Essere “rapiti” in cielo

Ancora due parole sull’essere “rapiti in cielo”. 1Tess 4:17 dice che i cristiani viventi nel tempo finale saranno rapiti in cielo nelle nubi per incontrare il Signore. Analizzando il testo di questa scrittura nel greco originale leggiamo: ἔπειτα ἡμεῖς οἱ ζῶντες οἱ περιλειπόμενοι ἅμα σὺν αὐτοῖς ἁρπαγησόμεθα ἐν νεφέλαις εἰς ἀπάντησιν τοῦ κυρίου εἰς ἀέρα, che traduco letteralmente: Poi noi viventi rimasti, insieme con loro saremo rapiti in cielo verso l’incontro del Signore nell’aria. In questa frase ci sono due parole che costituiscono degli autentici richiami ad altri versetti e che ci aiutano a fare chiarezza. Le due parole sono 1) un sostantivo, ἀπάντησις (che ricorre tre sole volte nelle Scritture) e 2) un verbo, ἁρπάζω. Cominciamo dal sostantivo apantésis che ha relazione con un incontro, un termine quasi tecnico per definire il momento ufficiale in cui si va ad accogliere l’arrivo di un personaggio in visita.

Questo termine apántesis ricorre nella parabola delle vergini in Matteo 25:6. Vi si legge che nel cuore della notte arriva lo sposo. È arrivato il momento per le ragazze di andargli incontro. Il greco legge: ἐξέρχεσθε εἰς ἀπάντησιν αὐτοῦ. Uscite fuori verso l’incontro di lui. Quindi l’incontro col Signore, il rapimento in cielo, indicato in 1Tess 4:17 è lo stesso di cui si discute nella parabola. Il momento in cui le ragazze si incamminano non è quello dell’arrivo dello sposo sul posto dove lo stavano aspettando. Esse devono andargli incontro fino ad un punto prestabilito. Atti 28:15 dove ricorre lo stesso termine (apántesis) chiarisce la situazione. Vi si racconta che Paolo, sopravvissuto il naufragio che lo aveva portato a Malta, dopo essersi fermato sette giorni a Pozzuoli, era ormai giunto nei paraggi di Roma. I fratelli, avendolo saputo, erano venuti ad incontrarlo percorrendo 43 miglia fino al Mercato Appio e alle Tre Taverne.

Il “rapimento in cielo” è già cominciato?

Sì, la sposa ha già vissuto momenti di “rapimento in cielo”. Questo è cominciato dalla “mezzanotte”, dallo scadere dei tre tempi e mezzo di Rivelazione 11:2-3. Perciò dobbiamo tornare indietro alla primavera del 2019, al momento in cui iniziava la parousia. (Il ritorno di Cristo e l’inizio della parousia – Rifugiati di Pella/ Non celebriamo più la commemorazione – Rifugiati di Pella/ La parousia o presenza del Signore – Rifugiati di Pella) Il verbo arpazo ricorre 14 volte nelle scritture greche, (una volta ricorre anche il sostantivo ἁρπαγμός – oggetto da prendere con un atto di forza. Fil 2:6). Esaminare questi passi ci può far comprendere. Cominciamo da Atti:26-40. Per “una strada nel deserto”, scendendo da Gaza a Gerusalemme, l’angelo spinse Filippo ad avvicinarsi ad un carro su cui viaggiava un eunuco. Costui era un alto funzionario della regina d’Etiopia ed era preposto al tesoro reale.

Filippo, che non appartiene ai 12, ma è uno dei sette uomini scelti dai 12 per distribuire cibo alle vedove nelle congregazioni dei giudei di lingua greca, (At 6:1-5; 21:8) dopo il martirio di Stefano, va in Samaria diffondendo la Parola di Dio. (Atti 8:5) Stefano è appena stato lapidato, ed è proprio la dispersione provocata dalla persecuzione che porta Filippo e gli altri in giro per il paese ad evangelizzare. Dopo aver dato testimonianza all’eunuco riguardo a Gesù e averlo battezzato, Atti 8:39 legge: “Saliti fuori dell’acqua, presto lo spirito di Geova condusse via (ἥρπασεν, forma di arpazo, aoristo indicativo attivo 3s) Filippo, e l’eunuco non lo vide più, poiché andava per la sua via, rallegrandosi”. In questo contesto si situa il nostro racconto. Così avviene l’incontro tra Filippo e quell’altro uomo, di cui le Scritture non dicono il nome, e che viene descritto come un eunuco Etiope.

 La via nel deserto

Cominceremo col notare la presenza del numero sette, numero significativo che nelle Scritture rimanda ai sette anni finali, i tempi dell’apocalisse. Noteremo anche che quest’uomo, Filippo, viene rapito dallo spirito e che, subito dopo averlo battezzato, sparisce dalla vista dell’etiope. Un altro aspetto significativo del racconto è il luogo in cui è ambientato, la strada verso Gaza. Il testo greco legge: αὕτη ἐστὶν ἔρημος. “Questa – (cioè la strada) – è deserto”. Quindi la predicazione di Filippo avviene nel deserto. Questo dettaglio ci permette di collegare la situazione di Filippo a quella della puerpera di Riv 12:6 che legge: “ἡ γυνὴ ἔφυγεν εἰς τὴν ἔρημον ὅπου ἔχει τόπον ἡτοιμασμένον ἀπὸ τοῦ θεοῦ”, “la donna fuggì nel deserto dove ha un luogo preparato presso Dio”. Il racconto del battesimo dell’etiope lascia intravedere la nascita di una nuova classe di cristiani che attraversa i secoli fino ai tempi nostri.

L’eunuco è un alto funzionario di Candace, regina d’Etiopia. Che cosa rappresenta Candace? Essa corrisponderebbe nelle Scritture alla regina del mezzogiorno di cui Gesù parla in Mt 12:42, la regina di Saba. Come si legge “La regina del meridione sarà destata nel giudizio con questa generazione e la condannerà; perché essa venne dai confini della terra per udire la sapienza di Salomone, ma, ecco, qui c’è più di Salomone.” Il nome Saba significa sette. L’origine della popolazione di Saba, i sabei, come sono spesso chiamati, risulterebbe incerta. Nella discendenza di Sem c’erano due Saba che evidentemente si stabilirono in Arabia. Perciò certi studiosi ritengono che la popolazione di questo regno possa appartenere alla discendenza di Ioctan, discendenti di Sem tramite Eber. Gesù disse che la regina di Saba era venuta “per udire la sapienza di Salomone”. (Lu 11:31) Essa venne da Salomone per proporgli degli enigmi.

Un confine nel tempo

Il fatto che la regina venne dai confini della terra è reso in greco con ἦλθεν ἐκ τῶν περάτων τῆς γῆς dove il termine πέρας implica non solo i limiti nello spazio ma anche nel tempo. Il fatto di arrivare da un luogo posto alle estremità della terra può simbolicamente alludere al tempo finale del mondo. L’eunuco è per così dire l’economo di un tempo finale, uno preposto su tutte le ricchezze spirituali cristiane. In greco questo termine, ricchezze o tesoro è reso con il termine gaza (γάζα) e il luogo che fa da cornice all’incontro tra Filippo e l’eunuco è la strada di Gaza (Γάζα). La presenza di questi dettagli di cui la Bibbia è davvero ricca aggiunge al libro un grande fascino! L’eunuco, battezzandosi nel nome del Cristo, si costituisce economo, servitore sul genere di quel maggiordomo che Gesù descrive in Mt 24:45-47.

In Isaia 22 sono inseriti due nomi, quelli di Sebna e di Eliakim che alla fine sono privati entrambi del potere. Cosa rappresentano i due? Sebna rappresenterebbe il sistema politico-sacerdotale giudaico che dimostrando d’essere un economo infedele, viene deposto, mentre Eliakim, economo legato al nuovo sistema cristiano, lo sostituisce. Sarebbe come dire che Eliakim potrebbe rappresentare il papato o corpo direttivo di varie denominazioni cristiane che alla fine del mondo, i sette tempi dell’apocalisse, vengono ritenuti inidonei ed esautorati del proprio potere. Infatti noi siamo usciti da quelle organizzazioni in ubbidienza al comando di Ri 18:4, di uscire da Babilonia. “Uscite da essa o popolo mio” esorta l’angelo! Dunque l’eunuco rappresenta quel momento in cui viene alla luce un potere religioso che nel tempo finirà per mostrarsi sterile, incapace di mantenersi all’altezza dell’alto incarico ricevuto. Dopo il battesimo l’eunuco ritorna dalla regina e Filippo viene rapito dallo spirito.

Sebna ed Eliakim

Il Signore invitava il profeta Isaia ad entrare da Sebna con questo messaggio: ‘Ecco, Geova ti lancerà giù con lancio violento, o uomo, e ti afferrerà con forza. Senz’altro ti avvolgerà strettamente, come una palla per un ampio paese. Là morirai, e là i carri della tua gloria saranno il disonore della casa del tuo padrone. E io certamente ti spingerò via dalla tua posizione; e dal tuo posto ufficiale uno ti tirerà giù.’ (Isa 22:17-19) Poi di Eliakim aggiunge: ‘Certamente lo vestirò con la tua lunga veste, e lo cingerò fermamente della tua fascia, e gli darò in mano il tuo dominio; ed egli dovrà divenire un padre per l’abitante di Gerusalemme e per la casa di Giuda. E certamente metterò la chiave della casa di Davide sulla sua spalla, ed egli dovrà aprire senza che nessuno chiuda, e dovrà chiudere senza che nessuno apra.

E certamente lo conficcherò come un piolo in un luogo durevole, e dovrà divenire come un trono di gloria per la casa di suo padre. Dovranno appendere a lui tutta la gloria della casa di suo padre, i discendenti e i rampolli, tutti i vasi di piccola forma, sia i vasi a forma di coppa che tutti i vasi delle grandi giare.” (Isa 22:21-24) Nelle scritture spesso i cristiani sono chiamati vasi come per esempio in Rom 9:21-23.  Le parole di Isaia richiamano quelle di Gesù in Matteo 16:18-19: “Tu sei Pietro, e su questo masso di roccia edificherò la mia congregazione, e le porte dell’Ades non la sopraffaranno. Io ti darò le chiavi del regno dei cieli, e qualunque cosa legherai sulla terra sarà stata legata nei cieli, e qualunque cosa scioglierai sulla terra sarà stata sciolta nei cieli”.

Simon Mago

Infine però il capitolo 22 di Isaia conclude in modo sibillino dicendo: “‘In quel giorno’, è l’espressione di Geova degli eserciti, ‘il piolo conficcato in un luogo durevole sarà rimosso, e dovrà essere cavato e dovrà cadere, e il carico che c’è sopra dovrà essere stroncato, poiché Geova stesso ha parlato’”. (Isa 22:25) Cosa significano queste parole? Qui è pronosticata la fine del cosiddetto economo cristiano che, essendo divenuto compagno di ubriaconi inveterati e percotitore dei suoi fratelli spirituali, deve essere severamente punito. (Mt 24:45-47) Così tristemente sarebbe finita una storia dagli inizi gloriosi!  Non possiamo sapere se la vicenda dell’eunuco etiope vada collocata nel mondo della realtà o dell’allegoria ma possiamo constatare che il contesto letterario che la circonda non è privo di qualche ambiguità. Immediatamente prima di raccontare l’incontro di Filippo con l’eunuco, Luca racconta l’incresciosa vicenda di Simon Mago.

Atti 8:9 legge: “Ora c’era nella città un uomo di nome Simone, il quale, prima di ciò, aveva praticato le arti magiche e aveva fatto meravigliare la nazione di Samaria, dicendo di essere lui stesso qualcuno grande.” Simone divenne credente e grande ammiratore dei miracoli che gli avvenivano intorno. Quando Simone vide che mediante l’imposizione delle mani degli apostoli veniva dato lo spirito, offrì loro del denaro per ottenere la stessa autorità, “affinché chiunque sul quale io ponga le mani riceva lo spirito santo”. Pietro gli disse: “Tu non hai né parte né sorte in questa cosa, poiché il tuo cuore non è retto dinanzi a Dio.” La coincidenza è che entrambi gli uomini si chiamavano Simone e che la natura della chiesa e del papato si avvicinò sempre più a quella del mago Simone. Ecco perché la tradizione finì per nominare l’eunuco Simeon Bachus, un Simone bacchico pagano.

La predicazione ad Azoto e Cesarea

Ora mentre il carro dell’eunuco prosegue la sua millenaria corsa, si giunge, allegoricamente parlando, ai nostri giorni, e l’uomo definito come “uno dei sette” e rapito (arpazo) dallo spirito viene trovato ad Azoto, antica Asdod, e prosegue dichiarando la buona notizia fino a Cesarea. (Atti 8:40) Azoto era stata una delle cinque città dei filistei rette dai rispettivi signori dell’asse, centro religioso del culto di Dagon. Le altre città erano Gat, Gaza, Ascalon ed Ecron. Asdod viene menzionata per la prima volta in Giosuè 11:22 insieme a Gaza e a Gat come residenza degli Anachim rimasti. Al tempo di Saul i filistei avevano catturato l’arca del patto, poi trasportata ad Asdod e posta nel tempio di Dagon. Fu allora che una dolorosa piaga di emorroidi colpiva gli asdoditi. Entro sette mesi l’arca ritornò in Israele accompagnata da un’offerta in oro. La simbologia c’è tutta.

 Ἄζωτον significa senza vita. Il nome è composto da ἀ- ossia “senza” e ζωή cioè “vita“. Filippo, nel suo ruolo di evangelizzatore all’interno di una società spiritualmente asfittica, cerebralmente morta riceve tuttavia la guida e il sostegno spirituale. È giunto il tempo di un nuovo abbondante versamento dello spirito, simile a quello di Atti 2:17-20 o Gioele 2:28-29. “E negli ultimi giorni”, dice Dio, “verserò del mio spirito su ogni sorta di carne, i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno, i vostri giovani vedranno visioni e i vostri vecchi sogneranno sogni; anche sui miei schiavi e sulle mie schiave verserò in quei giorni del mio spirito, e profetizzeranno. Farò portenti nel cielo di sopra e segni sulla terra di sotto, sangue e fuoco e vapor di fumo; il sole sarà mutato in tenebre e la luna in sangue prima che arrivi il grande e illustre giorno di Geova.”

Filippo e le quattro figlie che profetizzano

Filippo è un personaggio simbolicamente carico. Egli abitava a Cesarea, città costruita da Erode il Grande sul sito ricevuto in dono da Cesare Augusto. Si trattava di una città costruita in onore di Cesare. Filippo aveva inoltre quattro figlie. In Atti si legge: “Il giorno dopo partimmo e arrivammo a Cesarea, ed entrati nella casa di Filippo l’evangelizzatore, che era uno dei sette uomini, restammo con lui. Quest’uomo aveva quattro figlie, vergini, che profetizzavano.” (Atti 21:8-9) Anche qui il simbolismo è evidente. Il numero 4 è simbolo di universalità e rappresenta il fatto che durante i sette tempi finali ci sarebbe stato ovunque sulla terra un abbondante versamento dello spirito e una diffusa comprensione delle Scritture fino ai quattro angoli di tutta la terra. Infatti Daniele 12:4 l’aveva previsto dicendo che ai tempi della fine “la [vera] conoscenza diverrà abbondante”.

 Nel tempo della fine ci sarebbe stato un progressivo aumento dell’oppressione tirannica nel cuore della bestia politica. Questo simbolismo sembrerebbe implicito nel nome di Cesarea, la città in cui abitava Filippo. Il nome Filippo significa amante dei cavalli. Dato che il significato di un nome è sempre rilevante nelle Scritture e sempre in letteratura, anche quello di Filippo dovrebbe risultare significativo. Una bella descrizione del cavallo che non teme la battaglia si trova in Giobbe 39:19-30: “Esce incontro alle armi, ride del terrore, e non è atterrito; né si volta indietro a causa della spada… Appena il corno suona dice: Aha! E da lontano fiuta la battaglia”. Gli anni della fine sono gli anni in cui escono ad uno ad uno i quattro cavalli d’Apocalisse pronti per la battaglia finale, quella di Armagheddon. (Ri 6:1-8; 16.16)

Il bambino rapito presso il trono di Dio

Volendo cercare nelle scritture greche cristiane un’altra situazione in cui ricorre il verbo arpazo (rapire) ne troviamo una molto significativa in Ri 12:5-6 dove si legge della donna vestita di sole con la luna ai suoi piedi: “Ed essa partorì un figlio, un maschio, che deve pascere tutte le nazioni con una verga di ferro. E il figlio di lei fu rapito presso Dio e il suo trono.  E la donna fuggì nel deserto, dove ha un luogo preparato da Dio, affinché vi sia nutrita per milleduecentosessanta giorni.” Il neonato qui rappresenta la nascita del corpo spirituale del Cristo composto dai cristiani illuminati dallo spirito e viventi nel tempo della fine. Ecco quindi che comprendiamo come il rapimento presso Dio rappresenta il versamento dello spirito sui due testimoni e sui loro amici.

I due testimoni di Apocalisse sono come dei marcatori del tempo. La loro comparsa serve in primo luogo a definire il momento di inizio e di fine dei sette anni finali, la durata dei tempi escatologici. In quanto investita di questo ruolo – sono una dei due testimoni – mi sono spesso fatta domande sul significato dei tempi, in particolare sul valore da attribuire all’espressione di “tre giorni e mezzo” di Ri 11:9-11. Questi potrebbero non essere la seconda parte dei sette tempi ma indicare un breve periodo di esposizione al pubblico ludibrio paragonabile al tempo in cui Gesù rimase nella tomba. Con la differenza, però, che i due testimoni non vengono seppelliti ma lasciati cadavere sulla pubblica via. Infatti non sono morti fisicamente ma morti per la congregazione di appartenenza. Passati pochi giorni in cui accusano il colpo, i due vengono ravvivati con sempre maggiore luce spirituale.

Una voce dal cielo

È a quel punto che i due testimoni odono una voce dal cielo che dice: “Salite lassù”. (Ri 11:12) Questo versetto può trarre in inganno. Da subito avevamo creduto che potesse indicare il “rapimento” da collocarsi allo scadere dei sette tempi. In realtà il significato è un altro. Queste parole equivalgono al rapimento del bambino presso il trono di Dio descritto in Ri 12:5, e quindi all’uscita dal sistema e alla progressiva illuminazione spirituale. A conferma si potrebbe ancora citare la scrittura di 2Cor 12:1-7 che descrive il rapimento di Paolo al terzo cielo e quindi in paradiso. Si trattava evidentemente di una visione e non di un trasferimento fisico. Questo potrà avvenire solo alla fine, nell’imminenza di Harmaghedon. Il tempo che manca è comunque breve. Dunque i sette tempi sono segnalati in Ri 11:2-3 e 12:5,14 mentre i tre giorni e mezzo sono un’altra cosa.

Vorrei concludere richiamando l’attenzione sulla profezia di Isaia 56, pochi capitoli dopo al 53 che stava leggendo l’eunuco all’incontro con Filippo. “E lo straniero che si è unito a Geova non dica: ‘Senza dubbio Geova mi dividerà dal suo popolo’. Né dica l’eunuco: ‘Ecco, sono un albero secco’. Poiché questo è ciò che Geova ha detto agli eunuchi che osservano i miei sabati e che hanno scelto ciò di cui mi son dilettato e che si attengono al mio patto: “Sì, certamente darò loro nella mia casa e dentro le mie mura un monumento e un nome, qualcosa di meglio che figli e figlie. Un nome a tempo indefinito darò loro, uno che non sarà stroncato… Poiché la mia propria casa sarà pure chiamata casa di preghiera per tutti i popoli”. (Isa 56:4-7) Questo si può dire perché chiunque esca da Babilonia diventa un albero fertile che produce abbondante frutto. (Adriana Rocchia)

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