemente fisico. Nei sonetti di Shakespeare l’amore platonico è onnipresente. Pensiamo all’incipit del sonetto 53: “What is your substance, whereof are you made that millions of strange shadows on you tend?” Qui, verosimilmente, si affronta il tema della sostanza divina.
Il sonetto 53 sublima l’eros ben al di sopra delle sue molteplici forme transeunti, ben oltre la bellezza di un’Elena o di un Adone, ben più splendente di primavera e abbondanza, di qualsiasi immagine tratta dal mondo naturale. Il poeta scrive:
Qual è la tua natura, di che mai tu sei fatto
per essere scortato da tante ombre estranee?
Ognuno riflette solo l’unica sua ombra
e tu puoi, da solo, prestarti a tante ombre.
Si descriva Adone ed il suo ritratto
misera imitazione diventa di te stesso;
si sommi al volto d’Elena ogni bellezza rara
ed ancora appari tu dipinto in vesti greche;
si parli di primavera e di copiose messi,
la prima non è che l’ombra della tua bellezza,
le altre sembran solo tuo generoso dono;
e in ogni felice forma noi ti rivediamo.
Ogni bellezza esterna ha di tuo qualcosa,
ma per animo costante nessun con te s’accorda.
La fatica poetica nel sonetto 61
Qual è dunque l’identità divina che si cela nel miraggio di tanta bellezza? Ancora nel sonetto 61 il giovane continua a mostrarsi al poeta in una varietà di ingannevoli ombre fantasmiche. Il poeta la notte non riesce a dormire perché le forme e le visioni – “ombre a te sembianti” – non gli permettono di ricavare un’immagine precisa di lui e delle sue realtà. Ciò corrisponde grossomodo a ciò che dicono le Scritture sui metodi con cui Dio comunica coi profeti, gli enigmi attraverso cui Dio si rivela a Davide, come per immagini complesse, ma sfocate, ben diverse dalla chiarezza con cui Mosè chiedeva di vedere Dio. Neppure lui, un grande condottiero, poté mai vedere la faccia divina, ma solo le terga. Per intravedere qualcosa di lui, il poeta di notte rifugge dal sonno e veglia nel tentativo di dipingerne un quadro aderente alle reali fattezze.
Il poeta si chiede se il giovane non tenti intenzionalmente di scoprire in lui “ore frivole e vergogne”. La causa della sofferenza del poeta è il suo affetto per l’Amore e non viceversa quella del giovane per lui. “No, il tuo amore pur forte, non è tanto grande: / è il mio amore che mi tiene gli occhi aperti.” Temendo che il suo amore intenso possa non essere all’altezza o sminuire l’oggetto del suo affetto, il poeta tenta di esercitare al massimo grado la propria capacità artistica: “il mio devoto amore che frustra il mio riposo / per esser sempre vigile al tuo fianco.” Nonostante l’intenso impegno intellettuale profuso nell’elaborazione artistica il poeta si sente inadeguato. La frase “ad altri troppo vicino” rivela la presenza di altri poeti, altri artisti impegnati nello stesso programma, e rivela un certo grado di competizione tra di loro.
Le veglie notturne
Il poeta dunque si lamenta:
Sei tu a voler che la tua immagine tenga aperte
le mie palpebre pesanti nell’estenuante notte?
Sei tu a desiderare che i miei sonni siano rotti
da ombre a te sembianti che ingannano il mio sguardo?
È forse il tuo spirito che stacchi dal tuo corpo
e mandi da lontano per spiare le mie azioni,
per scoprire in me ore frivole e vergogne,
bersaglio ed alimento della tua gelosia?
No, il tuo amore pur forte, non è tanto grande:
è il mio amore che mi tiene gli occhi aperti,
il mio devoto amore che frustra il mio riposo
per esser sempre vigile al tuo fianco.
Per te rimango sveglio, mentre tu vegli altrove,
molto lontano da me, ad altri troppo vicino.
Cosa avviene nella notte estenuante, se non quel lento, misterioso lavoro di ascolto che porta alla ricezione di enigmi, impercettibili pensieri trasmessi da un essere misterioso, che non potrà mai essere visto né indagato, un essere angelico-demonico, che si circonda di impenetrabili ombre, e che permette il concepimento di un meraviglioso parto artistico? L’illuminazione proviene dallo spirito ed è concessa ai “Fedeli d’Amore” (secondo il linguaggio in voga ai tempi di Dante). Le suggestioni notturne sono labili come fili di tela di ragno e in un attimo spariscono come rugiada al sole. Perciò vanno registrate subito, nero su bianco. La bellezza dell’amato è spesso espressa come una forma o un aspetto. Dipinti, quadri, immagini visive, ombre, forme riflesse e in prospettiva, immagini d’arte: tutto questo allude all’impressione che la vera immagine del giovane sia, in effetti, un miraggio.
Sonetto 24 e sonetto 20
Solo dopo tanto impegno l’immagine artistica prende corpo, frutto di un’intensa, continua cooperazione. Da una parte un costante impulso a creare, dall’altra una costante attività di interpretazione, e un continuo movimento del cuore. Il sonetto 24 legge:
Il mio occhio si è fatto pittore ed ha fissato
la tua bella immagine sul quadro del mio cuore,
il mio corpo è la cornice che stretto lo racchiude
e se ben l’osservi, nessun pittor gli è pari.
Solo attraverso l’occhio devi vederne l’arte
per scoprir ove sia dipinta la tua vera immagine,
sempre appesa nello studio del mio petto
che per vetri alle finestre ha gli occhi tuoi.
Ora sai quale aiuto si son dati i nostri occhi:
i miei han disegnato il tuo ritratto e i tuoi per me
sono finestre al petto mio, laddove il sole
si diletta ad occhieggiare per ammirare te:
ma agli occhi manca l’anima per nobilitare l’arte,
tracciano quel che vedono, ignari son del cuore.
Un altro Sonetto, il 20 è uno dei più discussi a causa delle enigmatiche domande che solleva sulla natura incorporea dell’essere spirituale. Si tratta dell’ermafrodito rappresentato fin dall’antichità e ritratto come figura femminile dotata di genitali maschili.
Viso femmineo che Natura di sua man dipinse
hai tu, sire-signora della mia passione;
cuore gentil di donna, che però non conosce
la scaltra volubilità consona alle donne false;
occhi più puri dei loro, meno perfidi nel guardare,
che rendono prezioso l’oggetto su cui si posano;
uomo all’aspetto, che assommando ogni fascino,
ruba gli occhi agli uomini e avvince il cuore delle donne.
E per esser donna tu prima fosti creato,
finché Natura nel foggiarti non s’invaghì
e con un tocco in più ti sottrasse a me
dandoti un’aggiunta inutile al mio scopo;
ma poiché forma ti diede per soddisfar le donne,
sia loro il piacer dei sensi e mio il tuo amore.
Amore e uso d’amore
Il rapporto è di tipo sbilanciato: è il maturo poeta a manifestare il proprio sentimento amoroso mentre il fair youth si limita a fungere da oggetto d’amore. Più in particolare, la relazione tra il poeta e il suo giovane amico corrisponde a un legame ideale, di scambio reciproco. Significativa, in tal senso, l’opposizione tra «love» e «love’s use» che chiude il sonetto 20. Nella forma lirico-narrativa che la filosofia d’amore assume nel canzoniere, i due principali protagonisti risultano destinatari, ciascuno, di uno specifico tipo di amore e del corrispondente compito generativo: se al fair youth viene assegnato il compito biologico di generare progenie (sonetti 1-17), al poeta, viceversa, si attribuisce il compito culturale di generare una discendenza poetica.
Sire-signore della mia passione
Nel sonetto 20 il giovane acquisisce una doppia natura ermafrodita e viene fuori un problema: sebbene egli possieda la gentilezza e il fascino di una donna, il giovane ha i genitali (“dandoti un’aggiunta inutile”) di un uomo e nonostante abbia l’attrattiva di una donna, non ha nulla del carattere volubile di una donna. In quanto uomo con la bellezza di una donna, il fair youth è destinato al piacere delle donne ma anche gli uomini ne vengono attratti, essendo lui superiore a qualsiasi donna. Qui, l’interesse del poeta è scoprire la natura della sua relazione. Anche se egli riconosce un’attrazione erotica per il giovane, non considera la possibilità di una consumazione fisica d’amore. Il poeta non vuole, non può possedere fisicamente il giovane. Le donne soltanto sono destinatarie di quel godimento: “sia loro il piacer dei sensi e mio il tuo amore”.
Ed è in funzione generante che consiste l’utilità di eros: l’idea di un «uso» dell’amore e della bellezza, più volte manifestata nei Sonetti, rimanda, a sua volta, al concetto platonico dell’«utilità» dell’eros. In sintesi, l’utilità dell’amore risiede nella sua capacità di generate l’arte, che va a compensare la forza distruttrice del tempo e della morte. Sovrapponendosi al tema della generazione biologica, il tema speculare della generazione poetica si affaccia a partire dal distico finale del sonetto 15, si congiunge esplicitamente con il tema della generazione biologica dei sonetti successivi. Al pari della procreazione fisica anche la produzione poetica viene stimolata dalla «bellezza» e quello del «generare», accomuna i prodotti intellettuali ai prodotti dell’amore fisico.
La tintura in alchimia
In alchimia si sviluppano operazioni diverse che vanno dalla calcinazione alla tintura. Si passa attraverso la sublimazione, la soluzione, la putrefazione, la distillazione, la coagulazione e si arriva alla Tintura. Teofrasto Paracelso scriveva su “la Tintura dei Filosofi”. Egli si proponeva con la Tintura la rigenerazione dei corpi. Scriveva che la materia della tintura è una perla, il più prezioso tesoro della terra. Il potere di questa tintura permette all’uomo di essere preservato da tutte le infermità, allontana da tutte le malattie. Guarisce lebbra, idropisia, colica, gottta, lupus, cancro, le fistole e le malattie interne. “Questa è la rigenerazione della natura e la restaurazione della gioventù.”
Per contraddistinguere la pietra filosofale furono impiegati moltissimi simboli tra cui il Rebis o androgino, re e regina, sole e luna, Apollo e Cristo. Il Rebis (dal latino: res bis o res bina, cosa doppia) è un termine usato per indicare il risultato di un matrimonio chimico, inteso come unione degli opposti e viene rappresentato come l’androgino, ermafrodita. La conoscenza della simbologia alchemica ci apre le porte di un mondo segreto che fa parte delle tradizioni, dei riti religiosi e dei simboli letterari. Di tutta questa simbologia alchemica si tingono i sonetti del canzoniere shakespeariano.
Sonetto 15
Quando penso che ogni cosa che nasce
resta perfetta solo per brevi istanti,
che questa immensa scena ci offre sol fantasmi
su cui le stelle tramano con arcano influsso;
quando vedo gli uomini, al pari delle piante,
illuminati e minacciati dallo stesso cielo
vantarsi in gioventù, all’apice decrescere,
e cancellarsi da memoria l’orgogliosa primavera:
allora il pensiero di questa precaria vita
ti presenta agli occhi miei, ricco di giovinezza,
mentre il Tempo distruttore cospira con la Morte
per cambiare il tuo fresco giorno in fetida notte:
ed in piena guerra col Tempo, per amor tuo,
come esso ti strappa, io ti ripianto ancora.
Nei primi otto versi del Sonetto 15, il poeta osserva come gli oggetti mutano e decadono nel tempo: “… ogni cosa che nasce / resta perfetta solo per brevi istanti”. La vita è transitoria e la bellezza del giovane svanirà nel tempo, ma il poeta ne rende eterno il ricordo nei versi. Il poeta ribadisce il potere del verso di commemorare per sempre la bellezza. “Io ti ripianto ancora”, dice alla fine del sonetto intendendo dire che, per quanto potente sia il deperimento fisico e la decadenza, i suoi versi manterranno la bellezza della giovinezza sempre fresca, sempre nuova. I sonetti sono nel ruolo di un figlio: perpetuano la bellezza proprio come farebbe quello. In effetti, i sonetti sono ancora più immortali di un figlio e continuano ad essere letti anche oggi, mentre la progenie del giovane potrebbe essere completamente estinta.
I due amori di Shakespeare
Anche Shakespeare, come Lord Alfred Douglas, si trova di fronte due amori, uno è un “uomo superbamente bello,” l’altro è una “donna di colore oscuro”, “lo spirito malvagio”.
Due amori io posseggo, conforto e perdizione,
che simili a due spiriti sempre mi perseguono:
l’angelo migliore è uomo superbamente bello,
lo spirito malvagio è donna di colore oscuro.
Per portarmi a dannazione, la mia funesta femmina,
tenta l’angelo migliore a staccarsi dal mio fianco
e pervertir vorrebbe quel santo mio in demonio,
insidiando la sua purezza col suo vizioso fascino.
E che l’angel mio si sia in demonio convertito
posso solo sospettarlo senza esserne sicuro;
ma entrambi da me lontani, e l’un l’altro amici,
nell’inferno dell’altra l’angelo mio suppongo.
Io non potrò mai saperlo, ma vivrò nel dubbio,
finché l’angelo cattivo non avrà scacciato il buono.
Il sonetto 144 è l’unico del canzoniere ad accostare esplicitamente sia la dama nera che il giovane biondo, i “Due amori” del poeta, il Rebis. L’incertezza sul rapporto lo tormenta. Simbolicamente, il giovane e la donna rappresentano due poli antitetici. Il grande timore, è che il giovane ceda segretamente alle avances della donna: “E che l’angel mio si sia in demonio convertito / posso solo sospettarlo senza esserne sicuro”. Quale sarà il risultato di questa lotta è incerto: “Io non potrò mai saperlo, ma vivrò nel dubbio, / finché l’angelo cattivo non avrà scacciato il buono”. Il significato della frase “non avrà scacciato il buono” è velato e allude alla fine del paganesimo. Ironicamente, l’incertezza sulla sorte del rapporto tra il giovane e la donna è l’unica certezza del poeta. Gli accademici hanno cercato invano di dare un’identità storica ai due personaggi, ma essi rappresentano categorie d’un altro genere.
Cercando di dare un senso compiuto al canzoniere
Il sonetto 127 legge: “Un tempo il nero non era considerato bello, / o se lo era non portava il nome di bellezza”. Così si apre la sezione dedicata alla Dama Nera. Chi è questa maliarda scura e stranamente poco bella? Viene in mente il Cantico dei cantici dove si legge: “Io sono una ragazza nera, ma avvenente.” (Ca 1:5) I due amori del canzoniere vestono in fogge diverse. Uno è pagano e veste abiti di foggia greca, (Sonetto 53,8) l’altra vestita di nero, un brutto colore, è di origine giudaica. Il sonetto 133 rimprovera la donna per aver sedotto l’amico del poeta: “Dannato sia quel cuore che il cuore mio fa gemere / per la dura ferita inflitta al mio amico e a me!” Cova perciò il sospetto che la donna possa aver vissuto una relazione promiscua con il giovane.
Che giudaismo e cristianesimo si siano gradualmente tinti di paganesimo sembra molto ben suffragato dalla storia. E che la dama nera non abbia origini pagane viene ulteriormente evidenziato nel primo verso del sonetto 130: “Gli occhi della mia donna nulla hanno del sole”. Ora il culto del sole era punto nevralgico di tutta l’adorazione pagana mentre il cristianesimo originale lo rigettava. Tutto il Rinascimento europeo fu improntato allo studio e alla riscoperta del mondo greco-romano e in Europa lo scisma protestante (1517, le 95 tesi di Lutero) e lo scisma anglicano (1534, Atto di Supremazia) ormai erano cosa fatta. Ecco che la Chiesa cattolica e la classe clericale, la Dama Nera, (dal colore della talare, veste che prende origine dall’abito dei sacerdoti ebraici che giungeva fino al tallone) era piuttosto mal vista. Detto questo riusciremo a dare un senso compiuto al canzoniere shakespeariano.
