Il cantico dei cantici

Il Cantico dei Cantici, secondo Origene, si relazionerebbe anche con la visita della regina di Saba a Salomone. In effetti la fanciulla amata è nera proprio come la regina degli Etiopi: “Sono nera, ma avvenente, o figlie di Gerusalemme, come le tende di Chedar, come i teli di tenda di Salomone. Non guardatemi perché sono bruna, perché mi ha scorto il sole.” (Ca 1:5-6) La ragazza, come la regina, si pone sotto l’influsso del sole. Gesù parla di lei come della Regina del Mezzogiorno. (Mt 12:42) Nelle Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio la regina di Saba è un’etiope che porta in Israele i semi dell’albero dell’incenso. Essa giunge con un seguito imponente e una grande dovizia di doni semplicemente per porre a Salomone certi suoi difficili quesiti. (1Re10:1) Girolamo sosteneva che il Commento al Cantico dei Cantici andrebbe considerato il capolavoro di Origene.

Come quest’ultimo suggerisce, la Regina di Saba ritornerebbe nelle Scritture nei versi del Cantico che descrive gli incontri di due amanti vissuti ai tempi di re Salomone. Se il monarca innamorato era il vero Salomone, la regina di Saba avrebbe potuto impersonare la bella Sulammita. Anche la moglie egiziana, figlia di Faraone, avrebbe potuto fungere da innamorata. (1Re3:1) “ll re Salomone amò molte donne straniere” dice la Bibbia: “donne moabite, ammonite, edomite, ittite e di Sidóne. Provenivano dalle nazioni delle quali Geova aveva detto agli israeliti: “Non dovete andare in mezzo a loro e loro non devono venire in mezzo a voi, perché sicuramente svieranno il vostro cuore facendovi seguire i loro dèi”. Salomone però si legò a loro e le amò. Ebbe 700 mogli, che erano principesse, e 300 concubine; e un po’ alla volta le sue mogli sviarono il suo cuore.” (1Re 11:1-3) Alleanze egiziane non erano proibite.

Regina Piè-d’oca

La regina di Saba con Mosè sull’antico portale a St. Bénigne (Dijon), ora distrutto. La regina mostra un piede d’oca. Da un antico disegno di Dom Plancher.

In più occasioni, nelle cattedrali gotiche francesi, la regina di Saba viene ritratta con il piede palmato dell’oca, ed è perciò conosciuta come la Reine Pedauque. Questa sua caratteristica la colloca in un ambito particolare. Mi viene in mente Omero che aveva una coscia particolarmente pelosa. Eliodoro di Emesa racconta nelle Etiopiche che il poeta era figlio presunto di un sacerdote, mentre in realtà il padre era Ermes. Infatti un giorno mentre la moglie del sacerdote celebrava una festa e si trovava a dormire nel tempio, il dio si unì a lei ed essa generò Omero. Nel corpo del poeta era rimasto impresso un segno di questa unione promiscua ed egli ebbe fin dalla nascita una coscia coperta di lunghi peli.

Qualcosa di simile era avvenuto al concepimento di giganti come Golia che ebbero nel corpo segni particolari, per esempio le sei dita nei piedi e nelle mani. Nelle fiabe la capannuccia nel bosco aveva forma zoomorfa. Nel mito, la capanna zoomorfa prende forma di animale. Infine, anche quando altre caratteristiche scompaiono, permangono le zampe di gallina. Queste non sono altro che reminiscenze delle colonne zoomorfe sulle quali un tempo poggiava questa specie di casa. Allo stesso modo si spiegano gli animali a guardia delle soglie. Assistiamo qui allo stesso fenomeno che è possibile osservare nel processo di evoluzione antropomorfa degli dèi-animali. Ciò che un tempo svolgeva il ruolo di deità, l’animale, (orso, cervo, toro) si trasforma in un attributo della divinità (l’aquila di Zeus, ecc). Nella fiaba di Hansel e Gretel c’è una soglia che è accesso all’altro regno e l’anatra ne è il traghettatore. Si tratta del viaggio iniziatico.

La regina di Saba

La regina fu certamente un’iniziata. Antiche leggende islamiche narrano che nascondeva, sotto le gonne, gambe pelose. In Francia il piede peloso divenne una zampa d’oca. Sui portali delle cattedrali la regina appare come una testa incoronata con la zampa palmata al posto del piede. Quella zampa rivela significati esoterici. Il palmipede, considerato sacro fin dall’antichità, è sempre stato custode di segreti. I nomi di molte località che si trovano lungo la rotta dell’antica via per Santiago di Compostela, il cammino degli iniziati, portano in sé il nome dell’oca, sia in Francia che in Spagna: Loye, L’Ouche, L’Auchere, Jar, Ganso, Ansar. È il simbolismo sacro di Maître Jacques, il leggendario signore della pietra, padre dei costruttori delle cattedrali. È lo stesso segno che fu, in passato, cucito sugli abiti dei Cagots, genti emarginate dei Pirenei ma discendenti degli antichi templari caduti in disgrazia.

Nel Corano la regina di Saba è citata nella Sura 27, v. 20-44. Qui essa giunge in visita su invito a Salomone. Il racconto inizia quando il re notando l’assenza dell’upupa chiede dove essa sia andata. Allora essa giunge con una novità, dicendo di aver trovato un popolo la cui regina si prostra davanti al sole. Salomone decide di mandare uno scritto per invitare quella regina a rendergli visita. Lei incomincia a mandargli dei doni ma Salomone insiste perché venga di persona. Quando la regina arriva, Salomone la invita ad entrare nel palazzo. Avendo l’impressione di camminare sull’acqua, la bella solleva la gonna per non doverla bagnare. Il pavimento però, essendo uno specchio, mostra lo zoccolo di una gamba pelosa. Il racconto coranico rivela anche il nome della regina, Bilkis, “concubina”. Secondo certe tradizioni Salomone sposa la regina e dalla loro unione nasce un figlio, Menelik.

Un significato iniziatico

Dice la fanciulla del Cantico: “I figli di mia madre si adirarono contro di me. Essi mi hanno posta a custode delle vigne; benché la mia vigna, io non la custodissi.” (Ca 1:6) La fanciulla vive all’insegna del sole – e del vino -, elementi centrali, seppur con significati diversi, sia nel culto ebraico-cristiano che nel mondo pagano. Vino era simbolicamente sulla tavola quando Gesù celebrò l’ultima Cena. Del Cantico disse Rabbi El’azar ben ‘Azaryà: «a che cosa si può paragonare? A un re che prese uno staio di grano e lo diede al mugnaio, dicendogli: «Fammene uscire tanto fior di farina, tanto di farina, tanto di crusca, poi separami da tutto questo un pane raffinato ed eccellente». Così tutti gli scritti sono santi ma il Cantico dei cantici è il Santo dei Santi poiché è tutto quanto timore del Cielo e accettazione del giogo del Suo Regno e del Suo amore.»

“Tutto il mondo non vale il giorno in cui è stato dato ad Israele il Cantico dei cantici”, così si espresse Rabbi Akiva. Nell’ebraismo il Cantico viene relazionato con il luogo più santo del tempio, il Qodesh haQodashim. Il Cantico è metafora del legame tra Dio e il popolo d’Israele. L’erotismo delle sue descrizioni passionali intende rappresentare il connubio mistico dell’uomo prescelto con Dio che si presenta come sposo d’Israele. Il paragone con le nozze ricorre frequentemente anche nelle parabole di Gesù, e nei Vangeli, se pure non raggiungendo la stessa intensità poetica delle descrizioni del Cantico. Comunque, circa l’uomo e la donna Efesini 5:31-32 legge: “I due saranno una sola carne.” E aggiunge: “Questo sacro segreto è grande. Ora parlo riguardo a Cristo e alla congregazione.” Pertanto il rapporto del Cristo con la Sposa si esprime anche come un’unione nella carne.

Un Matrimonio Sacro

L’amore del Cantico è un amore sensuale, continuamente animato dall’estasi della relazione fisica. Questo è palese fin dai primi versetti: “Mi baci egli coi baci della sua bocca, poiché le tue espressioni di tenerezza sono migliori del vino.” Il termine tradotto per “espressioni di tenerezza” (in ebraico דּוֹדֶיךָ, dodeikha) significa amore sessuale ed allude agli atti d’amore che avvengono nel letto coniugale. (Cfr. Prov 7:18, Ca 1:2,4; Ca 4:10) “Anche il nostro canapè è di foglie”, la fanciulla ne parla senza vergogna: “Fra le mie mammelle egli passerà la notte” (1:13, 16) Si tratta di un’unione sacra ambientata in un luogo sacro, un tempio naturale: “Le travi della nostra grande casa sono cedri, i nostri correnti son ginepri.” Il nome del re Salomone, l’edificatore del Tempio, ricorre sei volte, e vi si allude sia nel nome della Sulammita (da Shunem-Shalom, pace) che nell’evocazione finale della pace. (v.8:10)

Come lo stesso Origene dichiara, siamo in presenza di un testo iniziatico che va accettato nel suo senso ampiamente sfuggente, allusivo. Il mondo del Tempio è onnipervasivo. I primi accenni connotativi templari li troviamo nei temi del vino (sangue, sacrificio, libazione), delle melagrane (seme d’Abramo), di aromi, profumi, e fragranze, e nel Nome, essenziali nelle ritualità del Tempio. Anche il gioco di parole fra nome (shem) e olio (shemen) (un olio che si versa è il tuo nome, v. 1:3) rinvia al Nome di Dio e al Tempio consacrato da Salomone. L’altro topos testuale lo troviamo nel tema del velo, delle tende e dei padiglioni dell’amata e dei pastori. La fanciulla al v. 1:5 si dice nera come le tende dei beduini, sembra cioè paragonarsi a un tabernacolo sull’archetipo della Tenda della Testimonianza, ma la sua pelle scurita sembrerebbe alludere alla continua minaccia dell’influsso cultuale del sole.

Toccare con mano il divino

Il Cantico di Salomone, dicevo, è un poema che mette in luce un’esperienza iniziatica. L’Iniziazione al Tempio è un’esperienza misterica di contatto personale e diretto con il Divino che comporta una rielaborazione della propria essenza più profonda. Qualcosa di simile avveniva negli antichi culti misterici: vi si percorrevano sentieri che portavano a toccare con mano il Divino. L’iniziazione è pertanto un percorso di trasformazione personale, che una volta avviato porta ad un risveglio spirituale, ad una rinascita. Dopo niente sarà più lo stesso. È un cammino di apprendimento e di crescita evolutiva ed ha a che fare con le parole di Gesù a Nicodemo. “Verissimamente ti dico: A meno che uno non nasca di nuovo, non può vedere il regno di Dio. […] Il vento soffia dove vuole, e ne odi il suono, ma non sai da dove viene né dove va. Così è chiunque è nato dallo spirito”. (Gv 3:3,8)

Spesso ci si è chiesti come un poema come il Cantico di Salomone possa essere stato incluso nel Canone biblico. In effetti vi si respira un clima molto diverso, oserei dire perfino in apparente contrasto con il resto delle Scritture. Mai nella Bibbia la sessualità fu così apertamente mostrata, perfino esaltata. Il poema vero e proprio inizia con le espressioni di desiderio della ragazza per l’amato. Essa si presenta come “nera ma avvenente” a causa del fatto che i suoi fratelli, figli di sua madre, (ai tempi la poligamia era in vigore) l’avevano obbligata ad occuparsi dell’ingrato lavoro alle vigne e le aveva impedito di prendersi cura della propria bellezza. Lei descrive il suo corpo come abbronzato dal sole e si paragona alle tende dei nomadi e di Salomone. Il suo ingresso in scena avviene dunque in un momento in cui lei ancora risente dell’influenza di culti solari babilonici.

La madre della Sulammita

Nel Cantico la madre della ragazza è menzionata più volte. Chi è questa donna? Allegoricamente parlando essa è rappresentativa del mondo delle religioni e delle sue diverse ramificazioni. Chi sono i fratelli della Sulammita? Allegoricamente culti pagani e pseudo-cristiani. La madre, la grande meretrice delle Scritture, Babilonia, rappresenta la globalità dei culti solari, tutti suoi figli. L’influenza da essi esercitata sulla pura adorazione è pesante, essi sono fratelli degeneri che fanno di tutto nel tentativo di sviare e corrompere la Sulammita, allontanandola da certi suoi peculiari doveri. Lei dice di essere stata costretta al lavoro nelle vigne sotto il caldo del sole. Non ha potuto prendersi cura della sua bellezza spirituale. Essi si sono serviti di lei come schiava, le hanno imposto servizi faticosi. Dovendo lavorare per loro, lei trascurava la sua vigna. La tenevano occupata nel servizio del mondo.

La Sulammita nota con una punta di rammarico che l’amato non è nel numero dei figli di sua madre e dice: “Oh fossi tu come un mio fratello, che ha succhiato le mammelle di mia madre! Se ti trovassi fuori, ti bacerei. La gente non mi disprezzerebbe nemmeno. Ti condurrei, ti introdurrei nella casa di mia madre, che m’insegnava. Ti darei da bere vino aromatico, il succo fresco delle melograne. La sua sinistra sarebbe sotto la mia testa; e la sua destra mi abbraccerebbe.” (8:1-3) In realtà l’amato è figlio di un’altra madre. La madre di Salomone è colei che gli prepara il serto nuziale, la ghirlanda. (v. 3:11) L’innamorato parla del risveglio della ragazza quando dice: “Sotto il melo ti destai. Là fu nelle doglie del parto tua madre per darti alla luce. Là colei che ti generò provò le doglie del parto.” (8:5) Questa è una rinascita, la madre non può essere Babilonia.

La Gerusalemme di sopra

Nelle Scritture si parla della Gerusalemme di sopra come di “nostra madre”. “Ma la Gerusalemme di sopra è libera, ed essa è nostra madre. Poiché è scritto: “Rallegrati, donna sterile che non partorisci; prorompi e grida, donna che non hai dolori di parto; poiché i figli della desolata son più numerosi di [quelli di] colei che ha marito.” (Ga 4:26-27) La Gerusalemme di sopra o Gerusalemme celeste è l’organizzazione angelica che ha dato i natali al glorificato regno messianico così come la Gerusalemme fisica, viceversa era al centro della teocrazia terrena. La Gerusalemme di sopra è una città spirituale che funge da madre della Nuova Gerusalemme, antitipo della Gerusalemme terrena ed è ad essa che fa capo la classe della Sposa e la sua compagna, la Grande Folla di Ri 7:9. (Cfr. Col 3:1-2)

 Al 6:8-9 del Cantico si legge: “Ci possono essere sessanta regine e ottanta concubine e fanciulle senza numero. Una sola è la mia colomba, la mia irriprovevole. Una sola che appartiene a sua madre. È la pura di colei che la partorì.” Emergono qui due classi terrene, perfino tre. Una è quella delle regine, i Cristiani unti del 1° secolo, la seconda è quella delle concubine, cioè i Cristiani unti dei nostri giorni, la terza sono le fanciulle senza numero, la Grande Folla delle vergini invitate al matrimonio. Al suo Padre celeste Gesù disse in preghiera: “Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dati dal mondo. Eran tuoi, e tu li hai dati a me”. (Giov. 17:6) Il Padre celeste li diede a suo Figlio Gesù nella relazione di una fanciulla promessa in matrimonio al suo futuro marito.

Ho desiderato la sua ombra

L’amore nel cantico dei cantici non è l’agape dei vangeli o delle epistole ma è più prossimo all’eros platonico degli antichi. L’amata dice: “Come un melo tra gli alberi del bosco così è il mio caro tra i figli. Ho ardentemente desiderato la sua ombra e lì mi sono seduta.” (v.2:3) Il vangelo di Luca riportando le parole dell’angelo Gabriele a Maria, recita: “Lo spirito santo verrà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra.” L’albero nell’Eden rappresenta la conoscenza, anche quella sessuale. La fanciulla vive un momento di risveglio spirituale. L’amato dice: “Sotto il melo ti ho svegliato. Là ebbe le doglie colei che ti diede alla luce.” (v.8:5) La Gerusalemme angelica è la madre. Si tratta di un momento particolare all’interno di un percorso spirituale, il conferimento di quello che le Scritture chiamano “la caparra”. (2Cor1:22,5:5; Ef 1:14,18)

Questo aspetto iniziatico è sempre stato circondato dal più fitto segreto e dall’assoluto silenzio. Dunque anch’io lo lascerò stare nell’ombra. Solo chi l’ha vissuto sa e potrebbe spiegare. Secondo l’esegesi cristiana il Cantico è un’allegoria della relazione d’amore del Cristo con la Sposa, la Nuova Gerusalemme. La Sulammita ne è infatti personificazione. L’innamorato dice: “Sei bella, o mia compagna, come Città Piacevole, avvenente come Gerusalemme, tremenda come compagnie radunate intorno a vessilli.” La Sulammita è Gerusalemme, la Sposa celeste formata dai 144.000 di Rivelazione 7:4 o 14:1. A lei si associano i membri della Grande Folla, suoi compagni di danza, cioè “qualche cosa come la danza di due campi.” (6:13) Col Pastore è una relazione amorosa spesso illustrata e celebrata nelle parabole di Gesù e negli scritti di Paolo. Nel cantico l’amata si trova in mezzo “ai branchi” dei compagni del pastore, (1:7) possibile rappresentazione della grande folla. (Ri7:9)

Un matrimonio rappresentativo

Che tipo di relazione si potrebbe immaginare tra Gesù e Maddalena? Di fronte a Gesù risorto la donna si strinse a lui chiamandolo “Rabbunì!” Gesù le disse: “Smetti di stringerti a me, perché non sono ancora asceso al Padre.” Quando leggo queste parole in Giovanni 20:15-17 mi viene da pensare ad un matrimonio. Il Cantico esprime una situazione molto vicina a quell’incontro nei pressi della tomba: “Lasciami levare, ti prego, e andare attorno nella città […] lasciami cercare colui che la mia anima ha amato. Lo cercai ma non lo trovai. Le guardie che facevano la ronda della città mi trovarono: “Avete visto colui che la mia anima ha amato?” Li avevo appena sorpassati che trovai colui che la mia anima ha amato. L’afferrai e non lo lasciavo andare…” (Ca 3:2-4) Dopo tutto alle nozze di Cana chi erano gli sposi? Ve lo siete chiesto?

I temi affrontati nel Cantico non sono lontani da quelli esposti nella fiaba di Apuleio, Amore e Psiche. Si tratta di un amante invisibile, che Psiche non deve assolutamente vedere. Lì ci si muove soltanto nel regno dello Spirito… e delle ombre. “Vi ho imposto giuramento, o figlie di Gerusalemme di non cercare di svegliare in me l’amore finché esso non vi sia incline.” (Ca 3:5; 5:8) Si tratta di un amore che talvolta, per vari motivi, non riesce a procedere. In un’altra situazione notturna (Ca 5:3-7) l’amata finisce per perderlo di vista, e che accade? “‘Aprimi, sorella mia, mia amata…! La mia testa è bagnata di rugiada, i miei riccioli delle gocce della notte’. “Ho tolto la mia veste. Devo indossarla di nuovo? Ho lavato i miei piedi. Devo sporcarli di nuovo? […] Aprii, sì, io, al mio caro, ma il mio caro si era ritirato, era passato oltre.”

Un tempo di prova

Lui era scomparso e lei disperata lo cercava, “l’ho chiamato ma lui non ha risposto”. (Ca 5:3-7) Si tratta di una situazione iniziatica in cui la Sposa deve entrare nel vivo della sua nuova realtà e cominciare a camminare in modo più autonomo. La luna di miele finita, lui ormai lontano, bisogna rimboccarsi le maniche, andare avanti. Lui sarà sempre presente sullo sfondo ma le circostanze di vita potrebbero diventare penose. Potrebbero crearsi situazioni in cui lei, giovane concubina o sposa novella, non si dimostra all’altezza e per tale motivo “perde” il mantello, cioè cede qualcosa nella sua dignità. Durante il lungo “noviziato” le sfide che si presentano diventano sfibranti. È un periodo di prova. Anche nella fiaba di Amore e Psiche di Apuleio i temi dell’esilio e della peregrinazione solitaria costituiscono una parte centrale del racconto. Solo le nozze eterne finali trionferanno delle sofferenze sopportate.

“Chi è quella ragazza che arriva dal deserto appoggiandosi al suo caro?” (Ca 8:5) Lei arriva dal deserto come la donna di Apocalisse 12:14. “Alla donna furono date le due ali della grande aquila così che potesse volare nel deserto, nel luogo preparato per lei, dove viene nutrita per un tempo, dei tempi e la metà di un tempo, lontano dal serpente.” Tuttavia la persecuzione del dragone è sempre latente, perché “il dragone si mise a perseguitare la donna che aveva dato alla luce il figlio maschio” come chiaramente legge il versetto 13. “Le guardie che facevano la ronda in città mi hanno incontrato. Mi hanno colpito, mi hanno ferito. Le guardie delle mura mi hanno tolto di dosso il mantello.” Di notte, al tempio, durante il suo turno di guardia, la sentinella non si deve addormentare, altrimenti viene privata dei suoi abiti e finisce col mostrare la propria vergogna.

Vigilanza al tempio

Ogni notte, il responsabile dei drappelli di guardia del Tempio ispezionava ogni singola sentinella, impugnando una fiaccola ardente per poterla riconoscere. Se incontrava un vigilante che non si alzava davanti a lui, gli gridava “Pace a te!“. Se non riceveva risposta, era evidente che il guardiano si era addormentato. Allora il levita assopito veniva picchiato con un bastone. Il sovrintendente alla vigilanza era autorizzato a dare fuoco al mantello della sentinella indisciplinata, come punizione per non aver effettuato correttamente il suo dovere. Rivelazione 16:15 legge: “Ecco, io vengo come un ladro. Felice chi sta sveglio e mantiene le sue vesti, affinché non cammini nudo e non si veda la sua vergogna”. Dunque l’amata si è assopita venendo meno al proprio dovere di vigilanza. Nella parabola delle 10 vergini di Matteo 25:1-13 tutte le ragazze sonnecchiavano e si erano addormentate. Alcune però non avevano nemmeno la provvista d’olio.

Nel Cantico ci sono diverse immagini di carattere militare associate alla donna amata, che viene paragonata ad una cavalla al cocchio del Faraone, (1:9) il cui collo è come la torre di Davide con mille scudi (4:4), è “temibile come una linea ben schierata di accampamenti”. (6:10) Ci sono poi anche i sessanta guerrieri che accompagnano la lettiga di Salomone, armati di una spada sulla coscia “a causa del terrore durante le notti.” (3:7-8) Una scorta militare vigila sulla sicurezza della sposa durante il viaggio nel deserto. Il tragitto da Sunem a Gerusalemme era di circa cinquanta miglia e poteva perciò richiedere di passare una notte e forse due viaggiando in una regione solitaria. Anche la Sposa di Cristo, la sua amata, deve spesso affrontare ostacoli, pericoli e nemici, ma lui provvede alla sua difesa. Egli ha promesso che sarà con noi fino al termine del sistema di cose.

Immagini architettoniche

La posizione dell’Amato è centrale. Egli è dentro le “stanze interne” del palazzo e lei gli viene introdotta come privilegio unico e immeritato. (1:4) I passi in cui i due protagonisti si lodano a vicenda abbondano di metafore architettoniche che bene si adattano alle decorazioni del Tempio e ai suoi materiali. Le cosce della bella sono come ornamenti, opera di un artista. (7:1) Le gambe del giovane sono colonne di marmo fondate su piedistalli con incastro d’oro raffinato, il suo aspetto è scelto come i cedri. Ha le mani come cilindri d’oro, pieni di crisolito. Il suo addome è un piatto d’avorio coperto di zaffiri. (5:14-15) La lettiga di Salomone ha colonne d’argento e sostegni d’oro. La sua corona è un serto intessuto dalla madre nel giorno matrimoniale. (3:9-11) I materiali di cui è costruita la camera nuziale sono cedro e cipresso, legnami utilizzati nella fabbricazione del Tempio.

La pelle della Sposa è paradiso di melagrane, (4:13) le labbra un filo scarlatto. (4:3) Simili a uno spicchio di melagrane sono le sue tempie dietro il suo velo. (4:3) In quanto frutto ricchissimo di semi, il melograno decorava le vesti del Sommo sacerdote: “Farai sul suo lembo melagrane di porpora viola, di porpora rossa e scarlatto, intorno al suo lembo, e in mezzo disporrai sonagli d’oro: un sonaglio d’oro e una melagrana, un sonaglio d’oro e una melagrana intorno all’orlo inferiore del manto” (Es 28, 33-34). Anche rispetto alle decorazioni del tempio, il frutto del melograno occupa una posizione di spicco. È un frutto che simbolicamente ben rappresenta il seme di Abramo. (Ga 3:29) Il re Salomone fece colonne e capitelli “e vi erano duecento melagrane in file intorno a ogni capitello” (1Re7:18-20; Ger 52:22-23). Siccome gigli decoravano le colonne anche la fanciulla è paragonabile a un giglio. (2:2)

Immagini di richiamo alle Scritture

Il testo è anche ricco di immagini che richiamano le offerte. “Il tuo ombelico è una coppa rotonda. Non [vi] manchi vino mischiato. Il tuo ventre è un mucchio di frumento”. (7:2) Un altro richiamo templare è nell’immagine del muro divisorio, la cortina che divideva il Santo dal Santissimo. “Che faremo per nostra sorella il giorno che si parlerà di lei?” “Se fosse un muro, edificheremmo su di lei un parapetto d’argento; ma se fosse una porta, la rafforzeremmo con una tavola di cedro”. “Io sono un muro, e le mie mammelle sono come torri. In questo caso son divenuta ai suoi occhi come colei che trova pace.” Parlare di muro e parapetto significa certamente alludere al tempio. L’amato sta dietro al muro e la guarda attraverso le finestre. Infine il continuo richiamo alle colombe allude al versamento dello spirito sceso su Gesù al battesimo.

I richiami del Cantico al complesso delle Scritture sono infiniti. Un muro separa i due giovani. La cortina il vero Pastore l’ha certo attraversata (Eb 9:11-12) ma lei deve ancora aspettare (2:10). Anche i fichi primaticci nel giardino hanno preso un colore maturo. (2:13) Questo richiama il procedere del tempo verso la fine di Mt 24:32, quando il fico metterà le foglie. La gazzella o cerbiatto (2:9,17) a cui viene assimilato l’Amato è un altro importante indizio templare. Il Cristo viene presentato da Giovanni il Battista come l’Agnello di Dio. Anche il “monte degli aromi” potrebbe essere lo stesso Monte Sion e il tema del latte e del miele rinvia alle benedizioni del Regno. Il titolo del componimento va profondamente meditato e appare già quasi inaudito per Israele in quanto si pone in parallelo al “Santo dei Santi”.

Il re pastore

Ma è normale che la ragazza si chieda dove sia il suo Amato quando ha appena detto di essere entrata nelle sue stanze?  Questo sarebbe decisamente fuori posto a meno che l’Amato sia spirituale, sfuggente, diciamo invisibile. Altrimenti non avrebbe senso il fatto che l’Amata lo cerchi al meriggio fra le tende e le greggi dei pastori. Anomalo, razionalmente parlando, pure che lo cerchi quando dice di essersi fermata alla sua “ombra da molto tempo ricercata”! È forse un gigante l’Amato da far ombra all’amata?  Certo, perché l’amato è un essere spirituale, divino. L’Amato, per quanto trascendente, sembra mostrarsi sia re che pastore, presente ma pur sempre nascosto e sfuggente! Tra i due, Salomone e il Pastore non c’è rivalità, nessuna gelosia: sono la stessa persona. Rispetto a Salomone c’è la Sposa, rispetto al Pastore la Concubina! Con Salomone siamo in cielo, con il Pastore sulla terra.

Molti sono i verbi di tipo rivelativo nel poema: mostrati, rivelami, alzati, vieni, ritorna, salire, scendere, soffia, stillare, risvegliare, fammi udire, e il ricorrente tema della ricerca, dell’attesa, dell’apparire improvviso dell’Amato, il suo scomparire altrettanto improvviso, il suo incedere e scendere imprevedibile sono allusivi di un continuo rapporto col divino. Ovunque si percepisce un senso di possibile unione, ma in lontananza. Si tratta di una relazione spirituale simile all’Eros della fiaba di Apuleio, dei capolavori artistici rinascimentali? Perché no? Sicuramente il Cantico dei cantici fu un punto di riferimento per gli iniziati di ogni tempo. Ma qui importanti quesiti verrebbero alla ribalta. Tuttavia sarebbero gli stessi che portarono la curiosità di Psiche verso la disperazione e la tragedia. Il mistero è un ingarbuglio impenetrabile per gli umani. La relazione di Psiche con Eros era condizionata al rispetto di una sola regola: “Non provare a guardarmi, mi perderai.”

Beatitudini

Nel Cantico si trovano certi agganci con le parole del Magnificat. Alla Sulammita il pastore dice: “Ci possono essere sessanta regine e ottanta concubine e fanciulle senza numero. Una sola è la mia colomba, la mia irriprovevole. Una sola che appartiene a sua madre. È la pura di colei che la partorì.” E prosegue: “Le figlie l’hanno vista, e la dichiaravano felice; regine e concubine, e la lodavano: “ (6:8-10) Nel Magnificat Maria similmente si esprime “da ora in poi ogni generazione mi dichiarerà felice; perché il Potente ha fatto per me opere grandi e santo è il suo nome” (Lc 1:48) Maria, anche lei un’iniziata, perciò anche Santa, si rende conto del grande privilegio di cui è stata resa oggetto: “perché (Geova) ha guardato l’umile condizione della sua schiava.” Alla fine Geova sceglie quelli che lui ritiene di scegliere. Non conta la volontà umana ma solo la divina.

D’altro lato altri personaggi possono essere iniziati variamente e venire a contatto con le tante confraternite misteriche e segrete. Ciascuno utilizza i doni in maniera personale. C’è chi fa del proprio meglio e chi trascura. Dare un giudizio morale sarebbe forse una tentazione. Di Salomone, certamente un iniziato, in Ecclesiaste si legge: “Il congregatore non solo è diventato saggio, ma ha anche insegnato di continuo al popolo la conoscenza; ha meditato e ha fatto un’attenta ricerca per raccogliere molti proverbi.  Il congregatore ha cercato di trovare parole piacevoli e di mettere per iscritto accurate parole di verità. Le parole dei saggi sono come pungoli e le raccolte dei loro detti sono come chiodi ben piantati; provengono da un solo pastore.”  (Eccl 12:9-11) L’incarico dato alla Sulammita era quello di custode delle vigne. Talvolta essa fu in grado di fare bene il suo lavoro, a volte meno. Come tutti.

Orti e giardini

A ben guardare non ci fu campo dello scibile umano in cui il progresso non venisse promosso e guidato dall’invisibile. Questa affermazione potrà suonare forte ma è vera ed offre una chiave di lettura in grado di investigare in ogni campo. È una chiave multidisciplinare, un passe-partout senza il quale non si andrebbe lontano. In politica, finanza, filosofia, nelle scienze, medicina, biologia, chimica, tecnologia, architettura, matematica, fisica, arte, poesia, musica, cinema, spettacolo e quant’altro i massimi geni (e non solo “i massimi”) furono degli “ispirati”. Il rapporto con la trascendenza è stato fin dall’inizio alla base di ogni civiltà. Comunque anche all’interno di questo particolare mondo di “iniziati” ci sono recinti diversi, orti e giardini particolari. Della Sulammita lo Sposo dice: “Un giardino sbarrato è mia sorella, la [mia] sposa, un giardino sbarrato, una sorgente sigillata.” (4:12) All’interno del variegato mondo del “genio” ci sono pertanto indirizzi diversi.

Ora credo di poter affermare che il fine cui tende il rapporto d’amore del Cantico di Salomone fosse alla fin fine la conoscenza. Conoscenza implica scienza e tutto ciò che da questo consegue. Tuttavia in ambito biblico ed ebraico la conoscenza acquisisce una sfumatura cultuale particolare. È sempre volta a consolidare il rapporto del popolo con il proprio Dio, Jah, più che alla conoscenza di per se stessa. (1Cor 3:19) Salomone scrisse: “Al fare molti libri non c’è fine, e la molta dedizione [ad essi] è faticosa per la carne.” (Ecc12:12) Come intendere questo versetto? Qui lo studioso è messo in guardia, dato che il sapere delle “nazioni” non può costituire una guida morale affidabile. Dare troppa fiducia “ai libri” potrebbe minare la fede del giovane. Fondamentalmente la sapienza al tempo di Salomone era trasmessa oralmente e le parole del “saggio” erano in contrasto con i tanti libri stranieri.

Un obiettivo pastorale

Origene nel suo Commento dichiara: “Beato chi penetra nel Santo. Ma più Beato chi penetra nel Santo dei Santi. Beato chi comprende e canta i cantici della Scrittura, ma più Beato chi canta il Cantico dei cantici.” Da buon platonico distingue il livello dell’amore fisico, di una coppia terrena, da quello mistico, rapporto spirituale con il divino. Con Origene il Cantico perse le sue caratteristiche di amore edonistico, sul modello greco-ellenistico, alla maniera di Teocrito, per diventare espressione dell’eros mistico. La Sulammita che cerca lo sposo non è solo Israele, e non è soltanto la Chiesa, ma è il singolo fedele che vive in prima persona l’esperienza della rinascita nello spirito. Il tema del Cantico è essenzialmente pastorale, volto alla cura delle pecore del “pascolo” del Signore. E questo fu l’incarico dato alla Sulammita, accanto a quello di occuparsi della vigna del Signore. (Ca 1:6,8)

Proporrei perciò la lettura del Salmo 23, uno dei massimi capolavori poetici tra gli scritti ispirati di Davide, a chiusura di questa considerazione: “Geova è il mio Pastore. Non mi mancherà nulla. Mi fa giacere in erbosi pascoli; Mi conduce presso irrigui luoghi di riposo. Ristora la mia anima. Mi guida nei sentieri battuti della giustizia per amore del suo nome. Benché cammini nella valle della profonda ombra, Non temo nulla di male, Poiché tu sei con me; La tua verga e il tuo bastone sono le cose che mi confortano. Mi imbandisci davanti una mensa di fronte a quelli che mi mostrano ostilità. Hai spalmato d’olio la mia testa; Il mio calice è ben pieno. Di sicuro la bontà e l’amorevole benignità stesse mi inseguiranno per tutti i giorni della mia vita; E certamente dimorerò nella casa di Geova per la lunghezza dei giorni.”


 

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